L’Orient-Le Jour (Libano) – 1 giugno 2010

L’errore di troppo
di Christian Merville

Appello in diretta di un reporter della televisione turca: “Questi barbari stanno per uccidere dei civili, Aiuto!” - Un soldato israeliano: “Stai zitto!”
Istanti di follia omicida sotto gli occhi del mondo. Se si dovesse scegliere una sola sequenza, breve ma eloquente, sarebbe quella in cui una voce fuoricampo sembra dire: “Silenzio, si uccide”.
Per una operazione umanitaria in favore di un milione e mezzo di abitanti di Gaza, il bilancio è terribilmente pesante. Per Israele, rischia di esserlo ancora di più, soprattutto perché sopraggiunge dopo una guerra fallita contro gli Hezbollah nel luglio-agosto del 2006 e, negli ultimi mesi, dopo una serie di passi falsi: assassinio a Dubai del dirigente di Hamas Mahmoud el-Mabhouh, crisi con Washington a causa dell’ostinazione ad estendere le colonie, rapporto Goldstone sui crimini di guerra commessi a Gaza nel dicembre 2008 e gennaio 2009, dossier sul nucleare, ecc.
D’altronde le reazioni della grandi capitali la dicono lunga sul loro imbarazzo, combattute come sono tra l’amicizia (per non dire di più) e la necessità di difendere il diritto internazionale. Di qui le contorsioni semantiche dei loro portavoce, tenuti un momento a “deplorare” l’uccisione di civili e, l’istante successivo, a parlare di “provocazione”, per concludere, quasi unanimemente, che tutto questo non aiuta certamente i negoziati coi Palestinesi. Perché, non vi meravigliate di sentirlo, un processo di pace è in corso…
Diecimila tonnellate di viveri, di medicine, di prodotti di prima necessità. Bisogna riconoscere che lo stato maggiore di Gabi Askhenazi aveva motivo di preoccuparsi. Soprattutto perché, tra i circa 700 passeggeri imbarcati sulle sei navi del convoglio, tutti civili, vi erano delle persone terribilmente pericolose, come l’irlandese Mairead Corrigan-Maguire, Premio Nobel per la Pace 1976, ed Hedy Epstein, 85 anni, un sopravvissuto dell’Olocausto.
Un uomo a cui non la si fa, il presidente del Conseil représentatif des institutions juives de France (CRIF), Richard Prasquier, ha immediatamente creduto di capire tutto: “Il convoglio non aveva più il carattere umanitario che gli si era attribuito” giacché i soldati sono stati accolti a bordo di una delle imbarcazioni con le armi che erano nelle mani di attivisti di Hamas. Avigdor Liebermen era stato il primo a fiutare la trappola. Fin da venerdì, in occasione di una visita alla sala operativa del suo ministero, aveva decretato che “l’invio della flottiglia rappresenta una violenta propaganda contro Israele e il nostro paese non può tollerare una violazione della sua sovranità sul mare, nell’aria o su terra”. E ha aggiunto, perché nessuno potesse dire di non saperlo: “Non vi è nessuna crisi umanitaria a Gaza perché noi autorizziamo l’ingresso di migliaia di tonnellate di prodotti alimentari e di beni strumentali”. Esattamente quindicimila tonnellate a settimana quando, secondo i servizi ONU, ne occorrerebbero almeno quattro volte di più.
Houeida Arraf, del movimento Free Gaza, è categorica: “Abbiamo comunicato agli Israeliani che a bordo vi erano solo civili disarmati, chiedendo loro di non usare la forza”. La collega Greta Berlin si meraviglia quando sente il vice-ministro degli Affari Esteri parlare della presenza di armi in mano ai passeggeri, che non avrebbero in ogni caso potuto in alcun modo opporsi a dei commando militari.
Il caso ricorda un incidente grave verificatosi al culmine della guerra del giugno 1967. Settantadue ore dopo l’inizio delle ostilità, le vedette e i cacciabombardieri israeliani hanno bersagliato la USS Liberty, una nave USA di “ricerche tecniche”, sospettata di raccogliere informazioni al largo del Sinai, fuori dalle acque territoriali. Bilancio: 34 membri di equipaggio uccisi, 171 feriti, gravi danni materiali. L’inchiesta diligentemente effettuata dal Pentagono e da Israele aveva concluso che si era trattato di un “errore”, conclusosi con il pagamento, nel maggio 1968, di una bolletta molto dettagliata: 3.323.500 dollari alle famiglie delle vittime, 3.566.457 dollari ai feriti. Il 18 dicembre 1980, il Tesoro USA riceveva un assegno di 6 milioni, a fronte dei 7.644.146 dollari che pretendeva, per l’unità di guerra danneggiata.
Stavolta, se il loro obiettivo era di prendere in trappola Tel Aviv, gli organizzatori della spedizione possono dire di esservi riusciti. Il governo di destra si ritrova una volta di più puntato a dito, e in un momento difficile per lui. Benjamin Netanyahu ha dovuto accorciare la visita in Canada e annullare l’incontro alla Casa Bianca. Con Ankara la rottura rischia d’essere particolarmente grave, mentre si moltiplicano, nelle ultime settimane, i segni di irritazione da entrambe le parti. Un ombrello yankee meno compiacente che in passato, un go-between  (intermediario, ndt) col mondo islamico e arabo che non potrebbe essere più irritato: decisamente il funambolismo politico-militare, questo vaso di porcellana, non è fatto per i pachidermi.
    



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