La bomba atomica di Israele
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Le Atomiche di Sharon
L'arsenale nucleare d'Israele che l'Aiea-Onu non ha mai controllato. Bush e i media internazionali nascondono, ipocritamente, che in Medio Oriente c'è già un paese che possiede armi nucleari
ROHAN PEARCE * - da: http://www.ilmanifesto.it/
Secondo la Federazione degli Scienziati Americani, il tentativo di Israele di accumulare un arsenale nucleare ebbe inizio nel 1948 con l'istituzione di un corpo scientifico (Hemed Gimmel) all'interno dell'esercito israeliano. Nel 1949 l'Hemed Gimmel ispezionò il deserto del Negev alla ricerca di riserve di uranio. Nel 1952 fu creata la Commissione israeliana per l'energia atomica. Nel 1956 la Francia accettò di fornire a Israele un reattore nucleare da 18 megawatt. Dopo l'invasione dell'Egitto da parte di Israele nel 1956, l'accordo fu rivisto per fornire un reattore da 24 megawatt. La Francia acquistò acqua pesante per il reattore dalla Norvegia, tradendo le assicurazioni fornite al governo norvegese che non avrebbe trasferito l'acqua a paesi terzi. I funzionari doganali francesi furono ingannati sulla destinazione di componenti del reattore.
Il complesso che doveva ospitare il reattore fu costruito a Dimona, nella regione settentrionale del deserto del Negev. Per proteggere il programma sulle armi nucleari di Israele e mantenere il segreto su di esso fu creata un'organizzazione apposita, l'Ufficio per le Relazioni Scientifiche. Fra gli stratagemmi adottati da Israele per nascondere la natura del progetto Dimona, vi era quello di descriverlo come un «impianto di manganese».
Nel 1960 i governi israeliano e francese ebbero un contrasto per via del progetto. La Francia chiedeva che Israele rendesse pubblico il progetto Dimona e autorizzasse ispezioni internazionali della struttura. Nonostante questo, la Francia accettò di terminare la spedizione dei componenti del reattore, e Israele assicurò Parigi che non avrebbe costruito armi nucleari. Nel 1964 il reattore divenne operativo.
Del progetto nucleare di Israele erano a conoscenza anche gli Stati uniti, cioè la sua principale fonte di aiuti militari. Secondo Sir Timothy Garden, docente presso l'Università dell'Indiana, nel 1954 Israele firmò un accordo di cooperazione nucleare con gli Usa. Nel 1958 aerei spia Usa fotografarono il complesso di Dimona. Israele acquistò dagli Usa un reattore più piccolo (che difficilmente sarebbe stato utile nella produzione di armi nucleari). Tale reattore divenne operativo nel 1960.
Il ruolo degli Stati uniti
Verso la fine degli anni `60 le ispezioni della Commissione Usa per l'energia atomica negli impianti di Dimona furono ostacolate dall'atteggiamento di non-cooperazione del governo israeliano. Oltre a controllare la tempistica delle ispezioni e la loro estensione, Israele fabbricò falsi pannelli di controllo e murò corridoi per ingannare gli ispettori.
Significativamente, un promemoria del governo Usa dell'ottobre 1969, che riferiva di discussioni tra funzionari del Dipartimento di Stato e un rappresentante della Commissione per l'energia atomica, faceva intendere che il possesso da parte di Israele di impianti per la fabbricazione di armi nucleari non costituiva un problema per il governo Usa. Secondo il promemoria, «il team [della Commissione per l'energia atomica] è giunto alla conclusione che il governo Usa non è intenzionato a sostenere un vero sforzo di `ispezione', in cui gli ispettori del team possano sentirsi autorizzati a porre direttamente domande pertinenti e/o a insistere che venga loro consentito di visionare documentazioni, materiali e simili. Agli ispettori è stato raccomandato di non causare controversie, comportarsi da `gentiluomini' e non manifestare disaccordo con la volontà degli ospiti. In un'occasione sembra che i membri del team siano stati criticati duramente dagli israeliani per essersi `comportati come ispettori'».
Alla fine del 1964 l'impianto di Dimona produceva circa 8 chilogrammi di plutonio all'anno, abbastanza da consentire a Israele di costruire da una a due armi nucleari una volta che il plutonio fosse stato ulteriormente trattato. In Can Deterrente Last? (Buchan & Enright, Londra, 1984) Garden ha scritto che «avendo messo in piedi un sistema stabile di produzione di plutonio fissile, si rendeva necessario un impianto di trattamento che rendesse rapidamente il plutonio utilizzabile per le armi. [...] Israele non ne costruì alcuno. La ragione di questa omissione sembra risiedere nel fatto che Israele riuscì ad acquisire illegalmente uno stock significativo di uranio arricchito. Rapporti della Cia hanno rivelato che Israele ottenne grandi quantità di uranio arricchito con mezzi clandestini'. A questo proposito il New York Times ricordava ai lettori la perdita di uranio altamente arricchito dalla Nuclear Materials and Equipment Corporation ad Apollo, Pennsylvania, nel 1965... Se Israele nel 1965 riuscì a ottenere materiale per armi nucleari, questo spiegherebbe perché non sia stato costruito alcun impianto per la lavorazione del plutonio. Essendosi assicurata una scorta di uranio poteva usare il metodo più lento, ma non controverso politicamente, della separazione del plutonio mediante `laboratorio a caldo', così da accrescere gradualmente la sua scorta».
Alleati dell'apartheid
Dal 1967 fino agli anni `80 Israele ha potuto contare sul Sudafrica dell'apartheid per la fornitura di circa 550 tonnellate di uranio per l'impianto di Dimona. Si dice che nel settembre 1979 i due paesi abbiano tenuto un test congiunto sulle armi nucleari nell'Oceano Indiano. Un articolo apparso su Ha'aretz il 20 aprile 1997 sosteneva che all'inizio degli anni Ottoanta Israele avrebbe aiutato il governo del Sudafrica a sviluppare armi nucleari. Constand Viljoen, ex capo di stato maggiore dell'esercito sudafricano, ha detto a Ha'aretz: «Volevamo acquisire conoscenze sul nucleare da chiunque potessimo, anche da Israele».
La conferma pubblica della produzione di armi nucleari da parte di Israele giunse nel 1986, quando Mordechai Vanunu fornì al britannico Sunday Times fotografie di impianti nucleari israeliani. Vanunu era stato un tecnico presso la struttura di Dimona "Machon 2" dal 1976 al 1985, prima di essere allontanato per il suo coinvolgimento in una politica di sinistra, a favore dei palestinesi. "Machon 2" produce plutonio e componenti per bombe nucleari.
Secondo le rivelazioni di Mordechai Vanunu, nel 1986 Israele possedeva già 200 armi nucleari. Prima che il Times pubblicasse la notizia, Vanunu fu attirato a Roma da un agente del Mossad, la polizia segreta di Israele. A Roma egli fu rapito e riportato in Israele, dove fu condannato con un processo segreto e imprigionato. Le trascrizioni del processo di Vanunu sono rimaste classificate finché alcune sezioni non sono state rese pubbliche dal governo israeliano nel novembre 1999, dopo che il giornale israeliano Yediot Ahronot si era rivolto alla Corte distrettuale di Gerusalemme.
Vanunu è stato condannato a 18 anni di carcere. Ha trascorso i primi 11 anni e mezzo in isolamento. Secondo il fratello di Vanunu, Asher, la prigione di Ashkelon dove Mordechai è detenuto non lo rilascerà fino al 22 aprile 2004, solamente cinque mesi prima del suo fine-pena.
Dopo aver scontato i due terzi della pena, Vanunu ha chiesto la libertà vigilata. La sua richiesta è stata rigettata una prima volta, e poi di nuovo ogni sei mesi. La corte distrettuale di Be'er Sheva doveva esaminare la richiesta di Vanunu alla fine dello scorso ottobre. Secondo Ha'aretz del 9 ottobre, «[Vanunu] intende sostenere che nel 2001 [il ministro degli esteri israeliano Shimon] Peres in un documentario della rete israeliana Channel Two ha rivelato sulla capacità nucleare di Israele molto più di quanto Vanunu non abbia mai rivelato [al Sunday Times]».
Il «dibattito» alla Knesset
La controversia su Vanunu e l'arsenale segreto di armi nucleari di Israele ha portato, all'inizio del 2000, al primo dibattito mai avvenuto alla Knesset sulla politica nucleare.
Il 3 febbraio 2000 Yediot Ahronot ha descritto così il dibattito che riportiamo letteralmente per la sua importanza storica: «L'On. Issam Makhoul (Hadash) ha fatto la storia quando ha dichiarato: `Israele possiede 200-300 bombe atomiche'.
Il ministro Ramon, che rispondeva per il governo, ha ripetuto l'affermazione. `Israele non sarà il primo paese a introdurre armi nucleari in Medio Oriente'. `Non è il messaggero Vanunu ad essere il problema, ma piuttosto la politica di tutti i governi israeliani, che hanno trasformato questa piccola porzione di terra in una discarica nucleare avvelenata e velenosa, che potrebbe portarci tutti in cielo in un fungo nucleare' ha ammonito Issam Makhoul ieri alla Knesset. Makhoul ha fatto la storia quando ha ottenuto il permesso di discutere una proposta sulla politica nucleare di Israele che ha portato al primo dibattito aperto di questo tipo.
Proprio quando Makhoul ha cominciato a parlare, membri del Likud, del Partito religioso nazionale, dello Shas e altri hanno scelto di lasciare l'assemblea in segno di protesta. Makhoul ha affermato che Israele è al sesto posto al mondo per quanto riguarda la quantità di plutonio di alta qualità in suo possesso. 'L'intero mondo sa che Israele è un grande deposito di armi nucleari, biologiche e chimiche, che serve come pietra angolare per la corsa alle armi nucleari in Medio Oriente' ha accusato Makhoul. Secondo lui, Israele ha `200-300 bombe atomiche'.
Membri della Knesset hanno reagito urlando al discorso di Makhoul: `Lei oggi sta commettendo un crimine contro gli arabi israeliani' ha gridato l'On. Ophir Pinnes, capo della coalizione. `Se qualcuno aveva bisogno di una giustificazione sul perché i membri arabi della Knesset non dovrebbero partecipare alla commissione affari esteri e sicurezza, lei l'ha appena fornita', ha concluso l'On. Yosef Pritzky (Shinui)».
* Da: Green Left Weekly - Traduzione di Marina Impallomeni
A cura di Silvia Cattori per Réseau Voltaire.
Intervista esclusiva a Mordechaï Vanunu
Ingegnere al centro di Dimona, Mordechaï Vanunu rivelò al Sunday Times nel 1986 l'esistenza del programma nucleare militare israeliano. Rapito in Italia dal Mossad quando aveva appena preso contatti coi giornalisti britannici e prima che il loro articolo venisse pubblicato, fu giudicato a porte chiuse e imprigionato per diciotto anni. Nonostante gli fosse vietato di avere contatti con la stampa, Mordechaï Vanunu ha risposto alle domande
25 novembre 2005
Silvia Cattori: Che lavoro faceva in Israele prima che gli agenti del Mossad la rapissero a Roma nell'ottobre del 1986?
Mordechaï Vanunu: Lavoravo da nove anni al centro di ricerca in armamenti di Dimona, nella regione di Beer Sheva. Proprio prima di lasciare questo lavoro nel 1986, avevo preso delle foto all'interno dello stabilimento per dimostrare al mondo che Israele nascondeva un segreto nucleare. Il mio lavoro a Dimona consisteva nel produrre elementi radioattivi utilizzabili per la fabbricazione di bombe atomiche. Sapevo esattamente quali quantità di materie fissili venivano prodotte, quali materiali venivano utilizzati e che tipo di bombe veniva fabbricato.
Silvia Cattori: Rivelare - da solo - al mondo che il suo paese deteneva segretamente l'arma nucleare, non voleva dire rischiare moltissimo?
Mordechaï Vanunu: Se l'ho fatto è stato perché le autorità israeliane non dicevano la verità. Si profondevano ripetendo che i responsabili politici israeliani non avevano assolutamente l'intenzione di dotarsi di armi nucleari. In realtà, però, producevano molte sostanze radioattive che potevano servire solo ad un unico scopo: costruire bombe nucleari. Notevoli quantità: ho calcolato che avevano già all'epoca - nel 1986! - più di duecento bombe atomiche. Avevano anche iniziato a costruire bombe a idrogeno molto potenti. Così ho deciso di far sapere al mondo intero cosa tramassero nel più assoluto segreto. E poi, volevo in questo modo impedire agli israeliani di utilizzare le bombe atomiche, per evitare una guerra nucleare in Medio Oriente. Volevo contribuire a portare la pace in questa area.
Avendo già delle armi superpotenti, Israele poteva fare la pace: non doveva più temere alcuna minaccia palestinese, né tanto meno araba, poiché possedeva tutto l'armamento necessario alla sua sopravvivenza.
Silvia Cattori: Era preoccupato per la sicurezza dell'intero paese?
Mordechaï Vanunu: Sì. Certamente. Intendiamoci, non ho fatto tutto questo per il popolo israeliano. Gli israeliani avevano eletto questo governo, e questo governo aveva deciso di dotarli di armi nucleari. Tutti gli israeliani seguono la politica del governo israeliano da molto vicino . ma, per quanto mi riguarda, riflettevo considerando il punto di vista dell'umanità, il punto di vista di un essere umano, di tutti gli esseri umani che vivono in Medio Oriente, e anche di tutti gli esseri umani in tutto il mondo. Perché quello che aveva fatto Israele, potrebbero farlo molti altri paesi. Così', nell'interesse dell'umanità, ho deciso di far conoscere a tutto il mondo il pericolo che rappresentavano le armi nucleari segrete di Israele.
Silvia Cattori: Nel 1986, eravamo in piena Guerra fredda e le armi nucleari proliferavano. Si stavano diffondendo in molti paesi che non avevano ancora il nucleare, come il Sudafrica e altri. Il pericolo rappresentato dalle armi nucleari era reale. Ai giorni nostri, questo pericolo è diminuito.
Sapeva a cosa andava incontro? Perché era lei in particolare, e nessun altro, che doveva rischiare molto?
Mordechaï Vanunu: Certamente, sapevo che stavo rischiando. Ma quello che potevo fare, non avrebbe potuto farlo nessun altro a parte me. Sapevo che avrei avuto a che fare col governo israeliano. Non è come prendersela con degli interessi privati; sapevo che me la stavo prendevo direttamente col governo israeliano e con lo Stato ebreo israeliano. Sapevo quindi che avrebbero potuto punirmi, uccidermi, che avrebbero potuto fare di me quello che volevano. Ma avevo la responsabilità di dire la verità al mondo. Nessuno altro tranne me era in grado di farlo: era dunque mio dovere farlo. Qualunque fossero i rischi.
Silvia Cattori: La sua famiglia l'ha quindi sostenuta?
Mordechaï Vanunu: I miei familiari non hanno capito la mia decisione. Per loro è stato più brutto scoprire di essermi convertito al cristianesimo. Per loro era più dannoso, più doloroso dell'aver rivelato i segreti nucleari di Israele. Li rispetto e loro rispettano la mia vita. Siamo rimasti in buoni rapporti, ma non ci frequentiamo più.
Silvia Cattori: Si sente solo?
Mordechaï Vanunu: Sì. Certo, sono solo qui, alla cattedrale di Saint-Georges. Ma ho molti amici che mi sostengono.
Silvia Cattori: In che condizioni è stato processato e imprigionato?
Mordechaï Vanunu: Il mio processo si è tenuto nel segreto più assoluto. Ero solo col mio avvocato. Sono stato condannato per spionaggio e tradimento. Le autorità israeliane si sono vendicate lasciandomi in isolamento e per tutta la durata del processo. Nessuno era autorizzato a vedermi né a parlarmi, mi vietavano di rivolgermi ai media. Hanno pubblicato molta disinformazione sul mio conto. Il governo israeliano ha utilizzato tutto il suo potere mediatico per fare un lavaggio del cervello all'opinione pubblica. Per lavare anche il cervello dei giudici al punto da convincerli della necessità di mettermi in prigione. Così il mio processo è stato tenuto segreto e i media non hanno avuto la possibilità di accedere alla verità; non hanno potuto sentirmi. Le persone erano convinte che fossi un traditore, una spia, un criminale. Non c'è stato un briciolo di giustizia nello svolgimento. Non c'era solo il processo: la cosa più crudele è stata isolarmi, in prigione. Mi hanno punito non solo tramite la detenzione ma anche isolandomi completamente, spiandomi continuamente, con trattamenti malvagi particolarmente viziosi e crudeli: hanno cercato di farmi arrabbiare, hanno cercato di farmi rimpiangere ciò che avevo fatto. Sono stato tenuto nella cella di segregazione durante diciotto anni di cui dodici anni e mezzo in isolamento totale. Il primo anno hanno messo delle videocamere nella mia cella. Mi hanno lasciato la luce accesa tre anni di fila! Le loro spie mi picchiavano continuamente, mi impedivano di dormire. Sono stato sottomesso ad un barbaro trattamento; hanno tentato di sfiancarmi. Il mio obiettivo era di resistere, di sopravvivere. E ci sono riuscito.
Silvia Cattori: Fortunatamente non hanno cercato di impiccarla, come voleva il ministro della Giustizia di allora, Tommy Lapid. Ha retto bene, ed è stato rilasciato il 21 aprile del 2004. Aveva giusto 50 anni!
Mordechaï Vanunu: Se mi hanno rilasciato è stato perché avevo scontato i diciotto anni di prigione ai quali mi avevano condannato. Volevano uccidermi. Ma, in fin dei conti, il governo israeliano ha deciso di non farne nulla.
Silvia Cattori: Nell'aprile del 2004, le televisioni hanno mostrato la sua scarcerazione. Il mondo ha allora scoperto quello che le era successo. Lei è apparso davanti alle telecamere felice, determinato, combattivo: l'esatto contrario di un uomo distrutto.
Mordechaï Vanunu: Uscire di prigione, andare a parlare a tutto il mondo, festeggiare quel momento.dopo diciotto anni di prigionia, di proibizione di tutto. è stato un grande momento.
Silvia Cattori: I suoi carcerieri non sono riusciti a stroncarla mentalmente?
Mordechaï Vanunu: No, assolutamente no. Il mio obiettivo era di uscire e di parlare al mondo intero, di far capire alle autorità israeliane che avevano fallito. Il mio scopo era di sopravvivere e questa è stata la mia più grande vittoria su tutte quelle organizzazioni di spionaggio. Sono riusciti a rapirmi, a trascinarmi davanti al loro tribunale, a mettermi in prigione, in un posto segreto durante diciotto anni. e io sono sopravvissuto a tutto ciò.
Ho sofferto, naturalmente, ma sono sopravvissuto. Nonostante tutti i loro crimini, sono ancora vivo e sono anche in ottima salute! Sono di forte costituzione, e grazie a questa caratteristica ho superato la prova.
Silvia Cattori: Cosa l'ha aiutata a tenere duro?
Mordechaï Vanunu: La mia fermezza. Il fatto di continuare ad essere convinto che avevo avuto ragione nel fare ciò che avevo fatto. La volontà di far loro capire che, qualunque cosa facessero per punirmi, io avrei continuato a restare in vita.
Silvia Cattori: Qual è l'ostacolo più grande che ha dovuto fronteggiare, attualmente?
Mordechaï Vanunu: Mi hanno vietato di lasciare Israele. Sono stato liberato dalla prigione, ma qui, in Israele, sono in una grande prigione. Vorrei lasciare questo paese, godere della libertà nel vasto mondo. Ne ho abbastanza del potere israeliano. L'esercito può venire ad arrestarmi in qualsiasi momento, punirmi. Sento di essere alla loro mercé. Mi piacerebbe così tanto vivere lontano, molto lontano da qui.
Silvia Cattori: Quando Israele le permetterà di lasciare il paese?
Mordechaï Vanunu: Non ne so nulla. Mi hanno vietato di lasciare il paese per un anno. Passato un anno, mi hanno rinnovato il divieto per un nuovo anno che finirà ad aprile prossimo. Ma possono ancora prolungarmi il divieto tutto il tempo che vorranno.
Silvia Cattori: Che ne pensa del Trattato di non proliferazione nucleare quando, nel caso di Israele, si tollera "l'ambiguità nucleare", mentre si mette costantemente sotto pressione l'Iran - un paese che, tra l'altro, si sottomette alle ispezioni?
Mordechaï Vanunu: Tutti i paesi dovrebbero consentire le ispezioni internazionali e dire la verità su ciò stanno facendo, segretamente, in tutti gli impianti nucleari di cui dispongono. Israele non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare. Centottanta paesi l'hanno firmato, tra cui tutti i paesi arabi. L'Egitto, la Siria, il Libano, l'Iraq, la Giordania. Tutti i paesi vicini a Israele hanno aperto le loro frontiere alle ispezioni dell'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica, n.d.t.). Israele è peggiore esempio. E' l'unico paese che ha rifiutato di firmare il Trattato di non proliferazione nucleare. Gli Stati Uniti e l'Europa dovrebbero cominciare a risolvere il caso di Israele; Israele deve essere considerato come qualsiasi altro paese. Dobbiamo finirla con l'ipocrisia e obbligare Israele a firmare il Trattato di non proliferazione nucleare. Bisogna imporre a Israele il libero accesso degli ispettori dell'AIEA al centro di Dimona.
Silvia Cattori: L'Iran, che adempie ai propri obblighi e accetta le ispezioni dell'ONU, è pur minacciato da sanzioni. Israele, che dispone dell'arma nucleare rifiuta ogni ispezione dell'AIEA, non è oggetto di alcuna azione. Perché "due pesi, due misure" da parte degli Stati Uniti, ma anche dell'Europa?
Mordechaï Vanunu: Va anche peggio di ciò che lei dice: non solo non ce la prendiamo con Israele, ma per giunta aiutiamo segretamente questo paese.
Esiste una cooperazione segreta tra Israele e la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti. Questi paesi hanno deciso di contribuire alla potenza nucleare di Israele per fare di questo paese uno Stato coloniale nel mondo arabo. Aiutano Israele perché vogliono che sia al loro servizio, in quanto paese colonialista che controlla il Medio Oriente, ciò che permette loro di impossessarsi degli introiti provenienti dal petrolio e di mantenere gli arabi sottosviluppati e all'interno di conflitti fratricida. E' questo il motivo principale di questa cooperazione.
Silvia Cattori: L'Iran non rappresenta una minaccia, come affermano Israele e gli Stati Uniti?
Mordechaï Vanunu: Essendo sotto il controllo degli ispettori dell'AIEA, l'Iran non rappresenta alcun pericolo. Gli esperti occidentali sanno perfettamente qual è la natura del programma nucleare iraniano. Contrariamente a Israele, che non lascia accedere nessuno ai suoi impianti nucleari. Questo è il motivo per cui l'Iran ha deciso di agire con risolutezza e di dire al mondo intero: "Non potete esigere più trasparenza da noi, mentre continuate a chiudere gli occhi su quello che accade in Israele!". Tutti gli arabi si rendono conto, dopo quaranta anni, che Israele ha delle bombe atomiche e che nessuno fa nulla a riguardo. Finché il mondo continuerà ad ignorare le armi atomiche di Israele, non potrà permettersi di dire qualunque cosa all'Iran. Se il mondo è davvero preoccupato, e se vuole sinceramente porre fine alla proliferazione nucleare, che cominci dall'inizio, vale a dire con Israele!
Silvia Cattori: Deve averle dato fastidio quando ha sentito Israele, che non è in regola, dire che è pronto a bombardare l'Iran, che, a questo punto, non ha assolutamente infranto alcuna regola!
Mordechaï Vanunu: Sì, mi fa uscire di senno. Non abbiamo nulla da rimproverare all'Iran: prima di fare qualsiasi cosa contro un qualunque altro paese, bisogna occuparsi del caso israeliano. Se qualcuno vuole prendersela con l'Iran, deve, innanzitutto, prendersela con Israele. Il mondo non può ignorare quello che fa Israele, in proposito, da più di quaranta anni. Gli Stati Uniti dovrebbero obbligare Israele a firmare il Trattato di non proliferazione nucleare. Ed è arrivato il momento anche per l'Europa di riconoscere ufficialmente che Israele possiede delle bombe atomiche. Tutto il mondo arabo dovrebbe essere estremamente preoccupato sentendo tutti questi discorsi che incriminano l'Iran, che non possiede alcuna arma atomica, e che continuano ad ignorare Israele.
Silvia Cattori: Quali sono gli stati che hanno cooperato con Israele?
Mordechaï Vanunu: Israele ha aiutato la Francia e la Gran Bretagna nella campagna contro l'Egitto nel 1956. Dopo l'operazione di Suez, la Francia e la Gran Bretagna hanno iniziato a cooperare al programma nucleare israeliano, per ringraziare Israele per il sostegno che ha loro fornito durante quella guerra.
Silvia Cattori: Il Sudafrica non ha aiutato Israele fino al 1991?
Mordechaï Vanunu: E' stato effettivamente in Sudafrica, nel deserto, che Israele ha proceduto ai suoi test nucleari.
Silvia Cattori: Sembra che negli anni sessanta il presidente Kennedy avrebbe chiesto che venissero effettuate delle ispezioni a Dimona in Israele. Lei vede un legame tra questa richiesta e il suo assassinio?
Mordechaï Vanunu: Credo che all'epoca di Kennedy gli Stati Uniti si fossero opposti al programma nucleare israeliano. Kennedy ha cercato di fermare Israele, a riguardo, ma il suo assassinio non gli ha lasciato il tempo. Secondo me, il momento dell'assassinio di Kennedy è legato alla diffusione delle armi nucleari in Israele e in altri paesi. Quelli che l'hanno assassinato erano favorevoli all'espansione nucleare. Grazie all'eliminazione dell'importuno Kennedy, la proliferazione ha potuto continuare. Di fatto, i presidenti Johnson e Nixon [che sono succeduti a Kennedy, ndt] non hanno creato alcun inconveniente: hanno lasciato fare Israele. Constatiamo semplicemente che, dopo l'assassinio di Kennedy, si è manifestato un cambiamento che andava in quella direzione.
Silvia Cattori: La sua denuncia non ha impedito a Israele di mantenere tabù questa questione: è riuscito a non inimicarsi le grandi potenze. La sua strategia poco trasparente non si sarebbe dunque accertata efficace?
Mordechaï Vanunu: E' meglio riconoscere la forza che dire di sì. Israele è un caso che fa scuola. Come può un piccolo paese sfidare il mondo intero e seguire una politica aggressiva senza preoccuparsi affatto degli altri? Gli israeliani sono riusciti a farlo all'epoca. Ma oggi, il mondo è cambiato. La Guerra fredda è finita, il comunismo è sconfitto, il mondo si orienta verso la pace: si capisce, le armi nucleari non aiuteranno Israele in niente.
Adesso che Israele deve mostrare che desidera la pace, e in che modo intende contribuirvi, per questo paese, che utilità potrebbero avere le armi nucleari? La politica nucleare israeliana era possibile nel contesto della Guerra fredda. Ma oggi, dobbiamo far sì che Israele adotti una nuova politica, che dimostri al mondo intero che vuole la pace e che riconosca di non aver assolutamente bisogno delle armi atomiche.
Silvia Cattori: Negli anni cinquanta Israele già disponeva di un considerevole armamento. Che motivo aveva quindi di dotarsi dell'arma nucleare?
Mordechaï Vanunu: Un paese anche piccolo come Israele non ha alcun valido motivo di detenere un numero così vasto di armi atomiche. E' un po' come se il programma di armamento nucleare di Israele gli avesse montato la testa. Non si può in alcun caso usare l'arma atomica nella regione: tutte le bombe atomiche che verrebbero utilizzate contro la Siria, l'Egitto o la Giordania avrebbero effetti radioattivi e renderebbero la vita impossibile anche in Israele. Ogni bomba danneggerebbe anche Israele. Fino a qui, gli israeliani non hanno neanche il diritto di discutere tra loro. Tuttavia, questo problema preoccupa tutti. Attendiamo la risposta di Israele su questo problema.
Silvia Cattori: Per Israele non si tratta di un'arma che gli permette di mantenere lo status quo? Di uno strumento di ricatto politico? E' per poter discutere coi grandi allo stesso livello - Stati Uniti in testa - e non concedere nulla agli arabi, che Israele ha defraudato e che sono deboli militarmente?
Mordechaï Vanunu: Sì, è proprio così. Israele usa la potenza delle armi nucleari per assestare le sue politiche. Israele ha molto potere, annienta i suoi vicini con l'arroganza. Gli Stati Uniti - anche loro! - non sono nella condizione di dire agli israeliani quello che devono fare. L'Europa, oggi, si rende conto della potenza di Israele. Anche senza usare la bomba atomica, anche senza brandire la minaccia che gli farebbero, gli israeliani possono imporre il loro potere, posso fare assolutamente ciò che vogliono: possono innalzare muraglie, possono edificare colonie in Palestina, nessuno è nella condizione di dire loro che non hanno il diritto di farlo perché sono estremamente potenti. Si tratta del risultato dell' uso delle armi atomiche a scopi di ricatto politico. Possono usare la bomba atomica contro ogni paese che vorrebbe fermare la loro politica aggressiva verso i palestinesi. Questa è la situazione oggi. Il mondo intero lo sa, tutto il mondo lo sa. C'è un'altra ragione per cui né gli Stati Uniti né l'Europa fanno nulla: loro sanno fino a che punto Israele è potente. Di conseguenza, il modo migliore di neutralizzare Israele consiste nel far sapere la verità al mondo e nel studiare quello che succede, nel campo dell'armamento atomico, finché vi rinuncia.
Silvia Cattori: Israele ha pensato di ricorrere all'arma nucleare contro i suoi vicini arabi nel 1973?
Mordechaï Vanunu: Sì. Nel 1973, Israele era pronto a utilizzare delle armi atomiche contro la Siria. E contro l'Egitto.
Silvia Cattori: Per aver rivelato un segreto di Stato, lei ha molto sofferto. Alla fine, per quale risultato?
Mordechaï Vanunu: Innanzitutto, il mondo ha adesso la prova che Israele possiede delle armi atomiche. Nessuno, oramai, può più ignorare la verità per quanto riguarda il progetto nucleare di Israele. Detto questo, Israele si è trovato nell'impossibilità di ricorrere a queste armi. Un altro risultato della mia azione riguarda il fatto che il mondo ha preso coscienza di ciò che ha fatto questo piccolo Stato ebreo, nel segreto più assoluto. E il mondo ha anche scoperto su quali menzogne e su quale disinformazione è stato edificato questo Stato. Il fatto di sapere che un paese così piccolo sia stato capace di fabbricare segretamente duecento bombe atomiche ha contribuito ad allettare l'opinione pubblica mondiale sul suo comportamento.
La paura che un altro piccolo paese possa fare la stessa cosa e fabbricare delle armi atomiche ha stimolato il mondo a riflettere sulla maniera di fermare la proliferazione nucleare e di impedire ad Israele di aiutare altri paesi ad usare queste armi, in futuro. Quando il mondo è venuto a conoscenza di ciò che Israele ha fatto nel più grande segreto, si è manifestata la paura per la proliferazione nucleare. Il mondo ha preso coscienza del potere di Israele e ha iniziato ad esercitare delle pressioni su questo paese per costringerlo a fare la pace coi palestinesi e col mondo arabo. Israele non aveva più alcun motivo di affermare che temeva i suoi vicini arabi dal momento che disponeva, dalla fine degli anni cinquanta, di una quantità di armi sufficiente per assicurare la sua sicurezza.
Silvia Cattori: Per quale ragioni Israele continua a perseguitarla?
Mordechaï Vanunu: Quello che ho fatto ha irritato molto gli atteggiamenti politici israeliani! Gli israeliani hanno dovuto cambiare i loro piani. La politica nucleare segreta di Israele è l'opera di Shimon Pérès. Ed ecco che è stata distrutta questa politica che consiste nel fabbricare armi atomiche clandestinamente. A causa di questa rivelazione, Israele ha dovuto prendere una nuova direzione, definire nuovi piani e quello a cui assistiamo oggi è la conseguenza delle mie rivelazioni. Hanno dovuto inventare nuovi tipi di armi. Oggi, costruiscono il muro, i check-point, le colonie e hanno fatto in modo di rendere la società ebrea più religiosa, più nazionalista, più razzista. Invece di andare in un'altra direzione, invece di comprendere che esiste anche la soluzione della pace, invece di riconoscere ai palestinesi gli stessi diritti e di porre fine al conflitto. Israele non vuole porre fine al conflitto. Ciò che vuole Israele è continuare a costruire la sua muraglia e le sue colonie.
Silvia Cattori: Lei ha compiuto una vera e propria impresa!
Mordechaï Vanunu: In qualità di essere umano, ho fatto qualcosa per la sicurezza e il rispetto dell'umanità. Ogni paese ha il dovere di rispettarci, tutti, in quanto esseri umani, qualunque sia la nostra fede religiosa, ebrei, cristiani, musulmani, buddisti. Israele ha un grosso problema: non rispetta gli esseri umani. Quello che ha potuto fare, perchè non considera gli esseri umani uguali, è assolutamente terribile. Per l'immagine di Israele, il risultato è devastante; lo Stato di Israele non è in nessun caso una democrazia. Lo Stato di Israele è razzista. Il mondo dovrebbe sapere che Israele mette in pratica una politica di apartheid: se si è ebrei, si ha il diritto di andare dove si vuole e di fare ciò che sembra giusto; se non si è ebrei, non si ha alcun diritto. Questo razzismo è
il vero e proprio problema con quale Israele si confronta. Israele è assolutamente incapace di dimostrare di essere una democrazia. Nessuno può accettare questo Stato razzista: né gli Stati Uniti né l'Europa. Le armi nucleari israeliane, potrebbero, a rigore, accettarle . Ma come potrebbero giustificare questo Stato di apartheid fascista?
Silvia Cattori: Sembra che lei si rifiuti di riconoscere la legittimità di questo Stato?
Mordechaï Vanunu: Certamente. E' quello che ho detto quando sono uscito di prigione: noi non dobbiamo accettare questo Stato ebreo. Lo Stato ebreo di Israele è l'opposto della democrazia; noi abbiamo bisogno di uno Stato per tutti i suoi cittadini, a prescindere dalla fede religiosa. La soluzione è uno Stato unico per tutti i suoi abitanti, di tutte le religioni come succede nelle democrazie quali la Francia o la Svizzera, e non uno Stato solo per gli ebrei. Uno Stato ebreo non ha assolutamente alcun motivo di esistere. Gli ebrei non hanno bisogno di un regime fondamentalista come quello che regna in Iran. Le persone hanno bisogno di una vera e propria democrazia che rispetti gli esseri umani. Oggi, in Medio Oriente abbiamo due Stati fondamentalisti: l'Iran e Israele. Ma in materia di fondamentalismo, Israele è molto in anticipo, anche sull'Iran!
Silvia Cattori: Secondo lei, Israele è, quindi, una grande minaccia più dell'Iran?
Mordechaï Vanunu: Intendiamoci: sappiamo ciò che gli israeliani fanno subire al popolo palestinese da più di cinquanta anni! E' arrivato il momento di ricordarsi dell'olocausto palestinese e di preoccuparsene. I palestinesi hanno sofferto così tanto, e da tantissimo tempo, per questa oppressione. Gli ebrei non li rispettano affatto, non li considerano esseri umani; non riconoscono loro alcun diritto e continuano a perseguitarli, a mettere in pericolo la vita dei palestinesi e, di conseguenza, anche il loro stesso avvenire.
Silvia Cattori: Cosa ha da dire al mio paese, la Svizzera, che è depositaria delle Convenzioni di Ginevra?
Mordechaï Vanunu: La Svizzera dovrebbe condannare chiaramente e ad alta voce la politica razzista di Israele, vale a dire tutte le violazioni dei diritti dei palestinesi, così come dei musulmani e dei cristiani. Ogni paese deve esigere dal governo israeliano che vengano rispettati coloro che non sono ebrei in quanto esseri umani. Di fatto, io non ho il diritto di parlarle, non sono autorizzato a parlare a degli estranei; se lo faccio comunque, è a mio rischio e pericolo. Israele ha utilizzato i risarcimenti dell'Olocausto per fabbricare armi, per distruggere case e beni dei palestinesi. Sarei molto contento se il suo paese mi rilasciasse un passaporto e mi aiutasse a lasciare questo paese, Israele. Qui la vita è molto dura. Se si è ebrei, non si ha alcun problema; se non lo si è (o non lo si è più), si è trattati senza il minimo rispetto.
Note:
Silvia Cattori è una giornalista svizzera
Fonte : www.voltairenet.org
Link : http://www.voltairenet.org/article129626.html
14.10.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FLORIANA FIGURA
Mordechai Vanunu spiega perché ha rivelato al mondo i segreti nucleari dello stato ebraico
«Ho parlato per salvare Israele»
Restrizioni: ieri la Corte suprema di Israele ha confermato: dopo 18 anni di carcere per il tecnico vietati viaggi all'estero e contatti con stranieri
FREDRIK S. HEFFERMEHL - Il Manifesto - 27 luglio 2004
Ieri la Corte suprema israeliana ha confermato le restrizioni imposte a Mordechai Vanunu, che nel 1986 rivelò al mondo l'esistenza del programma nucleare segreto dello stato ebraico. Il tecnico, che ha finito di scontare 18 anni di carcere per spionaggio, sostiene di non avere più segreti da rivelare e aveva quindi presentato ricorso contro il divieto di espatriare e di contattare stranieri. In realtà Vanunu non ha mai rivelato segreti, né collaborato con potenze straniere, ma ha semplicemente reso publico il pericolo che Israele potesse auto-infliggersi un Olocausto. Quando, nel 1986, fornì al Sunday Times fotografie del reattore di Dimona ha rivelato al grande pubblico quanto già era noto nei circoli d'affari e negli ambienti militari internazionali. Ha inferto così un duro colpo all'ambigua politica nucleare di Israele e ruppe un tabù dello stato ebraico.
Abbiamo parlato con lui prima dell'udienza della Corte suprema israeliana. «Questo stato ha uno strano concetto di giustizia», ci ha detto. «L'udienza è stata pubblica 20 minuti all'inizio e 15 minuti alla fine. In circa due ore e mezza, i tre giudici hanno ascoltato a porte chiuse prove e testimoni - in modo talmente segreto che né io né i miei avvocati siamo stati autorizzati ad assistere».
Nella sessione di 15 minuti con Vanunu e i suoi avvocati, i giudici si sono concentrati sul diario che Vanunu ha scritto in carcere nel 1991, in cui forniva una precisa ricostruzione del reattore di Dimona. «Si trattava solo di un modo per tenere la mente in allenamento in anni di totale isolamento - ha spiegato Vanunu - ma lo stato continua a sottolineare che io posso riprodurre informazioni sul programma atomico in ogni momento. Quello che non dicono è che ciò che io posso riprodurre non è segreto e non può danneggiare la sicurezza nazionale israeliana. Non può quindi costituire la base per ulteriori restrizioni. Se i giudici continueranno ad applicare questa ragion di stato, vorrà dire che non potrò ottenere piena libertà finché non avrò perso la memoria, un'idea un po' assurda di giustizia. E anche senza senso, dal momento che non vedo molta gente a cui poter rivelare i miei segreti - se mai ne ho. Al contrario, lo stato ha potuto vedere quali sono le mie idee. Sono stati i miei studi di questioni morali e filosofiche a spingermi a fare un atto di coscienza. Hanno letto le lettere che ho scritto negli ultimi 17 anni e mezzo. Forse non sono stato completamente leale ai miei superiori, ma la mia intenzione era proteggere Israele e il mondo da un immenso pericolo, una potenziale ecatombe. Sfido il governo a mostrare un solo caso in cui ho agito in modo sleale o volto a danneggiare Israele».
Secondo il diritto internazionale, Israele deve restituire a Vanunu i suoi pieni diritti di cittadino. L'unica eccezione a questa regola possono essere motivi di «sicurezza nazionale». Nella prima breve udienza i giudici hanno sottolineato che la questione della sicurezza era un elemento chiave nel caso. Esperti sia israeliani che stranieri sostengono che Vanunu non ha segreti interessanti. Se uno stato vuole invocare la sicurezza nazionale, deve specificare quali sono queste ragioni. I segreti che Vanunu potrebbe rivelare sono già ampiamente disponibili al grande pubblico. Oggi, su Internet è possibile trovare molte più informazioni sulle armi nucleari di quante ne abbia mai avute Vanunu.
Vanunu è orgoglioso di aver fatto da battistrada per molti altri: «Negli ultimi tempi, gli informatori sono usciti allo scoperto rapidamente, senza aspettare decenni per rivelare ciò di cui sono a conoscenza. La guerra in Iraq è piena di esempi di soffiate, che hanno prodotto notevole imbarazzo al presidente Bush e al premier britannco Tony Blair. Mi piacerebbe vedere qualcuno che fornisse rivelazioni su come i servizi di sicurezza stanno montando questa storia di Vanunu come persona pericolosa e nemico principale dello stato».
Gli ho domandato cosa lo avesse spinto a fare la sua soffiata. La sua risposta è stata sorprendente: «Hollywood! Ho visto film sulla devastazione nucleare come Sindrome cinese e The Day After. Nel 1986 c'è anche stato il disastro di Chernobyl. Tutti questi impulsi, insieme alle mie ricerche in filosofia, mi hanno spinto a mettere in guardia il grande pubblico e a cercare di avviare un dibattito democratico sul rischio nucleare».
E in effetti, dopo il rilascio di Vanunu il dibattito sul nucleare sta montando in Israele. Il tecnico pensa che lo stato dovrebbe ringraziarlo invece di punirlo a vita.
Note:
FREDRIK S. HEFFERMEHL: Avvocato norvegese, vice-presidente dell'International Peace Bureau e membro dell'International Free Vanunu Committee.
Quanto affermato da Vanunu nell'articolo che precede trova sostanziali conferme in alcuni brani di Paolo Barnard che riporto (Paolo Barnard, Perché ci odiano, BUR 2006; pagg. 226-229):
L'armamento nucleare non conviene ad Israele
L'arsenale nucleare dello Stato ebraico fu svelato con certezza al mondo intero solo nel 1986, quando il tecnico nucleare israeliano dissidente Mordechai Vanunu raccontò al «Sunday Times» di Londra dell'esistenza di circa 200 testate atomiche in Israele, fornendo prove fotografiche concernenti gli impianti di produzione. Vanunu divenne all'istante il ricercato numero uno da Tel Aviv, e in una sporca vicenda da film di spionaggio su cui grava il sospetto della complicità del nostro Paese, il tecnico fu irretito da una bella spia, attirato a Roma per poi essere sequestrato dai Servizi segreti israeliani che lo riportarono in patria. Fu condannato a diciotto anni di carcere, di cui undici passati in isolamento, che sconterà interamente per poi subire ulteriori vessazioni appena liberato. Akiva Orr, l'ex partigiano d'Israele della guerra del 1948 e oggi uno dei più sagaci e colti intellettuali israeliani viventi, ha commentato nel corso di una nostra recente conversazione l'odissea di Vanunu sottolineandone un lato grottesco: «Il suo processo fu una farsa, perché Israele non ha mai ammesso di avere armi nucleari e dunque Mordechai fu condannato per aver rivelato un segreto che coloro che lo hanno processato sostengono non esista neppure».
Dunque nel 1986 il mondo ebbe la certezza che Israele era a tutti gli effetti una potenza nucleare, e gli Stati arabi reagirono di conseguenza. Spiega Orr: «Quella data coincide con l'accelerazione fra i Paesi arabi della gara per acquisire armi di distruzione di massa, soprattutto biologiche e chimiche, da contrapporre all'arsenale israeliano. Nacque così la corsa agli armamenti non convenzionali nel Medioriente, per colpa di Israele». Ma sempre secondo l'intellettuale ebreo, la miopia di Ben Gurion finì per trasformare quello che secondo le intenzioni dello statista doveva essere un deterrente contro la minaccia di distruzione dello Stato d'Israele per mano araba, nell'esatto contrario: «L'aver portato la competizione al livello più alto, e cioè quello del confronto atomico, ha paradossalmente indebolito il nostro Paese come mai prima. Per comprenderlo basta un semplice ragionamento: poniamo che Israele attacchi per primo l'Iran. Teheran avrebbe sicuramente il tempo di reagire e di lanciare i suoi ordigni, poiché la sua superficie è talmente vasta che è impossibile neutralizzarlo in un colpo solo. Al contrario la superficie di Israele è assai piccola ed è densamente popolato, in particolare i due centri urbani di lei Aviv e Haifa. Ciò significa che in pratica può essere distrutto da appena due bombe H, una su ciascun centro, poiché la loro devastazione significherebbe l'annientamento dei gangli nevralgici della nazione. Ammesso anche che Israele fosse poi in grado di lanciare un secondo attacco, a che servirebbe visto che sarebbe già sostanzialmente distrutto». La conclusione di Akiva Orr è che l'unica strada affidabile sarebbe un trattato di denuclearizzazione di tutto il Medioriente iniziando proprio dal disarmo di Israele. Ma sappiamo bene che gli Stati Uniti hanno da tempo cessato di esercitare pressioni affinché Tel Aviv firmi il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, e tacciono sull'opportunità che gli ispettori internazionali visitino i suoi centri di ricerca atomica, in una palese e ipocrita contraddizione con quanto invece hanno fatto nei confronti dell'Iran o, ancor di più, dell'Iraq.
Teheran, come è ormai più che ovvio, altro non vuole se non tutelarsi dal dilagante e unilaterale espansionismo militare degli Stati Uniti e soprattutto dalla minaccia nucleare originata da Israele nell'area mediorientale, e dunque l'unica via per fermare gli Ayatollah sembra essere proprio quella suggerita da Orr.
Una sorprendente conferma di queste tesi si trova in un rapporto americano commissionato dal Pentagono nel 2005 e intitolato Getting Ready for a Nuclear-Ready Iran, i cui curatori sono gli strateghi Henry Sokolsky e Patrick Clawson, che hanno lavorato sotto la supervisione del U.S. Army War College's Strategie Studies Institute.
Si tratta di pensatori di tendenza conservatrice, e nel caso di Clawson decisamente prò-Israele essendo vicedirettore dell'Institute for Near Easf Policy, una delle potenti lobby di cui ho trattato in precedenza. Eppure persino questi falchi americani sono giunti alla conclusione che «... se Israele possiede un arsenale nucleare segreto, gli arabi penseranno che sia giusto bilanciarlo con programmi di armamento atomico segreti in Iran, in Arabia Saudita o in Egitto, e altri. È per caso giusto che gli Stati Uniti e l'Europa pretendano che gli Stati musulmani mediorientali frenino le loro "pacifiche" ambizioni nucleari quando Israele stesso possiede la bomba e pubblicamente sostiene che non arriverà secondo nell'introdurre armi atomiche nella regione? Non avrebbe più senso forzare Israele ad ammettere che possiede questi armamenti nucleari e poi pretendere che vi rinunci nel contesto di un negoziato di disarmo regionale?».
La proposta concreta di Sokolsky e Clawson è che «... Israele dovrebbe annunciare che congelerà unilateralmente Dimona e che porrà l'istallazione sotto la tutela della IAEA (Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica). Allo stesso tempo dovrebbe annunciare che (in teoria) è pronto a smantellare Dimona e a riporre il materiale nucleare che ha prodotto sotto la supervisione di una patema atomica di sua fiducia, come ad esempio gli Stati Uniti. Ma questo secondo passo avrà una con-, dizione: che almeno due su tre nazioni mediorientali (es. Alge-. ria, Egitto o Iran) seguano Israele nel congelamento da qui ai prossimi tre anni delle loro installazioni nucleari in grado di produrre plutonio e uranio arricchito in quantità sufficienti per una bomba».19
Trovo rimarchevole che persino all'interno dell'establishment militare statunitense vi sia chi si è arreso di fronte all'insostenibilità del nostro sistema di due pesi e due misure applicato alla questione nucleare in Medioriente, ma ancor più degno di nota è scoprire che tali posizioni erano mainstream (dominanti) fra i conservatori americani già più di quindici anni fa, quando il dibattito era ancora allo stadio larvale. Lo dimostra un articolo pubblicato nell'estate del 1989 dall'autorevole «Foreign Affairs», un periodico organo del Council On Foreign Relations di Washington, che si può definire la regina incontrastata delle fondazioni dedite agli studi di strategia internazionale in America e la cui opinione è tradizionalmente considerata «il Verbo» alla Casa Bianca. Gli autori, Gerard C. Smith e Helena Cobban, dopo aver sottolineato che fra le nuove sfide poste al blocco occidentale dal crollo dell'Impero sovietico vi era proprio l'impegno a impedire una disordinata proliferazione nuclea-i re, si permettevano di criticare gli Stati Uniti perché «... hanno frequentemente adottato un atteggiamento permissivo soprattutto verso due Jolly atomici come il Pakistan e Israele...», una doppiezza morale che avrebbe potuto giocargli un brutto scherzo in futuro, poiché «... il fatto che gli USA chiudano un occhio quando ad acquisire armi nucleari sono i suoi amici finirà per andare contro ai suoi interessi, e deve assolutamente cessare»20
19 Getting Ready for a Nuclear-Ready Iran, Henry Sokolsky e Patrick Claw-son, October 2005. Strategie Studies Institute, U.S. Army War Colleges, 122 Forbes Ave, Carlisle, PA 17013-5244.
20 «Foreign Affairs», A Elind Eye to Nuclear Proliferation, Gerard C. Smith e Helena Cobban, 1989. .