Un giovane manifestante saudita condannato a morte e crocifissione
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AfriqueAsie, 22 settembre 2015 (trad. ossin)
Dopo un processo senza avvocato
Un giovane manifestante saudita condannato a morte e crocifissione
Ali Al-Nimr
Un ragazzo di 20 anni sarà giustiziato prossimamente per decapitazione e crocifissione, dopo una farsa di processo. Molte ONG denunciano le pratiche dell’Arabia Saudita
Ali Al-Nimr aveva 17 anni quando è stato arrestato, nel febbraio 2012. Aveva partecipato ad una manifestazione antigovernativa nella provincia saudita di Qatif. Tra qualche giorno sarà crocifisso dopo essere stato decapitato. Accusato dal governo di possesso di un’arma da fuoco e di avere aggredito le forze di sicurezza, non ha mai confessato, solo si è fatto scappare qualche informazione sotto tortura.
Processato senza l’assistenza di un avvocato, alla fine è stato condannato alla morte per crocifissione. Il 27 maggio scorso si sono esauriti tutti i gradi del processo e l’esecuzione è prevista per i prossimi giorni. Da diverse settimane sono incorse campagne umanitarie che chiedono all’Unione Europea di intervenire per evitare questa esecuzione, tenuto conto che già lo zio di Ali Al-Nimr venne crocifisso per “oltraggio al re”.
Amnesty International ha denunciato, in un comunicato, questa prossima esecuzione, invitando a indirizzare quante più lettere e mail possibile al re dell’Arabia Saudita, Salman, chiedendogli di annullare questa esecuzione attraverso una procedura oramai rara in Arabia Saudita.
Il regno aveva infatti, nel 2013, deciso di ridurre il numero delle decapitazioni, preferendo ricorrere al plotone di esecuzione, soprattutto per non scuotere troppo l’opinione internazionale. La decapitazione, cui segue la crocifissione – l’ultimo caso risale al 2013 – dovrà essere però necessariamente applicata in questo caso, per inviare un messaggio senza equivoci agli oppositori del re Salman,
Secondo Amnesty International, tra gennaio e fine agosto 2015, almeno 130 condanne a morte sono state eseguite, la metà delle quali per reati che non possono farsi rientrare tra quei “crimini più gravi” per i quali il ricorso alla pena capitale è autorizzata dal diritto internazionale.
Decapitazione in Arabia Saudita