Gli Stati Uniti alleati della Siria contro lo Stato Islamico
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espritcors@ire, 27 agosto 2014 (trad.ossin)
Gli Stati Uniti alleati della Siria contro lo Stato Islamico
Richard Labévière
E' la ciliegina sulla torta della diplomazia del fast food: dopo avere urlato, all'unisono con Cameron e Sarkozy; "Bachar vattene", ecco che il presidente Obama chiede il permesso al suo omologo siriano di poter bombardare le postazioni siriane dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante. Non è più uno scherzo della storia, ma un violento calcio nel culo! Questa grottesca giravolta è il risultato di 69 anni di diplomazia statunitense nella gestione delle riserve petrolifere del complicato Oriente. In mancanza di un'approfondita analisi psicologica, una tale schizofrenica contorsione richiede almeno qualche precisazione storica
Un patto fondatore
Il Patto di Quincy (1) è l'atto fondativo a partire dal quale si sono costruite e decostruite le successive posizioni assunte dal Dipartimento di Stato (democratico o repubblicano), fino alla recentissima riconciliazione con la Siria di Bachar al-Assad. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati uniti hanno rimpiazzato in Oriente la Gran Bretagna e, in misura minore, la Francia. Traumatizzati dalle difficoltà di accesso alle materie prime vitali per la loro economia durante il secondo conflitto mondiale, gli Stati Uniti hanno fatto del controllo delle risorse naturali una delle priorità strategiche nazionali. Di conseguenza un patto fondativo si articola su cinque punti:
• La stabilità dell'Arabia Saudita fa parte degli "interessi vitali" degli Stati Uniti che assicurano, come contropartita, la incondizionata protezione della famiglia Saoud e accessoriamente anche quella del Regno contro ogni eventuale minaccia esterna
• Per estensione, anche la stabilità della Penisola arabica e la leadership regionale dell'Arabia Saudita fanno parte degli "interessi vitali" degli Stati Uniti
• Come contropartita la monarchia garantisce l'essenziale dell'approvvigionamento energetico statunitense
• Gli altri punti riguardano il partenariato militare, economico, commerciale e finanziario saudita-statunitense, oltre che la non ingerenza statunitense nelle questioni di politica interna saudita.
Quest'ultimo punto merita una spiegazione. Infatti Washington, non solo ha incoraggiato la leadership saudita su tutto il mondo arabo mussulmano, ma ha tratto il massimo profitto dalla ideologia wahhabita della monarchia petrolifera e dalla sua diplomazia da libretto degli assegni che - dal Marocco fino all'Indonesia - è consistita nell'acquistare le alleanze sunnite ed a "wahhabizzare" la religione del Profeta. In tale contesto, i Servizi USA hanno abbondantemente strumentalizzato la Confraternita egiziana dei Fratelli Mussulmani (ampiamente sostenuta e finanziata dal re Faiçal di Arabia) contro Nasser, contro uno Yemen all'epoca socialisteggiante e contro ogni altra espressione di un nazionalismo arabo sostenuto dall'Unione Sovietica. Si è trattato di una politica che consisteva nel favorire il radicamento dei Fratelli - diventati il principale vettore dell'islamismo politico - nell'Algeria socialista di Boumedienne e nei territori palestinesi controllati da una OLP, all'epoca marxisisteggiante e laica. Poi verrà Hamas, con la benedizione di Tel Aviv e di Washington, e il successo che sappiamo... Questa strumentalizzazione dei "folli di dio" culminerà in Afghanistan nel decennio 1979-1989, dove si vedranno i Servizi USA partecipare attivamente, con il denaro saudita e l'appoggio operativo del Pakistan, alla costruzione di una Al Qaeda (2), impegnata contro l'esercito sovietico. Questo gioco da apprendisti stregoni sopravvivrà alla caduta del Muro e la stessa strumentalizzazione dell'islamismo sunnita proseguirà nelle ex Repubbliche sovietiche mussulmane, in ex-Jugoslavia, nel nord-ovest della Cina, in Africa, se non in Europa...
Scacco a Bin Laden e ai Fratelli Mussulmani
Anche se la creatura Bin Laden si è rivoltata contro i suoi padroni dopo la prima guerra del Golfo (febbraio 1991), i Servizi USA hanno continuato a garantire la promozione globale dei Fratelli Mussulmani, del wahhabismo saudita e dei loro sottoprodotti islamisti militanti, delle loro componenti associative e culturali fino ai gruppi armati... Gli attentati dell'11 settembre non hanno cambiato nulla! Anche se hanno dimostrato una grave disfunzione dell'alleanza USA-Arabia Saudita, questi traumatici attacchi si iscrivono nella pesante logica del Patto di Quincy e non potevano essere 3000 vittime ad alterarne gli interessi sottostanti. L'indomani degli attentati, Zbigniew Brzezinski – che è stato consigliere per la sicurezza del presidente Carter, e oggi consigliere di Barack Obama – ha rivendicato con fierezza la paternità della sconfitta sovietica in Afghanistan e ha collocato le vittime del World Trade Center nella colonna “perdite e profitti” della fine della Guerra Fredda.
Dopo molte esitazioni, il presidente Obama ha finito col decidere – contro il parere di diversi suoi diplomatici e dei Servizi speciali – di voltare la pagina Al Qaeda, ritenendo in prospettiva che la promozione di un islamismo sunnita globale non risponde più in maniera prioritaria agli interessi degli Stati uniti, che si sono spostati verso l’Asia del Pacifico e l’Asia Centrale… Nella notte del 2 maggio 2011, Osama Bin Laden è stato ucciso nella città pachistana di Abbottabab, in una residenza fortificata, sorvegliata dai servizi di informazione statunitensi fin dall’agosto 2010, a circa 50 chilometri da Islamabad e ameno di 140 chilometri dalle regioni tribali, nel corso di un’operazione militare realizzata da una ventina di commandos dell’US Navy. Questa operazione è intervenuta nel particolarissimo contesto della crescita delle mal definite “rivoluzioni arabe”.
Neutralizzando Osama Bin Laden, la Casa Bianca ha tentato di evitare una possibile convergenza tra l’onda d’urto che si propagava dalla Tunisia, l’Egitto, la Libia, lo Yemen, fino alla Siria, con la nebulosa Al Qaeda. Superato dall’ampiezza del movimento, il Dipartimento di Stato ha giocato di nuovo il jolly dei Fratelli Mussulmani, ritenendo che la Confraternita potesse incarnare una sorta di “rivoluzione termidoriana” e assicurare una credibile alternativa politica, non solo in Egitto ma anche in Tunisia e in Siria. I Servizi statunitensi hanno messo in campo molti mezzi ed energie per favorire l’occupazione dei poteri vacanti da parte dei Fratelli Mussulmani. Vittoria effimera: Rached Channouchi – il leader di Ennahdha – è andato al governo in Tunisia, mentre Mohamed Morsi – il presidente del partito Libertà e Giustizia, emanazione dei Fratelli – si è istallato sul trono di Mubarak. Dopo un anno di governo, le casse erano però vuote, e trenta milioni di Egiziani sono scesi in piazza consentendo all’esercito di riprendere il potere. Anche la Tunisia ha conosciuto una evoluzione che ha marginalizzato progressivamente i Fratelli Mussulmani.
Jihadisti locali contro Jihadisti globali
Ma l’ipotesi termidoriana era finita! Occorreva trovare altro rispetto ai Fratelli Mussulmani per assicurare il futuro del controllo del Medio oriente e arginare le velleità di rinascita di Al Qaeda in Siria, dove la guerra civile si è andata generalizzando a partire dall’autunno 2011, col rischio di destabilizzare tutta la regione. I Servizi USA hanno fatto un’altra scelta disastrosa, scommettendo su alcune fazioni islamiste, in favore di una “jihad locale” contro i loro simili, fautori di una “jihad globale”. Così facendo, pensavano di liberarsi del regime di Bachar al-Assad e “travasare gli effettivi di Al Qaeda in Iraq”, secondo l’espressione usata da un responsabile locale della CIA… La Centrale pensava di poter giocare a suo profitto i conflitti di interesse e personali che frammentano la ribellione sunnita. I suoi agenti hanno più volte incontrato il capo dei “jihadisti locali” che comandava una organizzazione chiamata Da’ech, rifornendolo di informazioni, armi e sostegni logistici.
Nel corso dell’inverno 2011-2012, una parte consistente degli effettivi di Da’ech (Iracheni e Siriani) si è infiltrata in Siria per dare man forte alla ribellione che si intensificava contro il regime di Damasco. Questi effettivi hanno costituito il Fronte Al Nosra (soccorso, assistenza o sostegno). E’ interessante ricordare che il nome del gruppo è stato tratto dall’ultima frase di un libro intitolato “L’appello alla resistenza islamica mondiale”, scritto da Abou Moussaab Alsouri (dal suo vero nome Moustapha Al-Rifai Sit Mariam). Siriano, nato ad Aleppo nel 1958, considerato dalle GIA algerine come uno dei loro principali punti di riferimento. L’embrione di Al Nosra aveva fatto parte delle “Avanguardie combattenti”, gruppo dissidente dei Fratelli mussulmani siriani che doveva scatenare la rivolta armata contro gli ufficiali siriani alaouiti che comandavano la piazza, dopo la repressione di Hama nel 1982. A seguito di questi avvenimenti, Alsouri è scappato dalla Siria per unirsi a Abdallah Azam, il mentore di Bon Laden in Afghanistan.
Quest’uomo ha giocato un ruolo importantissimo per tenere insieme tutti i mujaheddin in seno ad Al Nosra. All’inizio questo gruppo ha mantenuto un profilo basso e si è concentrato sulla lotta contro il regime di Bachar al-Assad, non intendendo entrare in conflitto con le altre componenti della rivolta siriana. Al Nosra aveva come emiro designato Abou Mohammad al-Julani. Nell’aprile 2013, Abou Baker al-Baghdadi, l’emiro dello Stato Islamico dell’Iraq dichiarava la fusione della propria organizzazione col paese di Cham e richiamava all’ordine il suo secondo Al-Julani.
Quest’ultimo respingeva la fusione e si appellava a Ayman al-Zawahiri perché arbitrasse il litigio. Il nuovo capo di Al Qaeda non riconosceva la fusione e si pronunciava in favore di Julani e dei suoi “jihadisti globali”. Ma con l’estendersi delle operazioni militari in Siria e il controllo da parte di Da’ech sui pozzi di petrolio siriani, l’autonomizzazione finanziaria ha favorito una forte crescita degli effettivi. L’organizzazione ha ritenuto di essere oramai in grado di creare uno Stato ed autoproclamarsi come “direzione della Jihad mondiale” al posto di Zawahiri e di Al Qaeda… Di fatto Al Qaeda è restata muta sugli ultimi avvenimenti in Iraq, nonostante i reiterati appelli di diversi gruppi armati che si sentivano privati di riferimenti teologico-strategici.
Washington opta per lo Stato Islamico
Questa situazione ha portato alla conquista di Mosul lo scorso 9 giugno. In quel momento ancora i Servizi Statunitensi erano convinti che questo fatto avrebbe loro permesso di pesare sia sulla Siria, che sull’Iran e sul governo filo-iraniano dell’Iraq. La Casa Bianca ha reagito blandamente alla conquista di Mosul da parte degli “jihadisti locali”, che avevano fatto mano bassa nei depositi di armi e nelle casse delle banche della seconda città irachena. Molto sostenuta dai Servizi di informazione turchi e dai finanziatori sauditi, la nuova situazione era la risultante di una convergenza di diversi fattori compositi ed eterogenei, tra cui: una rivolta popolare sunnita contro l’incuria della politica di discriminazione e di corruzione del governo di Nouri al-Maliki; l’esercito della Confraternita Naqshabandi (nome generico dei gruppi armati legati al partito Baath e guidati dall’ex numero due del regime di Saddam Hussein – Ezzat Ibrahim al-Duri); diverse grandi tribù sunnite, al cui interno vi sono molti soldati e ufficiali del vecchio esercito iracheno, licenziati dall’amministrazione militare USA; infine molti cittadini sunniti esasperati dal modo di governare di Maliki.
In un primo tempo, la Casa Bianca ha minimizzato la portata strategica della conquista di Mosul e di un terzo del territorio iracheno, cercando di sbarazzarsi di Maliki attraverso la formazione di un governo di unità nazionale. Washington pensava di avere il controllo della situazione militare: i Servizi Speciali mantenevano i contatti con i “jihadisti locali”, droni e forze speciali erano presenti a Erbil e Baghdad, la frontiera giordana e la capitale irachena erano poste in sicurezza, mentre gli Iraniani avevano ammassato le loro truppe, sufficienti a mettere in sicurezza la loro frontiera col nuovo Stato Islamico. Ma i nuovi amici di Washington si sono rivelati presto incontrollabili: tribunali islamici, rapimenti, decapitazioni, ecc. Lo “jihadismo locale” si è comportato in modo barbaro e minaccia la nuova agenda statunitense. Il presidente Obama ha decretato che lo Stato islamico rappresenta oramai “la prima minaccia terrorista nel mondo”.
Il Califfato modifica il quadro
La proclamazione del Califfato sull’ex territorio dei due primi imperi arabi (Omeyyade in Siria e Abbasside in Iraq), domenica 29 giugno 2014, primo giorno del sacro mese di Ramadan, ha finito per mutare il quadro. Trasformandosi in Califfato, il nuovo Stato islamico minaccia oramai i luoghi santi dell’islam, La Mecca e Medina. I sauditi e le altre monarchie del Golfo sono spaventate. Con l’avallo di Riyadh e delle altre capitali del Consiglio di cooperazione del Golfo, le forze armate statunitensi hanno allora proceduto ai primi bombardamenti aerei contro i siti strategici del nuovo Stato Islamico, nella notte dal 2 al 3 luglio scorsi, Questo tipo di operazione militare può rivelarsi efficace quando il nemico è in movimento, o mentre si sta acquartierando. Ma essendosi oramai impossessati di città, villaggi e oasi, confondendosi con la popolazione locale, i “jihadisti locali” sono adesso più difficili da sloggiare senza importanti “danni collaterali”,
Gli esperti del Pentagono ne sono oramai persuasi: sono necessarie delle operazioni di terra. Bisogna anche prevedere nuovi bombardamenti in territorio siriano, Questa nuova strategia militare richiede il sostegno, se non l’accordo di Teheran e di… Damasco. Dallo scorso marzo, Bouthaina Chaabane – la consigliera di Bachar al-Assad – non nasconde che “Damasco e Washington hanno ristabilito dei contatti dopo molti mesi”. Nel giugno scorso ha incontrato a Oslo il ministro norvegese degli affari esteri, l’ex presidente Jimmy Carter e Jeffrey Feltman, il segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite incaricato del Vicino oriente.
La Casa Bianca ha chiesto l’autorizzazione di Damasco per bombardare delle basi dello Stato islamico in Siria. Troppo contento di accettare, Bachar al-Assad può felicitarsi di vedere quello che voleva “cacciarlo”, chiederli oggi aiuto per eradicare i “jihadisti locali”, quegli stessi che Damasco combatte dallo stesso autunno 2011…
Per la salvaguardia e la promozione dei loro soli interessi, gli Stati Uniti hanno di seguito giocato in 69 anni – dalla firma del Patto di Quincy – la carta del wahhabismo saudita, dei Fratelli Mussulmani, di Al Qaeda e, alla fine, dei “jihadisti locali” dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Questa serie di fiaschi ha prodotto oggi la nascita di una nuova alleanza statunitense con la Siria e l’Iraq. Gli Europei e la Francia verranno dietro. La questione sta tutta nel vedere come i signori Hollande e Fabius si mangeranno il cappello prima di riprendere … il cammino per Damasco!
Note:
1) Il Patto di Quincy è stato firmato il 14 febbraio 1945 a bordo dell’incrociatore USS Quincy tra il re Ibn Seoud, fondatore del regno di Arabia Saudita, e il presidente USA Franklin Roosevelt, di ritorno dalla Conferenza di Yalta. La durata di questo accordo era di 60 anni. E’ stato rinnovato per un analogo periodo di tempo nel 2005 dal presidente George W. Bush, senza grande interesse da parte dei nostri grandi esperti mediatici…
2) Arundhati Roy (trad. Frédéric Maurin): Ben Laden, secret de famille de l’Amerique, Gallimard, coll. “Hors série Connaissance”, 2001, 32 p.
3) Acronimo di Daoulah islamiya fi el Irak wal Cham”, che significa Stato islamico dell’Iraq e del Levante, Da’ech è l’ombrello che copre una moltitudine di componenti islamiste, che si riferiscono ideologicamente sal “salafismo jihadista”, ma con origini nazionali e organizzative diverse: vi si trovano degli attivisti provenienti dall’Arabia Saudita, dalla Cecenia, dalla Libia, dal Marocco, dalla Giordania ecc. Un nocciolo duro e identificabile è costituito da Siriani di Siria e iracheni dell’Iraq.