Crisi Siriana
Lakhdar Brahimi, l'ultima carta prima del fallimento?
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Lakhdar Brahimi, l’ultima carta prima del fallimento?
Djerrad Amar
Non bisogna mai dimenticare che l’obiettivo degli USA-arabo-sionisti è e resterà il rovesciamento del “regime di Damasco” e niente altro! Se questo obiettivo non sarà raggiunto, la lettura politica dovrà essere quella della “sconfitta” di questa NATO desueta, che annuncerà la fine dell’unilateralismo USA nel mondo.
Ricordiamo che le missioni degli osservatori e tutte le riunioni, conferenze e altre dichiarazioni anti-siriane sono solo dei sotterfugi che mirano a questo obiettivo; dagli “amici della Siria” alla riunione dell’OCI (Organizzazione della cooperazione islamica) in Arabia Saudita. La missione degli osservatori della Lega Araba ha fallito perché non era in linea con quanto era programmato. Essi avevano veduto quello che gli USA-arabo-sionisti non vogliono che il mondo sappia; vale a dire “i massacri dei civili, dei poliziotti, dei militari, degli intellettuali, degli uomini di culto, oltre alla distruzione delle infrastrutture economiche, sociali, culturali e sanitarie” da parte di “gruppi armati”, organizzati, armati e finanziati dai vassalli arabi, il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia.
Anche per la missione di Annan/ONU, gli Stati Uniti e i suoi vassalli arabi hanno fatto di tutto perché fallisse, in quanto i suoi sei punti rischiavano di garantire una pace che essi non volevano senza la caduta di Bachar, che è una conditio sine qua non per la dominazione del regime sionista sulla regione. Prima ancora dell’arrivo degli osservatori di Annan, essi avevano subito tentato di subornare e influenzare questi nuovi testimoni fissando in anticipo la loro speranza di riuscita al 3%.
Ripetiamo che, alla fine, l’obiettivo prefissato è di guadagnare tempo con diverse manovre per far credere, con questa tattica di “eliminazione/ricostituzione” dei gruppi, ad una persistenza della crisi a causa della resistenza del “popolo” di fronte alla repressione dell’esercito di Bachar, sperando intanto di far fallire le profonde riforme, economiche e politiche, avviate dal governo siriano. Riforme, di fatto, che pongono in pericolo, per contagio, le monarchie del golfo contrariamente all’auspicio che esse mostrano, perfidamente, di volere: la “democratizzazione” della Siria.
Ogni volta che i loro gruppi armati sono in difficoltà, ci si preoccupa immediatamente di venir loro in soccorso con questa scusa degli “osservatori” che consente loro di esigere dalla Siria “il ritiro dell’esercito” e la “liberazione dei prigionieri” e permettere così ai gruppi di ricostituirsi, di rioccupare le loro posizioni e di riprendere daccapo. Se infatti i gruppi fossero decimati, sarebbe difficilissimo per i complottardi ricostituire le reti, la cui formazione richiede tempo, pazienza, piani, tattiche, reclutamento e molto denaro.
Subito dopo Damasco e Aleppo, dove il loro “esercito” ha subito pesanti perdite, trovando difficoltà sia a ritirarsi che ad approvvigionarsi, eccoli di nuovo gridare al “massacro”, pure moltiplicando le minacce, le riunioni e le pressioni sulla Siria. Nello stesso momento Annan presenta le dimissioni, dichiarando di non avere potuto portare a termine la propria missione a causa, di fatto, della mancata cooperazione da parte di coloro che sostengono i gruppi armati. Ha motivato le sue dimissioni con le divisioni presenti nel Consiglio di Sicurezza su questa questione; che rendono più complicati i suoi compiti.
Di fronte comportamenti dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, come ci si può aspettare una soluzione con la nomina di un nuovo mediatore ma mantenendo gli stessi obiettivi, la stessa pressione, la stessa tattica, le stesse menzogne demenziali e stupide dichiarazioni?
Lachdar Brahimi, 78 anni, è abituato alle missioni difficili per conto delle Nazioni Unite, ma cosa potrebbe fare più di Annan di fronte al blocco e ai diktat degli USA. Come potrà prendere in carico questa vicenda siriana in simili condizioni di ostilità? A meno che, accettando le loro condizioni, diventi, con la sua esperienza, il miglior mediatore! Dichiarando in un comunicato che “il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e gli Stati della regione devono unirsi per permettere una transizione politica finché è possibile”, il signor Brahimi si rivolge alla Russia e alla Cina, che si oppongono col loro veto alle soluzioni proposte dall’Occidente?
Scommettiamo che i suoi primi atti saranno una richiesta al governo siriano di “ritirare l’esercito” e di “rilasciare i prigionieri”, cosa che pensiamo non avverrà mai più. Se farà così, senza dubbio fallirà. Questo sarebbe d’altronde un gravissimo errore strategico da parte della Siria, se accettasse proprio adesso che ha il controllo della situazione militarmente e politicamente.
Nonostante cinque mesi di sforzi per imporre la pace, durante i quali vi sono state risposte favorevoli da parte siriana e boicottaggi da parte USA, il nostro Brahimi sembra accettare di proseguire nel momento in cui la battaglia di Aleppo ha imposto la supremazia dell’esercito siriano e nel momento in cui gli USA insistono, annunciando nuove sanzioni che dovrebbero provocare la caduta di Bachar.
Un diplomatico all’ONU avrebbe detto che l’ONU e il Consiglio di Sicurezza potrebbero essere indotti a rivedere il piani di pace in sei punti di Kofi Annan. In quale senso? Noi sappiamo che l’Occidente e le petro-monarchie del Golfo auspicano modifiche del piano Annan con l’obiettivo di “un mutamento di regime”. Cosa di cui la Russia e la Cina non vogliono più sentire parlare.
Hanno forse trovato in Brahimi il migliore alleato soprattutto con la Giordania e l’Arabia Saudita? Se egli accetterà questa missione si ritroverà nella situazione in cui dovrà accontentare sia il cavolo che la capra. Cosa impossibile, perché deve scegliere tra due blocchi, due rapporti di forza che si affrontano, uno unilateralista, l’altro multipolare, il cui teatro è appunto la Siria. La sua carriera diplomatica, fino ad oggi limpida, sarà offuscata gravemente se fallisse. Non gli si risparmieranno le accuse di servire gli interessi dell’Occidente e delle monarchie del Golfo, sapendo peraltro che sua figlia è la moglie del fratello del re di Giordania. Gli Algerini già mettono le mani avanti, dicendo che egli rappresenterà se stesso e non l’Algeria.
A noi sembra che il signor Brahimi arrivi troppo tardi in questo conflitto, tenendo conto della violenza dei combattimenti e dei successi dell’esercito siriano. E’ forse l’ultima carta, Usa-monarchica, per salvare un progetto egemonista in via di fallimento o sarà l’ultimo mediatore capace di uscire dal conflitto senza molte conseguenze?