Crisi Siriana
Ribelli siriani passano con il governo
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Le Grand Soir, 27 luglio 2013 (trad. ossin)
Ribelli siriani passano con il governo (The Daily Telegraph)
Ruth Sherlock
Djazairi: Le propongo in traduzione integrale un articolo, estratti del quale sono già disponibili in internet, per esempio sul sito di Allain Jules.
Questo articolo illustra una importante iniziativa del governo siriano, per incoraggiare le defezioni tra i ranghi dei gruppi di combattenti “ribelli”. Grosso modo (in italiano nel testo, ndt), si tratta di un dispositivo somigliante a quello della “concordia civile” che ha contribuito alla cessazione quasi completa delle ostilità in Algeria. Ricorda anche la “pace dei valorosi” che il generale De Gaulle aveva proposto ai mujaheddin dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ALN) in Algeria.
La “concordia civile” ha funzionato in Algeria, non senza qualche malumore, mentre l’iniziativa di De Gaulle non ha prodotto alcun risultato.
E’ perché l’efficacia di un simile dispositivo non ha natura intrinseca, ma dipende molto dalla situazione militare e politica sul campo.
La “pace dei valorosi” di De Gaulle aveva dall’altra parte un Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) ed un Esercito di Liberazione Nazionale (ALN) uniti su una linea politica chiara e dotata di un vasto sostegno popolare.
La “concordia civile”, invece, ha permesso di sbarazzarsi di gruppi di guerriglia sparsi, privi di precisi obiettivi politici, e questo è realista nel contesto più generale di una popolazione stufa di massacri e distruzioni. Peraltro, senza essere diventato veramente democratico, il sistema politico è restato aperto al multipartitismo e alcuni partiti hanno anche stretto accordi con il governo. A ciò occorre aggiungere che l’aumento del prezzo degli idrocarburi ha permesso di distribuire sussidi ad una parte della base sociale del Fronte islamico di salvezza…. Attenzione ad una eventuale futura caduta del prezzo degli idrocarburi, dal momento che il paese vive ancora largamente della rendita degli idrocarburi.
La situazione siriana è molto simile a quella della guerra civile in Algeria, con l’unica differenza che le forze “ribelli” hanno adottato la strategia di assumere il controllo delle città anche delle grandi città, mentre l’opposizione armata in Algeria era soprattutto attiva nelle campagne.
E’ stata questa strategia di controllo delle zone urbanizzate che ha conferito il suo carattere spettacolare al conflitto siriano, con le immagini delle città parzialmente distrutte.
E’ proprio questa strategia in definitiva a fornirci informazioni sulla natura dei principali attori propriamente siriani dell’opposizione armata: semplicemente degli ex militari di carriera, il cui obiettivo è certamente di opposizione al governo in carica ma di tipo non diverso dal altri episodi di defezione del passato, avvenuti perfino nella cerchia familiare dell’attuale capo di stato. L’unica differenza è nel contesto regionale attuale, che ha aperto loro delle prospettive insperate (la famosa “primavera araba”).
E’ gente che non ha alcun progetto democratico.
I loro soldati sono peraltro cittadini siriani. I rapporti tra questi ultimi col comando dell’Esercito Siriano Libero (ESL) restano nonostante tutto deboli e le loro motivazioni, come le loro affiliazioni, possono variare, talvolta in funzione di chi paga, sia che si tratti di mercenari, sia che abbiano solo delle famiglie da mantenere.
Si tratta di combattenti particolarmente sensibili a eventuali offerte di amnistia da parte del governo. Perché alcuni tra loro non solo considerano che la guerra è persa, ma anche che il senso della lotta non corrisponde più a ciò che li aveva motivati all’inizio.
In ogni caso, è stato con questa leva dell’amnistia che l’esercito regolare siriano è riuscito a ottenere la resa di una buona parte dei combattenti assediati a el Quseir. Ed è sempre per questa ragione che la battaglia di el Quseir non è sfociata nel massacro che qualcuno prevedeva.
La strategia della “concordia” incontra tuttavia in Siria degli ostacoli che non c’erano nella guerra civile algerina: la presenza di molti combattenti stranieri e l’afflusso di danaro e armi che vengono anch’essi dall’estero. Questo sostegno materiale e politico da parte di importanti potenze, sia al livello mondiale che regionale, porta con sé infatti molte speranze.
Ciò che sembra più o meno chiaro è che il ruolo dell’ESL (Esercito siriano libero) sul campo è al momento molto ridimensionato e che anche la sua fedeltà alla direzione politica (la coalizione dal nome che non finisce più) è per lo meno dubbia, dal momento che il nocciolo duro ed efficace della “ribellione siriana” è fatto di organizzazioni islamiste, verso le quali continua l’afflusso di combattenti stranieri.
Ribelli siriani passano col governo
Ruth Sherlock, The Daily Telegraph – 24 luglio 2013
Centinaia di uomini che avevano preso le armi contro il presidente Bachar al-Assad hanno fatto una nuova defezione e sono passati nuovamente dalla parte del governo.
Delusi dalla piega islamista assunta dalla “rivoluzione” in Siria, sfiniti dopo più di due anni di conflitto e con la sensazione si stare per perdere, un crescente numero di ribelli accettano una amnistia negoziata offerta dal regime di Assad.
Nello stesso tempo le famiglie dei combattenti che si ritirano dal combattimento hanno cominciato discretamente a ritornare nel territorio controllato dal governo, considerato come un luogo sicuro per vivere, mentre il regime continua una intensa offensiva militare contro le zone controllate dai ribelli.
Questa evoluzione è sintomo di una maggiore fiducia in sé stesso da parte del regime, che ha varato quello che viene chiamato un “ministero per la riconciliazione”, il cui compito è di fornire agli ex oppositori la possibilità di riallinearsi con le posizioni del governo.
Ali Haider, il ministro incaricato del dossier, ha dichiarato: “Il nostro messaggio è : Se volete veramente difendere il popolo siriano, deponete le armi e venite a difendere la Siria così come si deve, attraverso il dialogo”.
Il signor Haider, che ha reputazione di moderato all’interno del regime, ha avviato un dispositivo che prevede che i combattenti dell’opposizione depongano le armi in cambio di un salvacondotto verso le zone controllate dal governo.
I combattenti ribelli riconoscono in privato di essere al corrente dell’offerta di amnistia e che taluni hanno scelto di accettarla, anche se dicono trattarsi di una piccola parte di quelli che combattono contro il governo.
“Io mi sono battuto per la rivoluzione, ma adesso penso che abbiamo perso quello per il quale ci battiamo”, dichiara Mohammed, un ribelle mussulmano moderato della città settentrionale di Raqqa, che non ha voluto declinare il suo cognome. “Ora gli estremisti controllano la mia città. La mia famiglia è scappata verso la zona controllata dal governo, perché la nostra città è diventata troppo pericolosa. Assad è terribile, ma l’alternativa è peggio”.
La prevalenza dei gruppi islamisti estremisti nelle zone controllate dai ribelli, soprattutto a nord, ha spinto taluni combattenti dell’opposizione a “abbandonare” la loro causa.
Ziad Abu Jabal è originario di uno dei villaggi della provincia di Homs, i cui abitanti hanno recentemente deciso di abbandonare la lotta contro il regime. “Quando manifestavamo, noi volevamo maggiori diritti – dice – ma dopo aver visto le distruzioni e la potenza degli jihadisti, abbiamo concluso un accordo col governo”.
Il signor Haider dice di avere assistito martedì pomeriggio ad una cerimonia nel corso della quale 180 combattenti dell’opposizione sono stati rinquadrati nelle forze di polizia del governo, dalle quali avevano fatto prima defezione.
Benché non sia stato possibile verificare questa informazione, quando il Daily Telegraph di Londra aveva visitato la sede del ministero della riconciliazione a Damasco, l’ufficio era gremito di famiglie dei ribelli che combattono nella periferia della città, che affermavano che i loro uomini volevano arrendersi.
Un negoziatore del ministero, che ha fornito solo il nome Ahmed, stava organizzando la defezione di un comandante ribelle e di 10 suoi uomini nel settore di Ghouta.
“Ci sono voluti tre mesi di negoziati e questo per noi ha il valore di un test – ha detto – Se tutto va bene, il comandante dice che altri 50 seguiranno”.
Ha descritto le misure prese per permettere il ritorno dei combattenti pronti a deporre le armi. Prima di tutto – dice – un negoziatore deve attraversare la linea del fronte per una riunione nel territorio sotto il controllo dei ribelli. “Dobbiamo sperare che il comandante ribelle ordini ai suoi uomini di non spararci addosso”.
I potenziali transfughi ricevono dei documenti che permettono loro di passare attraverso i controlli dell’esercito regolare, prima di raggiungere un posto sicuro in attesa che i loro nomi vengano cancellati dalla lista delle persone ricercate tenuta dal ministero della difesa e dai servizi di informazione.
I ribelli “non avevano intenzione di entrare nelle organizzazioni islamiste estremiste che oramai hanno guadagnato molta influenza – dice – e adesso vogliono tornare a una vita normale”.
Nei giorni che hanno preceduto la conquista della città di el Quseir il mese scorso, il Daily Telegraph aveva visto dei mediatori alla frontiera libanese lavorare con l’esercito regolare per ottenere una amnistia per i combattenti che avessero accettato di arrendersi.
Il telefono squillava con le chiamate disperate dei parenti dei ribelli. “Queste madri sanno che è l’ultima speranza per i loro figli. Se non depongono le armi adesso, essi morranno perché stanno perdendo la battaglia”, affermava Ali Fayez Uwad, il mediatore.