Quando nulla cambia, ecco cosa ci resta…
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Gowans.wordpress, 2 aprile 2016 (trad.ossin)
Sionismo, genocidio e tradizione coloniale nella nuova Siria
Quando nulla cambia, ecco cosa ci resta…
Stephen Gowans
ISIS è un “genocida autoproclamato dalla sua ideologia e dalle sue azioni” – Segretario di Stato John Kerry (1)
“Se dovessimo scegliere tra ISIS e Assad, sceglieremmo il primo” – ex ambasciatore di Israele negli Stati Uniti, Michael Oran, attualmente membro della Knesset (2)
L’International Association of Genocide Scholars (Associazione internazionali di ricercatori sui genocidi) ha accusato Daesh di genocidio nei confronti dei mussulmani sciiti, oltre che degli Yazidi e dei Curdi in Medio Oriente. I Knights of Columbus (Cavalieri di Colombo) hanno espresso la loro inquietudine per i tentativi dell’organizzazione militante sunnita di eliminare i cristiani dal suo califfato in Siria e Iraq. Il segretario di Stato John Kerry ha denunciato Daesh per la sua natura genocida, che si esprime – come egli ha detto – attraverso le sue proclamazioni, la sua ideologia e i suoi atti (3). Però, se si desse allo Stato di Israele (che per giustificare la sua esistenza invoca abbondantemente il genocidio nazista anti-ebraico) la possibilità di scegliere tra Daesh e Assad, preferirebbe il primo. O almeno è questo che dice l’ex ambasciatore israeliano e membro della Knesset, Michael Oren, e il suo punto di vista sembra essere condiviso dal pensiero strategico israeliano dominante. Shimon Peres, quando era presidente di Israele, aveva anticipato Oren affermando di sperare che i ribelli siriani – dominati da Al Qaeda e i loro progenitori – potessero vincere (4).
L’articolazione ufficiale di Al Qaeda in Siria, Jabhat al-Nusra, controlla in coordinamento coi militari israeliani, (5) le alture del Golan e il territorio situato lungo la frontiera siriana con Israele (6). Le forze militari israeliane affermano di essere giunti ad una “intesa” col gruppo, che Washington e i suoi alleati ufficialmente condannano come terrorista, e ad una “familiarità” con le forze di Al Qaeda sul campo. A prendere per buone le dichiarazioni di ufficiali militari israeliane (7), l’alleanza Israele-Al Qaeda sarebbe “estremamente tattica”. La cosa non è sfuggita all’attenzione del governo di Damasco. Il presidente siriano Bachar el-Assad ha dichiarato agli affari esteri che gli Israeliani “sostengono i ribelli in Siria”.
“La cosa è del tutto evidente, giacché ogni qualvolta noi avanziamo, (Israele) lancia un attacco per indebolirci. E’ evidente, ed è per questo che qualcuno in Siria scherza dicendo: “come si può dire che Al Qaeda non possiede aviazione? Hanno l’aviazione israeliana” (8).
“Forze sunnite controllano da 2/3 al 90% della frontiera sulle alture del Golan, ma non attaccano Israele”, dice Amos Yadlin, ex direttore dei servizi di informazione israeliani, notando che i militanti di Al Qaeda “sanno bene chi è il loro vero nemico” e “non è Israele” (9).
Infermieri israeliani “pattugliano la frontiera e curano i feriti. Dopo un esame preliminare, alcuni vengono curati sul posto, altri trasportati in un ospedale di campagna per cure chirurgiche di base e la riabilitazione o, se hanno bisogno di interventi importanti, vengono trasportati al Centro medico Ziv, nella città israeliana di Tsflat, a circa un’ora di cammino” (10) Dal 2013 al 2015, 1500 militanti sunniti hanno attraversato la frontiera di Israele per essere sottoposti a trattamenti medici (11). Taluni, se non la maggior parte, appartenevano alla filiale siriana di Al Qaeda. (Leggi anche qui e qui)
Allora, se non è Israele il vero nemico di Al Qaeda, come dice Yadlin, chi lo è? E perché?
L’asse della resistenza
“Non v’è alcun dubbio che Hezbollah e l’Iran sono considerati da Israele come le maggiori minacce, molto più degli islamisti sunniti radicali… “Amos Yadlin (12)
Il filosofo Thomas Kapitan sostiene che la questione del conflitto israelo-palestinese può essere posta nei termini di un conflitto tra occidentali e arabi giacché Israele è stata creata e sostenuta in Medio Oriente dall’intervento occidentale. Nello stesso tempo, esso può essere posto anche nei termini di conflitto occidentale-islamico, perché comporta l’impianto di uno Stato ebraico estraneo nel cuore del mondo islamico (11).
Io direi che l’Iran sente il conflitto come occidentale-islamico, la Siria come occidentale-arabo e Hezbollah nell’uno e nell’altro modo. Le prospettive di questi tre protagonisti che compongono “l’asse della resistenza” sono anti-imperialiste, anticolonialiste e antisioniste, per quanto siano giunti a queste posizioni partendo da tre punti di partenza diversi. Il filo conduttore che lega questa alleanza è politico, non religioso. Come spiega Anne Barnard sul New York Times, “nonostante il presidente Bachar el-Assad e molti dei capi degli organismi di sicurezza appartengano alla setta alauita, legata allo sciismo, essi si considerano alleati dell’Iran e di Hezbollah per ragioni strategiche e politiche, in senso laico e non religioso” (14).
Il filo conduttore politico che lega l’alleanza è l’opposizione al sionismo, vale a dire l’ostilità all’idea che uno Stato ebraico si impianti su un territorio rubato ai Palestinesi – in gran parte mussulmani – che sono stati cacciati dalle loro case. L’appoggio all’autodeterminazione palestinese costituisce il tema politico centrale dell’Asse della Resistenza.
La costituzione siriana ha scritto in sé l’ostilità ad uno Stato ebraico esclusivista, costruito su territori rubati ai Palestinesi, e ciò nel contesto del riferimento all’intervento coloniale dell’Occidente nel mondo arabo. Il preambolo della Costituzione dichiara che la Siria è “il cuore pulsante dell’arabismo, la linea del fronte nello scontro col nemico sionista e lo zoccolo della resistenza contro l’egemonia coloniale sul mondo arabo e le sue capacità di sviluppo”. (15)
L’opposizione iraniana al sionismo non è meno determinata, ma viene male interpretata, a ovest, come una minaccia militare radicata nella xenofobia anti-ebraica. Ma, come spiega Glen Kassler del Washington Post, la guida suprema iraniana Ali Khamenei “è stata coerente, ricordando continuamente che l’obiettivo non è la distruzione militare dello Stato ebraico, ma la sconfitta dell’ideologia sionista e la dissoluzione di Israele attraverso un referendum popolare “(16).
Secondo Khamenei:
“La proposta della Repubblica islamica, per risolvere il problema palestinese e sanare questa vecchia ferita, è una iniziativa chiara e logica, fondata su concetti politici condivisi dall’opinione pubblica mondiale… Noi non proponiamo di lanciare una guerra classica con gli eserciti dei paesi mussulmani per rigettare in mare gli ebrei… Noi proponiamo l’indizione di un referendum da parte della nazione palestinese. La nazione palestinese, come qualsiasi altra, ha il diritto di stabilire la propria identità e scegliere il proprio sistema di governo “(17).
Hezbollah è stato creato nel 1982 per respingere l’invasione israeliana del sud del Libano, recuperare i territori libanesi non ancora restituiti da Israele (le masserie di Shebaa) e difendere il paese da future aggressioni israeliane; è anch’esso impegnato a promuovere il diritto di autodeterminazione dei Palestinesi. Il proprio obiettivo, spiegato dal segretario generale dell’organizzazione Sayyed Hassan Nasrallah, è di “respingere il progetto sionista”, vale a dire lo smantellamento dell’apparato-Stato sionista impiantato su un territorio rubato, e fondato sulla negazione dell’autodeterminazione palestinese (18). Raggiungere questo obiettivo, secondo Hezbollah, significa la restituzione ai legittimi proprietari palestinesi di “tutta la Palestina.. dal mare (Mediterraneo) al fiume (Giordano)”. (19)
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), una organizzazione palestinese di resistenza, gioca un ruolo piccolo ma importante nell’Asse della Resistenza. Ritiene che il conflitto arabo-sionista non possa essere risolto o portato a termine con una soluzione a due Stati, ma solo con la realizzazione di una democrazia laica su tutto il territorio della Palestina storica, dove tutti i cittadini siano eguali (20). L’obiettivo storico del FPLP è quello di promuovere un unico Stato democratico in Palestina (21). Ahmed Saadat, il segretario generale del FPLP in prigione, dice che il conflitto in Medio Oriente non può risolversi se non con la creazione di un unico Stato per Palestinesi ed Ebrei (22). E’ significativo che il FPLP, una organizzazione laica e marxista, sia in gran parte finanziata dall’Iran (23), smentendo la leggenda che l’Asse della Resistenza si fondi su legami religiosi, piuttosto che politici antisionisti, piuttosto che anticolonialisti.
L’idea di smantellare l’apparato statale sionista in Palestina è un progetto non diverso dalla lotta contro l’apartheid in Africa del Sud. E’ un progetto antisionista, che non è antiebraico e non si propone la distruzione degli ebrei, come la lotta anti-apartheid contro i bianchi non mirava alla distruzione della comunità di origine coloniale europea in Africa del Sud. Al centro di entrambe le lotte vi è l’idea anticolonialista e dell’autodeterminazione dei popoli autoctoni.
L’Arabia Saudita: base della reazione araba
L prospettiva dell’Arabia Saudita e quella delle tirannie consimili del Golfo è la “fedeltà alle potenze neocoloniali e sioniste”, come hanno denunciato alla Knesset di Israele alcuni deputati dei partiti arabi, reagendo alla definizione di Hezbollah come organizzazione terrorista (24). Il fatto che Hezbollah sia sceso in campo, con la Siria, l’Iran e la Russia, contro le atrocità e il terrorismo settario di Al Qaeda e delle sue ramificazioni, è verosimilmente la vera ragione dell’ostilità da parte delle monarchie arabe reazionarie verso l’organizzazione libanese di resistenza.
Sayyed Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, precisa che “il solo Stato, entità o esistenza, che Israele considera come una minaccia esistenziale è la Repubblica islamica di Iran” (25). Ma perché non l’Arabia Saudita? Uno Stato arabo e mussulmano - e dunque, a voler credere alla retorica israeliana, risolutamente ostile verso Israele. L’Arabia Saudita è il quarto Stato al mondo per stanziamenti militari, superato solo da Stati Uniti, Cina e Russia (26) Riyadh spende, pro-capite, più di qualsiasi altro paese al mondo in spese militari, più di Israele, che è al secondo posto, e degli Stati Uniti, che sono al terzo. Con 81 miliardi di dollari, le spese militari dello Stato saudita sono più di sei volte superiori al budget annuale, comparativamente modesto, di difesa dell’Iran, vale a dire 13 miliardi di dollari. Proprio alla luce di un simile significativo squilibrio, Israele dovrebbe certamente considerare l’Arabia Saudita come una minaccia ben maggiore dell’Iran. Tanto più che le spese militari della tirannia saudita sono cinque volte maggiori di quelle di Israele. Per contro le spese militari di Israele sono superiori a quelle dell’Iran. Come è possibile allora che l’Iran, e non il colosso militare saudita, venga percepito come una minaccia esistenziale per Israele? Non è coerente, salvo che non si riconosca che l’Arabia Saudita è, come hanno detto i partiti arabi alla Knesset, al servizio “delle forze neocoloniali e sioniste”.
Le monarchie araba, fin dalla nascita, sono state una sola cosa con l’imperialismo occidentale e hanno agito come suoi agenti locali; in cambio della protezione contro le loro popolazioni. In effetti questi Stati sono creazioni dell’Occidente. “Le frontiere artificiali che delimitano tali Stati sono state concepite da imperialisti impegnati a costruire barriere intorno ai pozzi di petrolio negli anni 1920” (27). L’Arabia Saudita non è un’eccezione. Come osserva Sayyed Nasrallah, la dittatura della famiglia Saud “è stata imposta con il sostegno, il denaro e l’artiglieria britannica, e fa parte integrante del piano coloniale britannico per tenere sotto controllo” gli Arabi (28) L’appoggio britannico alla tirannia della famiglia Saud resta più forte che mai. Il Primo Ministro britannico David Cameron aveva messo l’anno scorso in ridicolo l’Union Jack (la bandiera nazionale inglese, ndt) in occasione della morte del despota saudita, il re Abdullah, evento emblematico della assoluta ipocrisia dell’élite britannica, che si prosterna dinanzi ai tiranni tagliagole, misogini e islamisti della penisola arabica, mentre si pavoneggia in tutto il mondo, sotto i tacchi del padrone statunitense, come campione della democrazia.
Attualmente l’Arabia Saudita, non meno di Israele, svolge la funzione di più importante alleato regionale della dittatura internazionale degli Stati Uniti. E, in quanto protetti di questa dittatura, i leader sauditi si sono da molto tempo riconciliati con l’idea che esista, al centro della nazione araba, uno Stato ebraico che ne interrompa la continuità verso l’Africa e l’Asia. Come Israele, l’Arabia Saudita è una satrapia statunitense. Essa trasferisce importanti somme provenienti dal petrolio alle banche di investimento statunitensi, spende moltissimo nell’acquisto delle armi di questi paesi; e di conseguenza si trova collocata nell’improbabile posizione di quarta maggiore potenza militare del mondo, nonostante sia popolata da soli 30 milioni di persone, un decimo della popolazione degli Stati Uniti.
La dittatura della penisola arabica è impegnata nella regione in una guerra contro le forze neocolonialiste che rifiutano l’egemonia degli Stati Uniti e di Israele e che insistono senza tregua sull’autodeterminazione dei Palestinesi. Essa tenta di indebolire e minare queste forze progressiste, servendosi della religione per raggiungere l’obiettivo profano di deviare la resistenza nei confronti del progetto imperialista occidentale verso guerre contro “apostati” e “infedeli”. Gli apostati e gli infedeli finiscono per essere non altro se non gli anticolonialisti della regione, i nazionalisti laici, i socialisti o i comunisti, oltre agli Iraniani e ad Hezbollah sostenuto dall’Iran, che rifiutano l’intervento occidentale nei mondi arabi e mussulmani, sia in forma diretta che per procura ad Israele o alle monarchie arabe. Per nascondere queste differenze politiche, l’islam politico ispirato dai Sauditi denuncia come infedeli quei laici che rifiutano l’organizzazione della società sulla base del Corano, mentre gli Iraniani e Hezbollah vengono condannati per apostasia a causa della loro diversa interpretazione dell’islam. Le questioni religiose relative agli infedeli e agli apostati vengono sfruttate con machiavellismo come cortine fumogene per nascondere le differenze politiche e lanciano un segnale di mobilitazione ai fedeli sunniti contro le forze progressiste,
La natura della tirannia saudita è stata recentemente riconosciuta dal New York Times. Il giornalista Ben Hubbard ha scritto: “Il paese è stato fondato su una alleanza tra la famiglia dei Saud, i cui membri sono diventati i monarchi, e un leader religioso chiamato sceicco Muhammad Ibn Abdul-Wahhab, la cui dottrina è servita a giustificare la conquista militare, con l’attribuzione della qualifica di jihad alla conquista militare contro persone considerate infedeli e che erano, per lo più, anch’essi mussulmani” (29). Niente oggi è cambiato. Con l’Arabia Saudita parte integrante dell’Impero statunitense, le ideologia ispirate dal wahhabismo, cui aderiscono Al Qaeda e le sue ramificazioni, vengono usate per giustificare la conquista militare dei territori dove si concentra una forte opposizione agli Stati Uniti e al colonialismo sionista, definendola come un jihad contro gli infedeli laici – il governo siriano – e gli apostati – l’Iran sciita e Hezbollah.
Nasrallah precisa che la resistenza araba e mussulmana contro Israele è stata continuamente strumentalizzata ad altri fini, con gran profitto degli Israeliani. Rimette in discussione le priorità dei combattenti venuti “da ogni parte” per partecipare alla “guerra in Afghanistan” negli anni 1980, contro un governo marxista-leninista e i militari sovietici intervenuti per sostenerlo. Non rimette in discussione la legittimità di questa lotta, ma ne contesta il carattere di priorità, stimando che la sconfitta dell’ideologia sionista e lo smantellamento dell’apparato statale dello Stato esclusivamente ebraico nel cuore del mondo arabo e mussulmano sia il primo e più urgente obiettivo per i suoi correligionari. (Leggi qui)
L’Arabia Saudita ha giocato un ruolo di primo piano nella diffusione dell’islamismo. Gli Islamisti “in vari momenti nel corso del secolo scorso”, sono stati “utili alleati” delle Potenze occidentali, di Israele e delle monarchie arabe.
“Un esempio tra gli altri: i Fratelli Mussulmani a Gaza e in Cisgiordania hanno, nel corso degli anni 1980, inviato giovani mussulmani palestinesi ardentemente radicali in Afghanistan per combattere contro l’esercito sovietico… Hanno fatto ciò sulla scorta del curioso argomento che la strada del vero jihad dovesse essere cercata, non tanto resistendo all’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza, ma piuttosto nella lontanissima Asia Centrale. Servizi segreti di molti Stati hanno appoggiato questo jihad, e anche la CIA e i Servizi sauditi e pakistani. Inutile dire che le autorità di occupazione israeliane e i loro vigili servizi di intelligence hanno guardato a questo sviluppo con benevola indulgenza, incoraggiando qualsiasi movimento che promuovesse la partenza di questi giovani radicali e indebolisse il fastidioso nazionalismo rappresentato dall’OLP” (30)
Dopo l’Afghanistan, “ci hanno immediatamente fabbricato una nuova priorità”, spiega Nasrallah. I Sauditi “hanno fabbricato una nuova guerra e inventato un nuovo nemico chiamato espansionismo iraniano. Hanno radicato nell’animo di molti gruppi islamici l’idea che il nemico sia l’Iran e che la priorità fosse di frenare il pericolo, l’ideologia e l’espansione sciita, e che il pericolo sciita costituisse una minaccia maggiore per il mondo mussulmano di Israele e del piano sionista”. E tuttavia i Sauditi non avevano mai dimostrato alcuna ostilità nei confronti dello Scia di Persia, uno sciita “amico di Israele” e uno dei poliziotti di Washington (31). La maggior parte dei seguaci dell’ideologia patrocinata dai Sauditi credono che la lotta contro gli apostati e l’opposizione allo sciismo siano più importanti della resistenza al colonialismo sionista (32). Ciò naturalmente è grasso che cola per i colonialisti e i loro sponsor occidentali.
Secondo Nasrallah, i Sauditi hanno nascosto le questioni politiche sotto un “rivestimento settario”:
“In Egitto, attualmente, vi è un conflitto politico, una profonda polarizzazione. E’ un conflitto settario? No, è politico. In Libia vi è un conflitto grave e una profonda polarizzazione. Ha caratteri settari? In Tunisia vi è un grave conflitto politico e anche in Yemen. Sì, quando si tratta di paesi caratterizzati da un pluralismo ed una varietà religiosa, come la Siria, il Libano, l’Iraq e il Bahrein, la questione si riveste di settarismo, quando si tratta invece di un conflitto politico. Questo conflitto è politico. Perché lo si è trasformato in conflitto settario? Fanno questo intenzionalmente e non per ignoranza. Oggi questo settarismo è una delle armi più distruttive della regione” (33).
“Questo non è un conflitto tra religioni, ma tra una Potenza che ha un programma di resistenza (Iran, Siria, Hezbollah) ed un'altra che è filo-colonialista (le monarchie arabe), ma queste ultime vorrebbero far credere che si tratta di un conflitto religioso” (34. Workers World, 1° giugno 2008).
La tradizione coloniale
Alla radice del conflitto in Medio oriente, la questione è di stabilire se uno Stato esclusivamente ebraico, fondato su un territorio sottratto ai Palestinesi, abbia il diritto di esistere. La risposta è chiara: ha altrettanto diritto di esistere quanto ne aveva lo Stato di apartheid dell’Africa del Sud, vale a dire nessuno. Ciò non vuol dire certamente che gli Ebrei non abbiano il diritto di vivere e prosperare in uno Stato paritario e democratico da costruire sul territorio della Palestina storica. Al contrario, è impensabile una soluzione del conflitto che comporti l’espulsione dei coloni ebraici dalla Palestina, almeno quanto non sarebbe stato ragionevole o realista pretendere, negli anni 1990, di espellere dall’Africa del Sud i bianchi di origine europea. Ma solo uno Stato democratico, che garantisca uguali diritti a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro religione – tenuto conto della coerenza di accordi di tal genere con i principi largamente accettati di uguaglianza politica, oltre al precedente dello smantellamento del regime razzista bianco in Africa del Sud – appare non solo auspicabile, ma realistico e in grado di mobilitare l’appoggio dell’opinione pubblica mondiale. Non è infatti l’opinione pubblica mondiale che garantisce il mantenimento del colonialismo sionista, ma è il sostegno che Israele ha da parte di Washington, in quanto avamposto in Medio Oriente dell’imperialismo statunitense, che costituisce un ostacolo.
In conclusione, le mail di Hillary Clinton quando era segretaria di Stato USA, recentemente svelate da WikiLeaks, rivelano che l’obiettivo della politica statunitense in Siria è quello di rovesciare il governo nazionalista arabo filo-palestinese, per colpire l’Asse della Resistenza e il suo perno centrale, l’Iran. Tre anni fa, Nasrallah diceva questo pubblicamente: “Israele sa che i più importanti sostegni della resistenza in Libano e in Palestina sono la Siria, e naturalmente la Repubblica islamica dell’Iran. E’ per questa ragione che intende escludere la Siria dall’Asse di resistenza e colpire la resistenza in Palestina e in Libano” (34)
Per riuscire a sbarazzarsi della Siria, Israele – uno Stato che pretende, almeno in parte, di essere nato come terra d’asilo dopo il genocidio degli ebrei perpetrato in Europa – si accorda con delle organizzazioni che perseguono loro specifici piani genocidi, nell’ambito del più grande progetto neocoloniale mirante ad attizzare le divisioni in Medio Oriente per indebolire i progetti di autodeterminazione dei popoli autoctoni della regione. I programmi coloniali europei sono spesso ricorsi al genocidio per imporre il dominio dei coloni europei sulle popolazioni autoctone. Ma non è il genocidio in se stesso che dobbiamo considerare, ma a fortiori la sua origine, la tradizione coloniale – di cui anche il sionismo è una espressione – della quale il genocidio costituisce una pratica abituale. Ed è questa tradizione che merita la nostra risoluta opposizione.
Il più grande di tutti gli olocausti non è stato, per quanto osceno possa essere, quello perpetrato contro gli Ebrei in Europa da parte della Germania nazista, anche se accompagnato dallo stermini sistematico di altri gruppi, come i Rom, i comunisti e gli Slavi. Se dobbiamo stabilire quale è stato il più grande, e attribuire ad esso il carattere che è stato attribuito a quello contro gli Ebrei, con la “O” maiuscola, allora bisogna riferirsi a quello enorme, di cui poco si parla, ed è quello degli Amerindiani. In termine di numero di esseri umani sterminati, l’Olocausto amerindiano è forse il peggior crimine in assoluto della tradizione coloniale europea.
Occorrerà notare che il regime di Hitler esprime l’ideologia e la pratica coloniale europea nella forma più estrema. I suoi metodi si sono ispirati a quelli inaugurati dalla Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti per costruire vasti imperi, e dal Belgio e il Portogallo, per costruirne di più modesti. Ciò che ha reso Hitler reprensibile agli occhi dell’Occidente, non è stata la brutalità dei suoi metodi e della sua ideologia razzista – perché queste provenivano direttamente dalla tradizione coloniale europea – ma di aver cercato di costruire un impero tedesco a est, portando in tal modo in Europa i metodi e il razzismo che i Britannici avevano usato in India, i Francesi in Africa e in Indocina, e i giovani Stati Uniti per la costruzione di un impero continentale. Hitler ha detto che l’Europa centrale e orientale, ivi compresa la Russia, sarebbero stati per la Germania quel che fu il “West” per gli Stati Uniti e l’India per i Britannici. Nel suo Discorso sul colonialismo, Aimé Cesaire sottolinea: “Quel che (gli Occidentali) non possono perdonare a Hitler, non è il crimine in se stesso… ma il crimine contro l’uomo bianco, e il fatto che abbia utilizzato dei metodi coloniali europei che, fino a quel momento, erano esclusivamente riservati agli Arabi in Algeria, ai coolie in India e ai negri in Africa” (35). Il nazismo era un colonialismo imposto agli Europei. Riflettendo sugli errori del colonialismo nazista in Europa, gli Occidentali potrebbero cominciare a comprendere gli orrori e le oppressioni coloniali equivalenti che l’Ovest ha imposto agli Arabi, ai Persiani e ai Palestinesi, a mezzo del loro avamposto israeliano, per non parlare del carattere politico e dell’ideologia che i governi occidentali e i loro alleati perseguono ancora oggi in Medio Oriente.
Note:
1 Matthew Rosenberg, “Citing atrocities, John Kerry calls ISIS actions genocide,” New York Times, 17 marzo 2016.
2 Yarolsav Trofimov, Israel’s main concern in Syria: Iran, not ISIS, The Wall Street Journal, 17 marzo 2016.
3 Rosenberg, 17 marzo 2016.
4 Patrick Seale, “Only a ceasefire will end the nightmare in Syria,” Gulf News, 26 luglio 2012.
5 Yaroslav Trofimov, “Al Qaeda a lesser evil? Syria war pulls US, Israel apart,” The Wall Street Journal, 12 marzo 2015; Trofimov, 17 marzo 2016
6 Isabel Kershner, “Scanning borders, Israel surveys new reality of tunnels and terror,” The New York Times, 11 febbraio 2016.
7 Trofimov, 12 marzo 2015.
8 “Syria’s president speaks,” Foreign Affairs, 25 gennaio 2015.
9 Trofimov, 12 marzo 2015.
10 Ashley Gallagher, “Some wounded Syrians seek treatment from Israeli hospitals,” Al Jazeera America, 18 marzo 2014.
11 Trofimov, 12 marzo 2015.
12 Trofimov, 12 marzo 2015.
13 Thomas Kapitan, “The Israeli-Palestinian Conflict,” in Thomas Kapitan ed., Philosophical Perspectives on the Israeli-Palestinian Conflict, 1997.
14 Anne Barnard, “Muslim shrine stands at crossroads in Syria’s unrest,” The New York Times, 8 aprile 2014.
15 http://sana.sy/en/?page_id=1489
16 Glen Kessler, “Did Ahmadinejad really say Israel should be ‘wiped off the map’?” The Washington Post, 6 ottobre 2011.
17 Kessler, 6 ottobre 2011.
18 “Sayyed Nasrallah: Never to leave Palestine, ‘Israel’ scheme toppled in Lebanon, ” http://www.english.alahednews.com.lb/essaydetails.php?eid=30020&cid=385#.Vv_xacv2bcs
19 “Sayyed Nasrallah’s full speech on Al-Quds day,” 10 luglio 2015.http://www.english.alahednews.com.lb/essaydetails.php?eid=29890&cid=564#.Vv_xm8v2bcs
20 “PFLP affirms that PLO membership does not mean acceptance of the ‘two-state solution’”, PFLP web site, 2 marzo 2009, http://www.pflp.ps/english/?q=pflp-affirms-plo-membership-does-not-mean-acceptan.
21 Paula Schmitt, “Interview with Leila Khaled,” 972 blog, 17 maggio 2014.
22 “Jailed PFLP leader, “Only a one-state solution is possible,” Haaretz, 5 maggio 2010.
23 Creede Newton, “Paradise is in the life, not the next: the Marxists of Gaza are fighting for a secular state,” vice.com, 25 febbraio 2016.
24 Trofimov, 17 marzo 2016.
25 “Sayyed Nasrallah’s full speech on Al-Quds day, 10 luglio 2015.
26 Bank of America Merrill Lynch, “Transforming World Atlas,” 4 agosto 2015.
27 Robert Dreyfuss, The Devi Game: How the United States Helped Unleash Fundamentalist Islam, Holt, 2005, p. 99.
28 Full speech delivered by Hizbullah Secretary General Sayyed Nasrallah, on the commemoration ceremony held in honor of Sheikh Mohammad Khatoun, 3 gennaio 2016.http://en.abna24.com/service/middle-east-west-asia/archive/2016/01/03/728497/story.html.
29 Ben Hubbard, “ISIS turns Saudis against the Kingdom, and families against their own,” The New York Times, 31 marzo 2016.
30 Rashid Khalidi, The Iron Cage: The Story of the Palestinian Struggle for Statehood, Beacon Press, 2006, xxx.
31 Sayyed Hassan Nasrallah’s speech on al-Quds Day, 10 luglio 2015.http://www.english.alahednews.com.lb/essaydetails.php?eid=29846&cid=385#.Vv_yjsv2bcs
32 Radwan Mortada, “Why isn’t the Islamic state fighting Israel?,” Al Akhbar English, 2 agosto 2014.
33 Sayyed Hassan Nasrallah’s live speech on al-Quds Day, 2013.
34 Sam Dagher, “Hezbollah says weapons coming from Damascus,” The Wall Street journal, 9 maggio 2013.
35 Aimé Césaire, Discourse on Colonialism, Monthly Review Press, 2000, p. 36.