Lehava semina l’anarchia a Gerusalemme
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Aljazeera, 4 dicembre 2016 (trad. ossin)
Israele: Lehava semina l’anarchia a Gerusalemme
Johnathan Cook
Lo scorso luglio, quattro giovani in T-shirt nere, con l’immagine di una fiamma gialla, si sono avvicinati a “Tizio”, mentre usciva da un taxi nel centro di Gerusalemme dove si era recato per trovare degli amici. Gli hanno chiesto l’ora. Sentendo l’accento gli hanno chiesto: “Lei è arabo”?
“Quando ho risposto sì, uno di loro mi ha colpito all’occhio, gli altri mi sono saltati addosso e hanno cominciato a pestarmi. C’era molta gente intorno a noi ma nessuno ha fatto caso a quanto accadeva, né mi ha aiutato”.
“Tizio” è riuscito a liberarsi ed è scappato verso un vicino ristorante, dove lavora uno dei suoi amici, e si è nascosto al suo interno. “Se non fossi riuscito a scappare, mi avrebbero ucciso”, dice.
Il video della sua testimonianza si aggiunge ad altri, ripresi recentemente, di Palestinesi violentemente aggrediti a Gerusalemme da parte di militanti ebrei di estrema destra. Temendo rappresaglie, la maggior parte delle vittime ha chiesto di poter mantenere l’anonimato.
Le aggressioni sono opera di un gruppo di estrema destra chiamato Lehava, in ebraico Fiamma, l’acronimo dell’Organizzazione per la prevenzione dei matrimoni misti in Terra Santa. Capeggiato da un rabbino di estrema destra, Ben-Zion Gopstein, Lehava si oppone ad ogni relazione tra gli ebrei e i Palestinesi.
La T-shirt con il fuoco (nella stella di David), giallo su nero
Fondata nel 2009, Lehava si distingue dagli altri gruppi di estrema destra proprio perché milita ufficialmente contro i matrimoni meticci tra ebrei e Palestinesi. Oltre ai circa 300.000 Palestinesi di Gerusalemme, vi sono circa 1,7 milioni di cittadini israeliani di origine palestinese, che rappresentano quasi 1/5 della popolazione.
Si ritiene che Lehava voglia estendere la sua attività al piccolo gruppo di città israeliane “miste”, nelle quali un piccolo numero di cittadini palestinesi vive in quartieri vicini a quelli degli ebrei israeliani.
Nel 2014, circa 200 militanti di Lehava, molti dei quali vestiti con la t-shirt della “Guardia d’onore ebraica” del gruppo, hanno manifestato rumorosamente all’esterno del luogo dove si svolgeva il matrimonio di un Palestinese e di una ebrea convertitasi all’islam, nella città di Jaffa, vicino a Tel Aviv. Alcuni portavano dei cartelli con lo slogan: “I matrimoni meticci sono un olocausto”.
Le strade di Gerusalemme sono cosparse di volantini ed autoincollanti che dicono in arabo “Non vi permettete di alzare gli occhi su una ragazza ebrea”, e in ebreo: “Diffidate dei goy (una espressione peggiorativa che indica i non ebrei), vi sporcheranno”.
I militanti attivi di Lehava non sono più di qualche centinaio, secondo il Religious Action Center del movimento del giudaismo riformato, che ha filmato le testimonianze. Ma, secondo loro, Gopstein può contare sull’appoggio manifesto di migliaia di altri abitanti.
David Sheen, un giornalista israeliano che fa reportage sui gruppi di estrema destra da molti anni, ha dichiarato ad Al-Jazeera: “L’obiettivo di Lehava è di spingere i giovani ebrei nelle strade, per creare una forza d’urto in grado di scacciare i Palestinesi dai principali quartieri della città”.
Ma ci sono anche quelli che si preoccupano delle conseguenze che può avere l’azione di Lehava sull’opinione pubblica israeliana.
Aviv Tartasky, che fa ricerche sul campo per Ir Amim, un gruppo israeliano che milita per un trattamento equo dei Palestinesi di Gerusalemme, ha dichiarato ad Al-Jazeera: “L’idea di salvare le donne ebree dagli arabi – e di riportarle all’ebraismo – è popolare in Israele, anche a sinistra. E se la maggior parte degli ebrei israeliani non approva i loro metodi, la loro violenza, approvano però i loro obiettivi”.
Al Jazeera ha contattato Gopstein, ma questi rifiuta il contatto. Tuttavia, in un discordo dell’anno scorso, ha fatto appello alla “all’azione” per fermare la coesistenza che ha definito un “cancro pericoloso”. I capi di Lehava sono tutti ex membri attivi del Kach, un gruppo anti-arabo che è stato vietato nel 1994 dopo che uno dei suoi attivisti, Baruch Goldsyein, ha ucciso 29 Palestinesi che stavano pregando nella moschea Ibrahim di Hebron.
Lo scorso mese, Gopstein ha partecipato, a Gerusalemme, ad una commemorazione del fondatore di Kach, il rabbino Meir Kahane. Nel corso della manifestazione, ha agitato uno straccio sul quale era impresso il viso di Lucy Aharish, l’unica presentatrice TV nota della minoranza palestinese di Israele, dicendo che avrebbe pulito il pavimento con esso. Ha aggiunto: “Mi ha paragonato ad Hamas, allora faremo in modo che il suo incubo diventi realtà”.
Gopstein, che vive a Kiryat Arba, una colonia israeliana vicina alla città palestinese di Hebron in Cisgiordania, era uno studente di Kahane. Venne arrestato nel 1990, perché sospettato di avere ucciso una coppia di Palestinesi, come rappresaglia per l’uccisione di Kahane, sembra, ma venne rilasciato subito.
Prima di essere messo fuori legge, Kach ha apertamente sostenuto l’opzione della espulsione violenta dei Palestinesi dalla regione, con lo slogan: “Gli Arabi negli Stati arabi e gli ebrei a Sion”. Come Lehava, una delle principali attività del gruppo era di impedire i matrimoni misti tra ebrei e Palestinesi.
Secondo Sheen, Lehava ha “una cifra specifica immediatamente riconoscibile: la purezza razziale. E’ proprio una nuova versione di Kach. Non possono utilizzarne gli stessi slogan senza violare la legge, ma sono la stessa cosa”. Secondo lui, le due organizzazioni usano gli stessi colori, il nero e il giallo, nei loro emblemi – l’emblema di Kach era un pugno, mentre quello di Lehava è una fiamma.
“Quando Kach non era ancora stata interdetta negli anni 1980, era considerata talmente razzista che veniva assimilata ai nazisti e boicottata dagli altri partiti in Parlamento. Era considerata fuori norma, ha dichiarato Sheen. Ora appartiene alla corrente dominante. Ha perfino dei simpatizzanti nel partito Likud (del primo ministro Benjamin Netanyahu), che la riciclano volentieri”.
Yehuda Glick, un militante di estrema destra amico di Gopstein, che chiede l’abbattimento della moschea al-Aqsa a Gerusalemme, per costruirvi un tempio ebraico, è deputato del Likud dal maggio scorso. I legami di Lehava con Kach sono diventati chiari durante l’estate, quando il gruppo ha organizzato dei campi di addestramento nel sud della Cisgiordania per insegnare ai giovani le arti marziali. Itamar Ben Gvir e Noam Federman, due ex dirigenti del movimento messo al bando che insegnavano ai ragazzi le tecniche per resistere agli interrogatori della polizia, assistevano Gopstein.
Man mano che il numero e la sicurezza dell’impunità degli adepti di Lehava aumenta, una gran parte del centro di Gerusalemme diventa rapidamente una zona vietata per i Palestinesi dopo il tramonto del sole.
Le vittime, ma anche i gruppi di difesa dei diritti umani e i capi religiosi, denunciano che la polizia israeliana chiude gli occhi su questa ondata di intimidazioni e violenza.
“Ci sono gruppi razzisti pronti al linciaggio che scorrazzano per le vie di Gerusalemme, spinti dall’odio per gli Arabi, e la polizia non interviene”, ha dichiarato ad Al Jazeera Steven Beck, portavoce del Centro di azione religiosa di Israele. Il Centro, che promuove l’uguaglianza e la giustizia sociale in Israele, ha registrato le testimonianze delle vittime di Lehava nell’ambito di una campagna intitolata: “Lehava mette a fuoco Gerusalemme”. Aggiunge: “Il terrorismo ebraico non nasce dal nulla, esso è alimentato dall’incitamento ideologico e dall’odio dei rabbini estremisti”.
“Caio”, che è stato aggredito due volte nel corso di quest’anno, ha presentato denuncia alla polizia dopo essere stato picchiato alla schiena e alle spalle da un gang di Lehava. “Fino ad oggi non è stata presa alcuna iniziativa, ha dichiarato. La polizia sta dalla loro parte e li copre”.
Un’altra vittima, Jamal Juliani, è stata ridotta in coma da un gruppo di Leahava nel 2012, quando aveva 17 anni. Gli investigatori gli hanno detto che nessuna delle telecamere di sicurezza istallata nella zona dell’assalto funzionava, sebbene nei pressi vi fossero due banche. “Com’è possibile? Io non capisco, dice. C’erano forse 10 telecamere là. Com’è possibile che non funzionava nessuna”?
Come molti altri, “Caio” soffre di postumi emozionali e psichici. Teme di essere nuovamente aggredito: “Adesso ho paura di uscire solo, anche se tentassi di difendermi, tutti mi griderebbero: “Terrorista, terrorista”. Se si trovasse a passare un polizotto… è su di me che sparerebbe”, ha aggiunto.
I 300.000 Palestinesi di Gerusalemme est, che Israele ha annesso dopo il 1967 in violazione del diritto internazionale, hanno permessi di residenza che attribuiscono loro il diritto di vivere e lavorare in Israele. Molti sono costretti ad andare a Gerusalemme centro per fare acquisti o per i divertimenti notturni che non esistono nei loro quartieri periferici, o per lavorare in ristoranti o magazzini ebraici.
E’ qui che vengono aggrediti da Lehava, i cui militanti pensano che gli uomini palestinesi vadano in cerca di donne ebraiche.
Gli appelli a porre Lehava fuori legge sono aumentati dopo che tre dei loro militanti si sono resi colpevoli, l’anno scorso, di un criminale incendio contro l’unica scuola bi-nazionale di Gerusalemme, per i bambini ebrei e palestinesi. Le sue mura sono state ricoperte di scritte razziste, come “Basta coi matrimoni misti” e “Non può esserci coesistenza col cancro”.
All’inizio dell’anno scorso, Moshe Yaalon, all’epoca ministro della Difesa, pensava di mettere al bando Lehava. In agosto però lo Shin Bet, il servizio di informazione interno di Israele, ha dichiarato di non disporre di alcuna prova che consentisse di porlo fuori legge.
L’attuale ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, del partito di estrema destra Yisraele Beiteinu, non ha alcuna intenzione di porre un freno alle attività di Lehava.
Nel frattempo Lehava ha invitato a boicottare le imprese che danno lavoro ai Palestinesi. Gli osservatori dicono che il gruppo intimidisce anche i proprietari di abitazioni che affittano a famiglie palestinesi. Dan Biron, proprietario del ristorante Birman al centro di Gerusalemme, ha dichiarato che alcuni suoi dipendenti palestinesi sono stati aggrediti in quattro occasioni.
Una volta, ha detto, un gruppo si è presentato al suo ristorante e ha preteso che consegnasse loro i suoi dipendenti palestinesi. “Fateli uscire in modo che possiamo ucciderli”, hanno detto. Lui non ha ceduto e loro se ne sono andati. “C’è anarchia a Gerusalemme, la polizia non fa rispettare la legge qui – ha detto – Ci sono pericolosi criminali che circolano liberamente, criminali che pestano la gente, e la polizia non fa niente”.
Anche i cristiani della città sono sempre più nel mirino.
Lo scorso dicembre, Gopstein di Lehava ha definito i cristiani come “vampiri assetati di sangue”, pretendendo che siano espulsi da Israele. Qualche mese dopo ha dichiarato nel corso di una riunione di essere favorevole all’incendio delle chiese per impedire “il culto degli idoli”. I capi religiosi cristiani attribuiscono a Lehava la responsabilità della recente ondata di vandalismo contro i siti cristiani di Gerusalemme e di intimidazione contro preti e religiosi.
Decine di giovani di Lehava, guidati da Gopstein, hanno manifestato lo scorso settembre durante la rappresentazione di una corale armeno-palestinese durante un festival musicale in un centro commerciale di Gerusalemme. I militanti di Lehava gridavano: “Assassini di ebrei!” e “Andate in Siria!” e i cantori se ne sono dovuti andare.
Il Vaticano ha presentato una denuncia l’anno scorso, a nome dei vescovi locali, al procuratore generale di Israele, chiedendo di procedere contro Gopstein per incitamento alla violenza.
Wade Abu Nassar, il portavoce del Patriarca latino a Gerusalemme, ha dichiarato ad Al Jazeera che le autorità israeliane non hanno nemmeno risposto. “Gopstein continua a fare dichiarazioni razziste e di incitamento all’odio in pubblico, e non si comprende perché nessuna misura venga presa contro di lui. Si direbbe intoccabile”. E ha aggiunto: “Questo governo sostiene chiaramente i gruppi di estrema destra come Lehava”.
Nonostante questi incitamenti e la responsabilità per le aggressioni, Lehava ha nel passato ricevuto parecchio denaro dal governo israeliano – almeno 180.000 dollari all’anno attraverso una istituzione caritatevole ad essa vicina, Hemla. Quest’ultima possiede, a Gerusalemme, un istituto per la “riabilitazione” delle donne ebree “salvate” da un matrimonio con un Palestinese.
I media israeliani hanno rivelato che i fondi assegnati a Hemla quest’anno sono quasi raddoppiati, passando a 350.000 dollari. Gopstein ha ufficialmente rotto ogni rapporto tra Lehava e Hemla da due anni. Ma, secondo alcune organizzazioni non governative, i rapporti tra le due organizzazioni resterebbero segrete, e ciò giustificherebbe una inchiesta.
Si sospettano anche rapporti stretti tra la polizia israeliana e Lehava. Sospetti che hanno trovato conferma in febbraio quando è emerso, nel corso di una inchiesta sulle attività di Gopstein, che un agente della polizia di frontiera aveva fornito al gruppo delle informazioni su alcune donne ebree che avevano relazioni con uomini palestinesi.
Tartasky, di Ir Amin, ha dichiarato: “In generale la polizia non considera i Palestinesi come abitanti desiderabili della città. La polizia pensa di dover difendere gli ebrei dai Palestinesi, e non il contrario”.
Secondo lui, anche i politici fanno di tutto per dare l’impressione che i Palestinesi siano fuori posto nella città. “Il sindaco (Nir Barkat) non ha fatto nemmeno una dichiarazione contro Lehava, nonostante essa inciti regolarmente all’odio e compia continue aggressioni nel centro città. Ciò significa chiaramente che Lehava è protetta”.
Questa impressione è stata accentuata dalle dichiarazioni del deputato di Barkat, Meir Turgeman, del settembre scorso, dopo l’arresto di un residente di Gerusalemme, Mesbah Abu Sabih, sospettato di avere ucciso due Israeliani. Turgeman ha dichiarato di voler “punire” la popolazione palestinese di Gerusalemme est, per il suo “comportamento animale (…) non ci sono più carote, solo bastoni”.
Micky Rosenfeld, un portavoce della polizia, ha negato che la polizia non prenda sul serio la violenza di Lehava. “Vi è stato un significativo aumento del numero di pattuglie nel centro di Gerusalemme per prevenire simili incidenti”, ha dichiarato ad Al Jazeera. Ha aggiunto che la polizia “disperde” le gang di giovani di Lehava dopo averli identificati.
Le autorità giudiziarie sono state accusate di non riuscire a controllare Lehava, Beck ha dichiarato che il Centro di azione religiosa ha depositato 25 denunce in Procura contro Gopstein per incitamento all’odio, senza ricevere alcuna risposta. Ad aprile un giudice di Gerusalemme ha sentenziato che Gopstein aveva commesso “un errore in assoluta buona fede” pestando due attivisti ebrei di sinistra che erano entrati in una colonia in Cisgiordania. Gopstein aveva dichiarato di averli scambiati per Palestinesi. Vi sono immagini video che mostrano la polizia israeliana che arresta gli attivisti, ma non Gopstein. Uno dei servizi resi da Lehava è una linea telefonica che informa gli ebrei israeliani sui membri della loro famiglia o sugli amici che escono con non ebrei. Beck ha dichiarato: “Lehava diffonde la menzogna che migliaia di donne ebree sono trattenute contro la loro volontà dai Palestinesi attraverso matrimoni abusivi. Egli alimenta l’odio e incita i suoi membri alla violenza”.
In realtà le cifre ufficiali mostrano che i matrimoni tra ebrei israeliani e Palestinesi sono rari. Nel 2011, anno per il quale si dispone di dati ufficiali, sono stati solo 19. Tuttavia il gruppo ha posto al centro della sua azione questo fenomeno. Nel 2011, Gopstein è stato invitato da Tzipi Hotovely, oggi ministro degli affari esteri, come consigliere in un comitato parlamentare sul fenomeno dei matrimoni misti.
Negli ultimi mesi, il ministero dell’Educazione ha bandito dal programma scolastico due celebri romanzi ebraici che parlano della relazione di un ebreo e un arabo. I sondaggi dicono che la minaccia sbandierata da Lehava, di una diffusione di matrimoni misti, trova attenzione presso molti ebrei israeliani. Un sondaggio del 2007 rivelava che più della metà riteneva il matrimonio tra ebrei e palestinesi un “tradimento”.
Nel 2013 la stessa percentuale di ebrei auspicava che i Palestinesi, ivi compresi quelli che sono cittadini israeliani, venissero espulsi dalla regione. Però alcuni ebrei israeliani di Gerusalemme hanno cominciato ad opporsi a Lehava, Dal 2014, un gruppo che si chiama “Talking in the square” organizza contro-manifestazioni a Zion Square, lì dove Lehava assicura una presenza settimanale.
Una di queste militanti. Ossnat Sharon, dice che essi tentato di “sorvegliare (Lehava) e impedire, per quanto possibile, i loro atti di violenza”. Secondo Tartasky la rapida crescita della popolarità di Lehava costituisce una “reazione negativa” al maggior numero di Palestinesi presenti nel centro di Gerusalemme.
I Palestinesi si avventurano nel centro in sempre maggior numero negli ultimi anni, ha spiegato, perché i loro quartieri sono stati separati da Ramallah e da altre città palestinesi dal muro di separazione.
Anche il miglioramento dei collegamenti di trasporto pubblico, dopo la costruzione del tram way, ha contribuito a spingere i Palestinesi a cercare lavoro e distrazioni nel centro di Gerusalemme. “La crescita di Lehava dimostra che alcuni Israeliani non sopportano di vedere dei Palestinesi in quella che essi considerano come la loro città, ha detto. Questo li contraria ed essi diventano sempre più estremisti”.