L’intervento saudita in Bahrein e il complice silenzio delle borghesie occidentali
- Dettagli
- Visite: 7114
Belaali.over-blog.com, 21 marzo 2011
L’intervento saudita in Bahrein e il complice silenzio delle borghesie occidentali
di Mohamed Belaali
L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno invaso il piccolo regno del Bahrein nell’indifferenza quasi generale. E tuttavia l’evoluzione della situazione e le conseguenze che possono derivarne sono di importanza capitale non solo per la regione, ma per il mondo intero. C’è troppo petrolio in questa parte del mondo e la minima scintilla può incendiare tutto il Medio Oriente
La rivolta dei popoli della regione che vogliono sbarazzarsi dei tiranni di un’altra epoca può appunto essere questa scintilla. In Bahrein, per esempio, la popolazione da più di un mese è impegnata in una lotta pacifica contro il dispotismo della dinastia degli Al-Khalifa, al potere da tre secoli
In Yemen “il popolo vuole rovesciare il regime”, è quello che chiedono i manifestanti da diverse settimane. Ali Abdallah Saleh, soprannominato dal suo popolo “il macellaio”, è al potere dal 1978 (1978/1990 presidente dello Yemen del Nord e dal 1990 dello Yemen riunificato).
Lo stesso vento di rivolta soffia sul sultanato di Oman, governato dal 1970 dal sultano Qaboos che concentra nelle sue mani tutto il potere. I suoi avi hanno governato questo regno dal 1749!
Questa profonda aspirazione al cambiamento inquieta evidentemente i poteri autoritari, ma soprattutto l’imperialismo USA ed europeo. Perché l’instaurazione di regimi democratici in Yemen, Bahrein e Oman potrebbe suggerire delle idee e servire da esempio per gli altri popoli della regione che subiscono la stessa oppressione, le stesse ingiustizie, gli stessi regimi tirannici.
Anche in Arabia Saudita il popolo aspira, come gli altri popoli arabi, ad una nuova società che possa sbarazzarsi del giogo della dinastia degli Al Saoud che domina il paese da secoli. E assolutamente bisogna evitare che il popolo saudita imbocchi la stessa strada dei popoli vicini e rovesci il regime anacronistico degli Al Saoud, servitore locale degli Stati Uniti, come hanno fatto il popolo tunisino ed egiziano. Occorre ricordare che il suolo saudita ricopre i più importanti giacimenti di petrolio del mondo, e che l’Arabia Saudita è il primo esportatore mondiale e il secondo produttore di oro nero. Costituisce dunque un elemento chiave della sicurezza energetica degli USA. Gli Stati Uniti sono i protettori armati della dinastia saudita ed il loro sostegno alla famiglia reale è incondizionato.
E’ in questo quadro generale che bisogna collocare l’intervento saudita e degli Emirati in Bahrein il 14 marzo 2011, sotto l’egida del Consiglio di cooperazione del Golfo, e il silenzio complice di Washington. Gli statunitensi e gli europei che chiedono l’abdicazione di Gheddafi e intervengono militarmente in Libia, tacciono miserevolmente su questo intervento militare saudita e non esprimono i medesimi auspici nei confronti del re di Bahrein.
La piazza della Perla, nel centro di Manama, capitale del Bahrein e teatro della rivolta popolare, è stata sanguinosamente evacuata il 16 marzo 2011. Una repressione selvaggia si è abbattuta sugli uomini e sulle donne che manifestavano pacificamente contro la dittatura. E la repressione prosegue ancora. Barack Obama ha chiesto, nel corso di una telefonata, al re del Bahrein Hamad Issa Al-Khalifa “il massimo della moderazione”!
Mentre l’imperialismo USA ed europeo interviene militarmente in Libia “per assicurare la protezione dei civili”, il popolo del Bahrein, non solo non ha diritto ad un’analoga protezione, ma viene violentemente represso con l’aiuto degli eserciti stranieri e con il beneplacito degli Stati Uniti. E’ il caso di ricordare che è in Bahrein che si trova il Quartier Generale della V° Flotta e la base operativa delle navi da guerra USA. Bahrein occupa inoltre una posizione strategica tra Arabia Saudita, Iraq, Kuwait e Iran. Le rivendicazioni democratiche della popolazione non hanno dunque molto peso rispetto agli interessi della borghesia USA. Obama e la sua amministrazione, che non fanno altro che gestire gli interessi della classe dominante del loro paese, hanno fatto una scelta di campo al fianco della dittatura della dinastia Al-Khalifa.
“Il Macellaio” dello Yemen, Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni, continua a massacrare il suo popolo, anche lui nel silenzio complice degli Stati Uniti e dell’Europa. Solo nella giornata di venerdì 18 marzo, secondo l’AFP, la repressione ha provocato 52 morti e 126 feriti. Il fatto é che Abdallah viene considerato dagli USA come un alleato nella “lotta contro Al-Qaida”.
Ancora una volta si invoca la ragione umanitaria per intervenire in Libia ricca di petrolio, e si sostengono le dittature in Arabia Saudita, in Bahrein, a Oman e in Yemen, dei regimi che massacrano i loro popoli. La causa umanitaria è usata in questo modo come pretesto per servire i potenti: è al servizio del capitale. Ma in Bahrein, come in Yemen, la vita umana non ha valore e neppure ne hanno le aspirazioni di questi popoli al cambiamento. Contano solo gli interessi delle ricche minoranze nazionali e quelli occidentali. Per difenderli, non si esita a stringere alleanze con le peggiori dittature!
Agli occhi dell’imperialismo Gheddafi, contrariamente agli altri tiranni arabi, non è completamente affidabile. Il despota libico, al potere da 42 anni, resta per gli occidentali “un cattivo dittatore”. Bisogna affrettarsi a rovesciarlo e istallarsi in Libia per meglio controllare le sue risorse petrolifere e soffocare le aspirazioni e i processi democratici avviati dalle rivoluzioni tunisina ed egiziana.
I popoli di Bahrein, dello Yemen, dell’Arabia Saudita e tutti i popoli arabi aspirano fortemente a sbarazzarsi dei tiranni di un’altra epoca sostenuti dalle borghesie USA ed europee che vogliono far girare all’indietro la ruota della storia. Bisogna ovunque denunciare l’imperialismo, i cui interessi sono totalmente incompatibili con quelli dei popoli. Ed è pure nostro dovere sostenere le lotte delle masse arabe oppresse che sono determinate a prendere nelle loro mani il loro destino, generosamente offrendo la propria vita per costruire una società migliore.