ProfileCrisi siriana, luglio 2015 - E' in difficoltà lo Stato Islamico? E come mai mantiene l'iniziativa sul terreno? Alain Rodier descrive la tattica militare del califfato, la sua struttura amministrativa, e come governa quotidianamente i territori conquistati (nella foto, il califfo Abu Bakr al-Bagdadi)

 

 

 

Cf2R – Centre Français de Recherche sur le Renseignement, 8 giugno 2015 (trad. ossin)


Iraq/Siria: come funziona Daech?

Alain Rodier


Gli osservatori si meravigliano che Daech riesca a crescere, pur reggendo uno “Stato” che governa dai cinque agli otto milioni di persone. Ciò accade per diverse ragioni, le cui tre principali sono:

1.    Il fanatismo dei suoi attivisti che, convinti della giustezza della causa salafista-jihadista, sognano solo di morire in battaglia, mentre i loro avversari tengono alla vita terrestre e ai loro beni;
2.    L’intelligenza dei capi che, seppure vengono definiti “barbari” dagli Occidentali – che hanno decisamente delle difficoltà a capire come funzionano – non per questo difettano del senso dell’organizzazione: essi hanno avuto la lucidità di organizzare uno sbocco ai loro successi militari;
3.    Una profonda conoscenza e l’utilizzazione dei punti deboli degli avversari, sia mussulmani (gli sciiti, i leader arabi, i “moderati”, ecc) che Occidentali e Orientali.

Una catena di comando decentralizzata

Abou Bakr al-Bagdadi, dal suo vero nome Ibrahim Awwad al-Badri al-Samarrai, è il califfo autoproclamato dello Stato Islamico (IS). Membro della tribù irachena degli Al-Bu Badri, si dichiara discendente del profeta Maometto, per cui porta un turbante nero come gli sciiti. Dopo avere ottenuto un dottorato in religione all’università di Bagdad, ha combattuto contro gli Statunitensi dopo l’invasione del 2003. E’ stato anche detenuto qualche mese a camp Bucca nel 2004, dove avrebbe reclutato alcuni dei futuri adepti. Autorità morale incontestata del movimento, non rinnega Osama Bin Laden, ma di fatto pretende di essere il capo di tutti i credenti e non riconosce alcuna tutela religiosa, meno che mai da parte del mullah Mohamed Omar, che è il “referente” di Al Qaeda “canale storico”. Circondato da una ridotta guardia pretoriana, Al-Baghdadi è costretto a tenersi nascosto per non essere individuato. E’ per questo motivo che, per comunicare coi subalterni, come faceva Osama Bin Laden, egli si serve solo di messaggeri. Per ovviare a queste difficoltà tecniche che gli impediscono di trasmettere rapidamente le sue direttive, ha creato una gerarchia dotata di grande indipendenza d’azione, fino ai livelli più bassi. Globalmente la catena di comando di Daech è centralizzata per ciò che concerne gli orientamenti di carattere generale, ma decentralizzata per la loro realizzazione sul t campo.

Il nocciolo duro del califfato, posto a cavallo tra l’est della Siria e l’ovest dell’Iraq, è logicamente separato in due, benché la frontiera sia stata ufficialmente abolita. L’Iraq è posto sotto l’autorità di Fadl Ahmad Abdullah al-Hiyali – alias Abou Muslim al-Turkmani – un ex luogotenente- colonnello delle forze speciali irachene. La Siria dipende da Abou Ali al-Anbari, un turkmeno iracheno, fisico di formazione, che ha raggiunto il grado di maggiore-generale nell’esercito di Saddam Hussein. Questi due uomini supervisionano le operazioni nelle rispettive zone di responsabilità e garantiscono le vita quotidiana attraverso governatori (emiri) che sono stati designati a capo di dodici province (wilaya) per ciascun paese.

I governatori si appoggiano a dei “funzionari” che “portano avanti la baracca”. Qualcuno di loro, che era in funzione prima dell’arrivo di Daech, soprattutto in Iraq, passa una volta al mese nelle regioni controllate da al-Bagdadi, per percepire il loro salario in contanti. Mantenuti in servizio dai nuovi padroni in virtù delle loro competenze, devono consegnare però parte della paga, come “imposta”, allo Stato Islamico (IS). Quelli che sono stati direttamente nominati dall’IS, soprattutto per sostituire i quadri licenziati perché considerati non affidabili, percepiscono una remunerazione corrispondente alle loro responsabilità.

La popolazione sotto il controllo di Daech beneficia di servizi che vanno dall’alimentazione alla sanità, passando per la giustizia e l’educazione. Per quanto sbalorditivo possa essere, buona parte della popolazione sotto tutela islamica radicale, è soddisfatta di questo stato di cose, in quanto Daech adempie a tutte le funzioni sovrane di uno Stato. E talvolta anche meglio a confronto dell’amministrazione precedente, soprattutto nel campo della sicurezza.

 

 

Flagellazione pubblica di una donna
 


Esistono infatti due tipi di tribunali: quelli religiosi, che sanzionano ogni devianza di comportamento in stretta applicazione dell’islam salafista, ma anche dei tribunali “civili”, nei quali i giudici applicano rigorosamente la sharia che punisce le infrazioni di diritto comune in modo estremamente severo: amputazioni, flagellazioni, crocifissioni… il tutto accompagnato da un massimo di pubblicità perché serva da esempio. Le esecuzioni avvengono in pubblico, e la popolazione è costretta ad assistervi. E’ per questo che la tradizionale corruzione sembra essere sparita. Perfino gli attivisti che si avventurano in operazioni di racket vengono impietosamente puniti. Quando il racket viene fatto dai funzionari per raccogliere i fondi necessari al funzionamento del califfato, questo si chiama “imposta”.

Come in tutti i movimenti jihadisti, l’organismo di comando centrale è la choura (consiglio) che raggruppa diversi comitati, presieduti da “ministri”: religione, giustizia, finanze, esercito, sicurezza, logistica, azione sociale, intelligence, propaganda (definita pudicamente “comunicazione”) ecc.
Gli ultimi due svolgono una attività intensa. Sembra che alcuni ex ufficiali di Saddam Hussein si occupino del funzionamento di questi due organismi, in quanto si avverte l’impronta dei formatori venuti dall’ex blocco dell’est, che hanno seguito l’ex partito Baath fino al 1999. Ciò è particolarmente vero nel campo dell’intelligence che ha adottato i moduli della “Stasi” (1) quando era nel pieno del suo splendore. Vi si ritrovano infatti le tecniche di infiltrazione di agenti nelle zone prese di mira e la capacità di individuare le persone che possono costituire un rischio e quelle che consentono la realizzazione di reti sulle quali fare affidamento. Anche il fatto di sposare donne ben piazzate (nell’amministrazione della Germania ovest per la Stasi (2) e in tribù che poi appoggeranno Daech) è quasi simile.

I social network non esistevano ai tempi della Stasi, ma la propaganda era molto usata per costruire reti di influenza, soprattutto tra l’intellighenzia occidentale (fenomeno che prosegue a più di venti anni distanza dalla caduta dell’ideologia comunista alla sovietica). Gli attuali bersagli sono le popolazioni di origine mussulmana che devono essere convertite al salafismo-jihadismo e i responsabili politici e mediatici occidentali perché non si frappongano ai sinistri disegni del movimento. Si ritrova la stessa combinazione di seduzione/terrorizzazione. E’ vero che in quest’ultimo campo Daech va ben oltre l’orrore provocato dai movimenti terroristi all’epoca pilotati dai paesi dell’est, anche se questi ultimi hanno provocato molte vittime.


Un’organizzazione militare rodata

I quadri di Daech hanno, per la maggior parte, una lunga esperienza di guerra. Alcuni di loro sono ex elementi delle forze armate irachene. In effetti questo movimento è l’erede di Al Qaeda in Iraq, comparso dopo l’invasione statunitense del 2003. Esso è stato accompagnato alla fonte battesimale dal giordano Abou Moussab al-Zarqaoui. Alla morte di questi, nel 2006, i quadri dell’organizzazione si sono uniti allo Stato Islamico dell’Iraq (ISI) che ha duramente affrontato gli eserciti statunitense e iracheno, oltre alle milizie sciite e alcune tribù sunnite. Nel luglio 2012, dopo l’operazione “abbattere il muro”, che ha consentito di liberare molti quadri prigionieri in Iraq, attraverso una serie di operazioni coordinate contro i centri di detenzione iracheni, questi uomini sono passati in Siria per partecipare alla guerra civile che era cominciata nel 2011. Il movimento si è allora battezzato “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (ISIL). Una volta conquistata parte dell’est siriano, l’ISIL ha ripreso l’offensiva in Iraq nel dicembre 2013/gennaio 2014. Il califfato è stato proclamato il 29 giugno 2014.

La guerra simmetrica che oppone un “debole” a un “forte” segue tre stadi, in funzione della potenza militare del “debole”. Mano mano che diventa più forte, esso passa dalle azioni terroriste facili da realizzare con pochi mezzi, alla guerriglia, che mette a dura prova le forze di sicurezza avversarie per, alla fine, giungere alla capacità di affrontare combattimenti convenzionali. Raggiungere questo stadio non impedisce di proseguire con le operazioni di guerriglia e di terrorismo là dove è necessario. Quel che è sintomatico, è che Daech sia giunta in pochissimo tempo al livello della guerra convenzionale (3), anche se non possiede una aviazione (4), né ovviamente una marina degna di questo nome, per quanto usi delle imbarcazioni fluviali lungo il fiume Tigre.

Fino all’inizio degli attacchi aerei della coalizione internazionale nell’estate del 2014, Daech schierava forze del tipo fanteria leggera. Le unità di base erano costituite da battaglioni di circa 300/400 uomini dotati di una cinquantina di veicoli. La struttura era generalmente ternaria: tre compagnie e tre sezioni forti di tre gruppi di combattimento costituiti da una decina di combattenti, senza contare le unità di comando. Come in qualsiasi esercito, gli effettivi spesso non erano completi, una compagnia, una sezione o un gruppo potevano mancare all’appello.

Da quando è cominciata l’operazione internazionale, l’unità di base è tronata al livello della sezione di combattimento, chiamata katiba, che è meno individuabile dall’aviazione. Ciò non impedisce di effettuare dei raggruppamenti tattici quando c’è da realizzare azioni specifiche, specialmente la conquista di posizioni nemiche. E’ quanto abbiamo osservato nel 2015 a Ramadi in Iraq e a Palmira in Siria (5).

I gruppi di combattimento si articolano attorno a due armi collettive, un fucile mitragliatore RPK e un lancia missili del tipo RPG7. Viaggiano a bordo di 4X4, spesso dei pick-up, alcuni dei quali sono armati con mitragliatrici pesanti. Il fuoco di appoggio viene garantito da diverse unità munite di carri – che in tal caso fungono da cannoni d’assalto; di mortai, di alcuni pezzi di artiglieria e anche di missili anticarro.

 

 

Una colonna di Daech

 


Deach presenta tre specificità nell’offensiva:

-    La preventiva raccolta di informazioni attraverso agenti infiltrati o rientrati e di foto aeree provenienti dal net o da droni civili;
-    La capacità di disorientare il nemico. E’ verosimile che Daech utilizzi dei falsi contatti radio per saturare e ingannare gli ascolti dell’avversario. Tormenta permanentemente i dispositivi nemici per impedire che questi ultimi scoprano dove sta veramente per attaccare. I combattenti vestono talvolta uniformi delle forze regolari, ciò che aumenta la confusione nei loro ranghi;
-    L’impiego di veicoli – generalmente blindati – carichi di 1500, e fino a 4500 chili di esplosivo, capaci di creare brecce nei dispositivi nemici, attraverso le quali gli assalitori si riversano approfittando del panico provocato da queste enormi deflagrazioni;
-    Gruppi di cecchini che sparano e uccidono durante gli attacchi: liquidazione di ufficiali, di sentinelle, di addetti alle armi collettive. Se un assalto fallisce, i combattenti possono ripiegare coperti dal fuoco dei cecchini nascosti.

Le operazioni difensive hanno i seguenti caratteri:

-    Piccole unità composte da cecchini vengono lasciate in retroguardia per rallentare l’avanzata del nemico, in postazioni preparate in precedenza, per esempio attraverso delle vie di fuga che passano nel sottosuolo;
-    L’uso sistematico di trappole e mine, particolarmente grazie a ordigni esplosivi improvvisati (IED). Non è infrequente che vengano sistemati sotto edifici che costituiscono una attrazione per il nemico, che decide di istallarsi lì;
-    L’uso intensivo di esche che attraggano il fuoco dell’avversario, in particolare dell’aviazione. Soprattutto attraverso il sistematico dispiegarsi di bandiere dai colori bianchi e neri di Daech. Questa tattica difensiva spiega la lentezza della riconquista della città di Tikrit, anche se gli attaccanti disponevano di una superiorità numerica di dieci contro uno con, inoltre, l’appoggio aereo statunitense.


Conclusioni

I jihadisti-salafisti, per quanto inferiori di numero(6) e soprattutto in potenza di fuoco, mantengono oggi l’iniziativa attaccando dove non ce lo si aspetta ed evacuando le zone dove si sentono minacciati, senza subire perdite rilevanti. Gli Statunitensi affermano che Daech abbia perso il 25% delle regioni conquistate in Iraq, ma omettono di aggiungere che si è trattato di una decisione tattica di IS, che ha subito perdite minime. I 10.000 attivisti dichiarati uccisi dalla coalizione dall’inizio degli attacchi sembrano essere una cifra assolutamente esagerata, propaganda oblige. In ogni modo, il movimento tenta di preservare i suoi migliori combattenti, utilizzando gli ausiliari come “carne da cannone”, soprattutto in attentati suicida. E’ sintomatico d’altronde constatare la capacità psicologica di Daech di riuscire a convincere questa “bassa manovalanza”, spesso straniera, a sacrificarsi. Tale capacità non si spiega solo col fatto che la imbottisce di droga, fatto per altro oggi acclarato.

L’attività di Daech non si limita solo al “cuore” del califfato creato in Medio Oriente. Alle 24 province nelle quali esso è stato suddiviso, si sono aggiunte quelle che sono state create in Sinai, in Libia, in Algeria, nel Caucaso e presto altrove. Basta che un gruppetto – talvolta fino allora rimasto sconosciuto – dichiari la propria fedeltà a Al-Bagdadi, perché la zona in cui questo opera venga dichiarata come nuova provincia del califfato. Al momento queste province non funzionano come quelle dell’Iraq e della Siria, con la sola eccezione forse della regione di Sirte (Libia) e di una piccola parte del Sinai. Ma è certo che il lavoro di infiltrazione degli agenti della intelligence che precede ogni operazione di Daech sia già cominciato.


Note:

(1)    I servizi segreti della Germania Est (Repubblica democratica tedesca/RDT)
(2)    Quelli che venivano definiti i “Romeo” della Stasi
(3)    Il Vietminh ha avuto bisogno di quattro anni per passare dal terrorismo alla guerriglia, e di un tempo analogo per raggiungere lo stadio della guerra convenzionale (Dien Bien Phu)
(4)    Nessuno degli aeromobili caduti nelle mani di Daech era in grado di volare
(5)    La conquista di Palmira solleva delle domande. Come è accaduto che le forze della coalizione non abbiano avvistato le colonne di Daech – alcune delle quali dotate di carri armati – che hanno attraversato centinaia di chilometri di un deserto che non consentiva in alcun modo di nascondersi? Se sono state avvistate, evidentemente non è stato dato l’ordine di intervenire. In questo caso, la cosa ricorda la scelta dell’Armata Rossa sovietica che si fermò, nel 1944, a portata di cannone da Varsavia per lasciare i nazisti liquidare l’opposizione non comunista. Gli Statunitensi e gli Inglesi all’epoca non fiatarono in quanto già preparavano il dopoguerra e le future relazioni con l’URSS
(6)    E’ molto difficile dare delle cifre in quanto occorre fare una distinzione tra combattenti, “collaboratori” e simpatizzanti. Per ciò che concerne i combattenti presenti sul fronte siro-iracheno, 25.000/30.000 uomini, una metà dei quali stranieri, sembra una forchetta realistica.

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