Libia, sette anni dopo il 17 febbraio
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New Eastern Outlook, 17 febbraio 2018 (trad. Ossin)
Libia, sette anni dopo il 17 febbraio
Youri Zinine
Il 17 febbraio, sono passati sette anni dall’inizio dei fatti in Libia che hanno portato al rovesciamento del suo leader, Muammar Gheddafi. Questi anni sono stati densi di eventi drammatici e spesso sanguinosi che, sotto diversi profili (effettiva sovranità, stabilità, attività commerciale, ecc), hanno lasciato il paese in una situazione ben peggiore di prima.
Dal 2014 il paese è in una situazione critica, diviso in due settori, con le capitali opposte di Tripoli e di Tobruk, ognuna col suo governo, il suo Parlamento e i suoi servizi di sicurezza. L’equilibrio di potere tra di loro sta cambiando.
Nell’ultimo anno l’area controllata dall’Esercito Nazionale, guidato dal maresciallo Khalifa Haftar (vale a dire il settore orientale, quello di Tobruk) si è allargata. Questo settore comprende la « mezzaluna petrolifera » (i pozzi e i porti principali per l’esportazione del petrolio). Il governo dell’Accordo Nazionale, guidato da Fayez al-Sarraj, ha una presa instabile sul paese.
Per tre anni, le Nazioni unite e diversi paesi arabi vicini hanno tentato, senza successo, di persuadere le due parti averse a rispettare l’accordo di pace che hanno firmato in Marocco (che prevedeva la creazione di strutture statali nazionali di transizione unificate, l’elezione di un nuovo Parlamento, ecc) L’Accordo di Shkirat è scaduto alla fine del 2017.
Molti esperti ritengono che I negoziatori che si riuniscono per discutere dell’attuazione del trattato non abbiano l’autorità per prendere decisioni e che i gruppi militari che rappresentano siano eterogenei, ciascuno frazionato in un certo numero di campi, divisi secondo linee regionali e tribali.
Per salvare il processo negoziale, il rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Hasan Salam, ha presentato un piano in tre fasi per il prossimo anno. Prevede la modifica dell’Accordo di Shkirat, il rimpasto del governo basato a Tripoli, la redazione di una Costituzione e l’elezione del nuovo Parlamento.
La questione è capire come si possano tenere delle elezioni oneste, imparziali e democratiche quando ci sono due governi. E quale sia l’importanza delle elezioni per il Libico medio, che vive in una situazione di incerta sicurezza e sopporta disordini e problemi economici e sociali?
Il calo del valore del dinaro libico e l’inflazione annua pari al 30% stanno causando una caduta del tenore di vita. Prima della rivoluzione, un dinaro poteva essere scambiato con tre dollari e, al suo livello più alto, i Libici guardavano con disprezzo al « dollaro verde ». Oggi un dollaro può essere scambiato sul mercato con 9 dinari libici.
Ciò sta effettivamente provocando un aumento dei prezzi, giacché la maggior parte delle merci, soprattutto alimentari, viene importata. I Libici si trovano di fronte alla maledizione della scarsità del denaro, le code alle banche, le interruzioni di corrente, il deterioramento dei servizi, ecc.
Tutti questi problemi sono il risultato del crollo dell’economia e del settore manifatturiero della Libia. Secondo Mustafa Sanalla, il presidente della National Oil Corporation, la Libia ha perso 180 miliardi di dollari dal 2011, a causa della presenza attiva di varie milizie nelle regioni dove il petrolio viene estratto, raffinato e trasportato.
Nel 2017, la Libia ha percepito 14 miliardi di dollari dalla vendita del petrolio, tre volte di più dell’anno precedente. Ma nel 2010, l’anno prima della rivoluzione, le esportazioni di petrolio contribuirono per circa 47 miliardi al bilancio nazionale. Vero è che, recentemente, la quantità di « oro nero » estratta è cresciuta ad un milioni di barili al giorno, ma siamo ancora al di sotto dei livelli precedenti al 2011, di 1,6 milioni di barili al giorno.
Sui 150 paesi elencati nella classifica dei « migliori paesi per le imprese straniere » del magazine Forbes, la Libia occupa la penultima posizione.
Come risultato di questa situazione, l’atteggiamento delle persone verso gli ideali della rivoluzione di febbraio stanno cambiando. Attualmente, nei circoli politico-mediatici della Libia, si osserva una chiara divisione tra « Febbraisti » e « Settembristi ».
I « Febbraisti » sono quelli che sostengono pienamente la rivoluzione del 17 febbraio e sono convinti che i « ribelli contro un regime dispotico » abbiano conseguito una giusta vittoria.
I nostalgici dell’ex regime di Gheddafi vengono chiamati « Settembristi » perché fu la rivoluzione di settembre a portare Gheddafi al potere. Essi, scuotendo sconsolati la testa, si chiedono se sia valsa la pena di versare tanto sangue, perdere vite e subire enormi danni materiali, per poi finire nell’attuale Stato frammentato che è la Libia.
Entrambe le correnti di pensiero hanno le proprie fazioni liberali, islamiste e laiche. Questo è il motivo per cui numerosi analisti politici locali li incitano a trovare dei punti di accordo comuni, ad evitare posizioni estreme e a collocare gli interessi del paese al di sopra di calcoli e preoccupazioni politiche egoiste.
Per esempio, Fatima Hamroush, una ex ministro del governo post-rivoluzionario della Libia, ha chiesto la creazione di un Gabinetto ministeriale di emergenza composto di politici di diversa estrazione, compresi ex seguaci di Gheddafi. E ciò nonostante la dottoressa Hamroush sia stata in passato una critica feroce del regime precedente.
Sembra possibile che un consenso politico, raggiunto nel rispetto della legge, possa riempire l’attuale vuoto istituzionale. Ma la società libica è ancora divisa per i traumi potenti che ha subito durante la guerra che ha coinvolto la NATO e altre potenze straniere, e nel periodo dei conflitti settari che è seguito.
Gli ambienti politici sono dilaniati dal disaccordo e tenuti in ostaggio dai risentimenti, i sospetti e le animosità reciproche che si sono accumulati nel corso degli anni.