Il Manifesto, 11 aprile 2008

 

Scioperi e proteste per il pane: Egitto nel caos


Michele Giorgio



Incassato, per l'ennesima volta, il sostegno aperto di Romano Prodi e dell'Italia, partner economico tra i più importanti, il presidente egiziano Hosni Mubarak non nasconde la sua soddisfazione. I governi europei e l'Amministrazione Usa rimangono dalla sua parte, incuranti di abusi e violazioni dei diritti umani e politici in Egitto, e il «faraone» si prepara a festeggiare in pompa magna, il prossimo 4 maggio, il suo 80esimo compleanno. Tuttavia quel giorno si attende una nuova giornata di proteste in tutto l'Egitto a causa della crisi del pane, dell'inflazione galoppante e dell'aumento dei poveri. Nel frattempo non cessano i cortei operai nel Delta del Nilo e le manifestazioni per la democrazia organizzate delle opposizioni culminate il 6 aprile nel giorno della «disobbedienza civile». Mubarak sta affrontando la più profonda crisi sociale ed economica da quando è salito al potere 27 anni fa. Solo l'offensiva lanciata dal Jihad e dalla Gamaa al Islamiyye aveva messo, negli anni '80 e '90, tanto in difficoltà il suo regime.
Sono stati almeno 15 sino a oggi i morti causati dalle resse generate dalle interminabili file per l'acquisto del pane a prezzo calmierato, quello pagato in buona parte dallo Stato e che rappresenta l'alimento principale per i poveri (i sussidi quest'anno costeranno al governo 850 milioni di dollari in più rispetto al 2007, arrivando a 2,67 miliardi di dollari). La crisi del pane, determinata dall'aumento del prezzo internazionale del grano, ha portato nelle ultime settimane migliaia di dimostranti a bloccare strade e città e a contestare il regime, mettendo alle corde il governo di Ahmed Nazif che è stato vicino alle dimissioni. Tardiva è stata peraltro la decisione di blocco dell'export di riso per sei mesi, nel tentativo di tamponare l'emergenza alimentare, mentre le misure adottate dal ministero degli interni - produzione e distribuzione di farina e pane nelle mani dell'esercito - non hanno sortito effetti positivi. «Due sono le possibili spiegazioni - afferma Ahmed Budeiri, un giovane esponente della sinistra egiziana coinvolto nelle proteste operaie a Mahalla (Delta) - la farina calmierata viene rubata in dai fornai che ne vendono un quantitativo sul mercato nero ma più di tutto in Egitto il numero dei fukaara (poveri) sta aumentando di giorno in giorno sotto il peso di un'inflazione che ufficialmente è a 12 ma in realtà è almeno il doppio. Anche la piccola e la media borghesia stanno perdendo potere d'acquisto».
Per Mubarak e i suoi «esperti» tutto ciò non sarebbe una diretta conseguenza dal liberismo economico ormai sfrenato praticato dal governo ma invece della crescita incontrollata della popolazione, passata dai 22 milioni del 1952 ai 76 milioni di oggi. «Privatizzazione» infatti è la parola d'ordine del regime. Il programma è cominciato nel 1991 ma ha avuto un impulso decisivo negli ultimi tre anni, da quando Gamal Mubarak, destinato a prendere il posto del padre alla presidenza, ha cominciato ad influire nelle scelte economiche. Circondato dai suoi fedeli collaboratori - il ministro per gli investimenti Mahmud Muehidin e il docente di diritto del lavoro Ahmad Burai - il giovane Mubarak ha sposato in pieno la linea del Fmi e della Banca Mondiale. E' stato messo in vendita tutto ciò che era possibile cedere, inclusa la storica Banque du Caire destinata a seguire il destino della Banca di Alessandria, ora di proprietà della italiana San Paolo.
La fame aumenta ma il regime nega le sue responsabilità e sbatte in faccia a critici e dissidenti risultati economici in apparenza di tutto rispetto. Nell'ultimo anno la crescita è stata del 7% e gli investimenti dall'estero sono passati da un totale di 450 milioni di dollari nel 2002 agli 11 miliardi del 2007. La «ricchezza» però non arriva alle fasce sociali più deboli e ora sempre più affamate. «La povertà secondo l'Onu è passata dal 16% al 19% ma la miseria è molto più diffusa, riguarda un 30-40% della popolazione che vive con pochi dollari al giorno» dice Mustafa Bassioni, un analista del quotidiano indipendente a-Dostour. In ogni caso il 7% di crescita è stato azzerato dall'inflazione. «Aumenta anche la disoccupazione - sottolinea Bassioni - la politica di privatizzazione e di tagli dei cosiddetti rami secchi ha portato alla perdita di 630 mila posti di lavoro negli ultimi tre-quattro anni
 

  
 
   
 
 

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