Crisi Siriana
L'offensiva turca in Siria
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), marzo 2018 (trad.ossin)
L'offensiva turca in Siria
Alain Rodier
Con l’operazione “Scudo dell’Eufrate” (24 agosto 2016 – 29 marzo 2017) che ha consentito ad Ankara di assumere il controllo di una striscia di frontiera in Siria – si estende dall’Eufrate, a est, fino al corridoio di Azaz, a ovest -, e poi con l’altra battezzata “Ramo d’olivo”, avviata il 20 gennaio 2018 per tentare di assumere il controllo anche del cantone di Afrin – posto a ovest del corridoio di Azaz -, la Turchia è penetrata militarmente nel territorio di un paese straniero, in violazione di tutte le regole internazionali e senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. Ma la Turchia non è l’unica: ricordiamo che in Siria è presente anche una coalizione militare occidentale, anch’essa in violazione del diritto internazionale. Eppure, piaccia o meno, la Siria resta ancora oggi un paese teoricamente sovrano, con un governo legalmente riconosciuto dall’ONU.
Se l’annessione della Crimea nel 2014 da parte di Mosca e le operazioni – più o meno segrete – realizzate nella parte est dell’Ucraina hanno suscitato la forte condanna del mondo occidentale, le iniziative della Turchia, Stato membro della NATO, non sembrano scandalizzare nessuno. Nessuno parla dei bombardamenti sulla regione di Afrin e delle perdite civili che hanno provocato – ufficialmente più di 150, ma potrebbero essere maggiori –, a differenza di quanto è accaduto per le perdite subite dalla popolazione della Ghuta orientale attaccata dall’esercito siriano. Occorre riconoscere che, a fini di propaganda, il campo occidentale mediatizza a oltranza le vittime civili quando sono provocate dalle forze siriane, mentre le passa sotto silenzio quando sono provocate dai “ribelli” che esso appoggia, o da un esercito alleato.
Curdi in una difficile situazione
Sul campo, le forze militari curde legate al Partito dell’Unione democratica (PYD), le Unità di protezione del popolo (YPG) e il loro pendant femminile (YPJ), anche se soccorse da qualche milizia sciita filo-Assad, non sembrano in grado di opporre una resistenza adeguata all’esercito turco che « accompagna » i movimenti ribelli ad esso fedeli.
Per quanto fosse legittimo nutrire qualche dubbio sull’efficacia operativa delle unità di Ankara dopo le purghe seguite al colpo di Stato abortito del 15 luglio 2016, tutto sommato sembra che la successione abbia fatto tesoro dell’eredità degli ex… Inoltre queste campagne militari, oltre alla guerra combattuta anche all’interno del territorio turco sempre contro il PKK, consentano al presidente Erdogan di « tenere occupato » il suo esercito in altre incombenze che non siano quelle di pensare ad un eventuale golpe.
C’è ancora da rilevare che sia Ahrar al-Cham che Harakat Nour Din al-Zenki, impegnate nell’operazione “Scudo dell’Eufrate” al fianco di Ankara, non sono direttamente presenti nell’operazione “Ramo d’olivo”. Occorre dire che queste due formazioni si sono fuse dandosi il nome di Jabhat Tahrir Souriye (Fronte di Liberazione della Siria) per poter combattere più efficacemente contro Hayat Tahrir al-Cham (HTC) per il controllo della provincia di Idleb (1).
Sul piano tattico, i Curdi non godono – per la battaglia di Afrin – del supporto aereo e di artiglieria della coalizione occidentale. Era questo che aveva loro permesso di riportare i bellissimi successi contro Daesh, in particolare la conquista di Raqqa, la « capitale » del sedicente Califfato (2).
L’ambigua posizione dei paesi terzi
Gli USA si sono « dispiaciuti » che alcune unità curde delle Forze democratiche siriane (SFD) loro alleate abbiano abbandonato il fronte di Deir ez-Zor contro Daesh per raggiungere Afrin e tentare di opporsi all’avanzata turca. Improvvisamente le SFD – in maggioranza composte da combattenti curdi – vengono, secondo le dichiarazioni di responsabili militari statunitensi, invitate a prendersi una « pausa ».
Per contro, Washington è preoccupata anche per l’intento manifestato dal presidente Erdogan di proseguire l’offensiva in direzione di Manbij, più a est, dove sono presenti “ragazzi” statunitensi e potrebbero verificarsi scambi di tiri tra membri della NATO. Il presidente turco ha d’altronde chiesto agli Statunitensi di evacuare tutta la zona, avvertendo che in seguito egli spingerà verso est, oltre l’Eufrate, fino alla frontiera irachena. Gli Statunitensi starebbero quindi esaminando l’ipotesi di evacuare Manbij, l’unica posizione tenuta dai Curdi delle SFD a ovest dell’Eufrate. In tal modo, sarebbe rispettata la promessa fatta a Erdogan di mantenere le SFD ad est del fiume.
Al momento, anche i Russi lasciano fare la Turchia. Corre voce che Mosca potrebbe imporre l’Alt nel momento in cui i Curdi delle YPG accettassero ufficialmente la tutela di Damasco sulla Rojava (il Kurdistan siriano). Ma nessuno sa davvero come le cose potrebbero evolvere, soprattutto se l’esercito regolare siriano si spingesse fino alla frontiera turca. Il rischio di uno scontro diretto con le forze di Ankara sarebbe allora massimo (3).
La Siria – per quanto sia la più interessata – e l’Iran restano al momento sorprendentemente silenziosi. Per Damasco, la cosa potrebbe spiegarsi con la ragione prima evocata: l’attesa che il PYD accetti di sottomettersi al governo di Bachar el-Assad. Gli Iraniani, dal canto loro, non hanno semplicemente i mezzi per opporsi ai Turchi e, comunque, la sorte dei Curdi di Afrin li lascia totalmente indifferenti, tanto più che hanno stretto un « accordo antiterrorista » con Ankara, che si risolve in una collaborazione contro le rispettive minacce separatiste curde.
Quanto a Israele, lo Stato ebraico si sfrega le mani, considerando come benvenuto tutto ciò che possa dividere i suoi avversari attuali o potenziali.
In definitiva, l’esercito turco sta « camminando » nel nord della Siria, certamente al costo di sessanta morti – e più di 260 tra i ranghi dell’Esercito Siriano Libero (SFA) (4) – ma di quanti nel fronte avverso? A inizio di marzo, Ankara ha annunciato di avere neutralizzato 2 777 « terroristi » del PKK (5) e di Daesh – movimento che però è totalmente assente nella zona ! Questi dati devono evidentemente essere presi con le pinze. Tuttavia, anche se membro della NATO, l’esercito turco non assomiglia ai suoi colleghi dell’Alleanza militare: sa ancora incassare perdite di uomini, anche in gran numero. Non si vede all’orizzonte la nascita di un movimento del tipo Peace and Love ad Ankara e a Istanbul che chieda la fine delle operazioni militari, come fu durante la guerra del Vietnam per gli Stati Uniti (6).
Conclusioni
E’ estremamente difficile fare previsioni sugli avvenimenti del Medio oriente, dove le « sorprese » si succedono giorno dopo giorno. Ankara è attualmente impegnata nella creazione di una zona di sicurezza lungo la sua frontiera, sconfinando nella Rojava (Kurdistan siriano) e impedendo in tal modo la creazione di una regione autonoma curda, tutto questo con l’accordo discreto ma tacito di Damasco, che respinge sempre l’idea di uno Stato « federale ». Ma per rafforzare questa zona di sicurezza, occorrerà verosimilmente operare movimenti di popolazione organizzati con la parola d’ordine del « ritorno in patria » dei rifugiati all’estero (7) e all’interno, in modo che i Curdi non siano più maggioritari, rispetto ai Turcomanni e agli Arabi.
Finché tutto questo viene fatto senza creare problemi (8), Washington e Mosca guardano e lasciano fare, in quanto il loro obiettivo ufficialmente è di permettere la « stabilizzazione » del nord della Siria e il ritorno dei rifugiati con gran sollievo dell’Europa. Il sogno di indipendenza curdo sta per svanire una volta di più, nessuna potenza regionale o mondiale avendo interesse alla creazione di un grande Kurdistan. Se certamente in futuro vi saranno rappresaglie contro gli interessi turchi da parte di attivisti filo-PKK, cominciano anche a circolare appelli nelle reti sociali a colpire i paesi occidentali, considerati responsabili di quanto accade attualmente ad Afrin.
Infine, se gli Statunitensi sono oramai persuasi di non poter rovesciare Bachar el-Assad, fanno comunque di tutto per impedire che Russi e Iraniani estendano la loro influenza in Siria. E’ per questa ragione che continuano a rimanere a est dell’Eufrate.
Note:
- Ufficialmente, questi due movimenti salafiti non hanno più alcun legame con Al Qaeda centrale, ma vi sono indizi che fanno pensare che la realtà sia alquanto diversa. In effetti, alcuni quadri di entrambe le formazioni sarebbero rimasti segretamente fedeli a Ayman Al-Zawahiri. Applicando la taqqiya (l’arte della dissimulazione), attendono la loro ora.
- Secondo le fonti, il numero di vittime civili di questa operazione varia da 1 333 e 1 873 ! Ovviamente tali cifre debbono essere prese con infinite cautele.
- Mosca ha registrato, il 6 marzo, le sue più importanti perdite umane dall’avvio delle operazioni in Siria, con l’incidente occorso ad un Antonov An-26 mentre stava avvicinandosi alla base di Hmeimim. I sei membri dell’equipaggio e i 33 passeggeri sono tutti morti. Tra loro, il generale Vladimir Yeremeyev, un colonnello, sei comandanti e trentuno ufficiali subalterni e sottufficiali. E’ probabile che l’episodio spingerà Mosca a servirsi ancora di più di società militari private come il noto « gruppo Wagner ». La morte di mercenari colpisce il sentimento popolare meno di quella dei soldati regolari.
- Ufficialmente, l’operazione Scudo dell’Eufrate è costata 71 morti all’esercito turco, da 470 a 600 ai “ribelli”, e più di 3 000 « terroristi » sono stati neutralizzati. Vi sarebbero stati « solo » 497 civili uccisi, dei quali la stampa occidentale si è ben guardata dal parlare.
- Il PYD siriano è considerato il cugino germano del PKK turco, e ciò è vero. Il suo fondatore, Salih Muslim è inseguito da un mandato di arresto internazionale, che complica i suoi regolari viaggi in Europa. Viene talvolta arrestato e poi rilasciato, con gran rabbia di Ankara.
- In seguito hanno sviluppato il concetto di « zero morti » – nei loro ranghi – anche se non viene sempre totalmente rispettato.
- Secondo lo HCR, cinque milioni, tre dei quali sono in Turchia.
- Ciò vuol dire, per Mosca e Washington, non rimettere in discussione la loro presenza militare. La sorte dei cittadini siriani sembra secondaria.