Kaddafi e l'Africa
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Jeune Afrique 8-14 giugno 2008 - Kaddafi e l’Africa, il ritorno del padrino
In occasione del 10° summit della Cen-Sad , la Comunità degli Stati sahelo-sahariani (12-18 giugno, Cotonou), il leader libico vorrà, una volta di più, dare prova della sua influenza nel sud Sahara. Riuscirà a restituire coerenza alla sua politica africana, elaborata a colpi di petrodinari e di pressione diplomatica?
di François Soudan
Il Presidente del Benin, Yayi Boni non ha smesso di mangiare piatti di bisce. Già durante la visita lampo di George W. Bush a Cotonou, nel febbraio scorso, aveva dovuto subire l’umiliazione di una presa di controllo del suo aeroporto da parte dei servizi nordamericani, i quali avevano preteso che gli uomini della guardia di cerimonia rendessero gli onori con i fucili scarichi, che il vicino hotel Sheraton fosse svuotato dei suoi ospiti e che il capo dello Stato non ricevesse il suo “omologo” (?) nel palazzo presidenziale, considerato dalla CIA come indifendibile in caso di attacco. Questa volta la presa d’assalto sarà…. libica.
Per il 10° summit della Cen-Sad, che si terrà a Cotonou dal 12 al 18 giugno con l’attesa partecipazione di una quindicina di capi di Stato, diverse centinaia di guardie del corpo, agenti di diversi servizi e specialisti della sicurezza venuti da Tripoli si preparano a rastrellare la capitale del Benin per fare piazza pulita al colonnello Mouammar Kaddafi.
I Libici hanno un occhio e un diritto di veto su tutto, ivi compresa la lista di giornalisti da accreditare per coprire il summit sahelo-sahariano: chi oserebbe negare questo alla “Guida”? La Cen-Sad è il mezzo che la Jamahiriya ed il suo capo hanno trovato per giocare in Africa nel cortile dei Grandi.
L’ultima metamorfosi di una volontà, tanto male abbozzata quanto ostinata, di ricerca, conservazione e estensione dell’influenza libica nel sud del Sahara, perseguita da trenta anni e paragonabile al mito di Sisifo, per una ragione in qualche modo congenita: la politica africana della Libia non nasce da una scelta, ma da un fallimento.
Un po’ di storia può meglio spiegare. Fin dal 1969, data della sua salita al potere, Kaddafi ha un’ossessione: la ricerca quasi mistica dell’unità araba. L’Africa nera l’interessava poco o niente, se non per denunciare una influenza israeliana allora ancora assai presente. E’ stato il fiasco della Federazione tripartita con Egitto e Sudan, poi dell’Unione con la Tunisia e quello dei progetti similari con la Mauritania ed il Marocco, insomma del suo inserimento nel Machrek e nel Maghreb, che ha spinto il colonnello a cercare una compensazione nelle frange sub sahariane dell’Oumma. Durante 15 anni è stato continuo lo spettacolo dell’attivismo e delle provocazioni libiche. Per la “Guida” si trattava di costringere le potenze neo-coloniali, in primo luogo la Francia, a riconoscerlo come partner, ponendosi all’occorrenza fuori dal sistema e dalle leggi internazionali.
Quando i petrodinari hanno cominciato ad invadere la Libia, Kaddafi e i suoi hanno cominciato a sperimentare gli strumenti della loro politica. Il proselitismo religioso con la “Società per l’invito all’Islam”, il braccio armato con la Legione islamica – formata in gran parte attraverso l’arruolamento forzato dei lavoratori immigrati – e la cooperazione orizzontale con la Lafico (Libyan Arab Foreign Investment Company) e la LAFB (Lybian Arab Foreign Bank). Risultato all’inizio degli anni 1990: centinaia di milioni di dollari dispensati in pura perdita. La Legione islamica annientata in Ciad ed in Uganda; le ingerenze dirette, perfino i tentativi di destabilizzazione effettuati nel cuore della riserva francofona falliti e trasformarisi qualche volta in farsa (chi si ricorda ancora dell’”Ayatollah di Kaolack”?), senza che mai l’influenza francese sia mai stata veramente minacciata.
Quanto ai soldi distribuiti, in valige segrete, pagamenti effettivi e semplici impegni, la confusione è totale. Si riesce solo a stimare che all’epoca la Libia destinava all’aiuto allo sviluppo circa l’1,5% del suo PIL, che è più di quanto spendono gli Europei, ma meno della metà di quanto elargiscono le petromonarchie della penisola arabica.
Errori psicologici, paternalismo, impazienza, ma soprattutto incapacità di elaborare una strategia globale e coerente spiegano in gran parte la disfatta di una pseudo politica rivoluzionaria il cui punto finale sarà fissato nella maniera più sinistra possibile: il 19 settembre 1989 un aereo di linea francese viene abbattuto nel cielo del Niger.
L’ampiezza, la dispersione e l’attivismo frenetico dei Libici male ne nascondono la illusorietà e l’apparenza. Bisognosa di uomini, di competenze e di idee, la Jamahiriya non si è mai procurata i mezzi per un successo durevole in Africa. Durante tutti questi ann ha più reagito che agito, in uno sforzo vano e permanente di adattamento ai vincoli. Così lo racconta un ex oppositore africano passato per i campi di addestramento di Mathaba (l’ufficio di esportazione della rivoluzione): “A quel tempo era tanto pericoloso essere amico di Kaddafi che suo nemico”.
Dieci anni di sanzioni internazionali, dal 1992 al 2003, seguiti agli attentati di Ténéré e di Lockerbie, comportano un mutamento radicale nell’approccio africano del rais libico. Traumatizzato dalla sorte spettata a Saddam Hussein, Kaddafi si è rifatto un’immagine, ha bruciato quello che adorava, ha gettato alle ortiche la sua uniforme di rivoluzionario su scala mondiale ed ha indossato l’abito di un Mandela arabo, saggio e mediatore. Anche se continua a professare una visione del continente che non si discosta molto dal discorso di Sarkozy a Dakar (“L’Europa è fatta di nazioni, l’Africa è fatta di tribù, dunque lo Stato in Africa non può sopravvivere perché e artificiale”), il suo progetto di comunità sahelo-saharaiana lanciato nel 1998 (Comessa, che diventerà Cen-Sad) si propone come un rovesciato pacifico degli Stati Uniti del Sahel degli anni 1970, quando il dinaro veleno faceva stragi tra gli oppositori e Tripoli era la Mecca degli apprendisti terroristi.
Da un semplice punto di vista diplomatico, questa nuova politica è incontestabilmente un successo, soprattutto se messa a confronto con la precedente. Certo, le reticenze dell’Unione africana a conformarsi a desideri di fusione della “Guida”lo esasperano, ma la Cen-Sad, che raggruppa oggi venticinque Stati e quasi altrettanti clienti, gli offre uno spazio nel quale esercitare la sua influenza e nel seno del quale starsene come su un trono, al pari di un presidente francese in occasione dei summit Africa-Francia.
Fedeltà obbligate
Anche ridotto al rango molto politicamente corretto della solidarietà Sud-Sud (Il tema del 10° summit della Cen-Sad si intitola saggiamente “Lo sviluppo rurale e la sicurezza alimentare”), il tropismo africano della Libia resta tuttavia fragile e reversibile. Per Tripoli, l’Africa è prima di tutto affare e appannaggio della vecchia guardia postrivoluzionaria che circonda Kaddafi, mentre la nuova generazione di quadri nati dopo il 1969, tra i quali spicca Seif el-Islam, figlio e delfino presunto del colonnello, stravedono per l’apertura all’Europa ed allo spazio mediterraneo e per il posizionamento della Libia come Stato perno tra il Maghreb ed il Machrek. E’ evidente che la grande maggioranza dei libici, affascinati dai modelli culturali nordamericani prova oggi più simpatia per la seconda tendenza che per la prima. Per i giovani di Tripoli, di Benghazi e di altre città, l’Africa sub sahariana non è una frontiera da conquistare ma una fonte di disordini, un posto nel quale si sprecano le risorse del paese e dal quale proviene l’AIDS, la delinquenza e i clandestini. Dopo i pogrom dell’aprile 2000, durante i quali furono massacrati un centinaio di africani, si sa che non conviene immigrare in Libia. Questo però non lo sa o non lo vuole sapere il popolino di Cotonou, che si prepara ad acclamare Mouammar Kaddafi come fosse una rock star, tanto la sua immagine, curioso incrocio tra un Guevara ed un Mick Jagger, resta viva nell’immaginario.
I partner africani della “Guida”, i suoi debitori ed i suoi scagnozzi non ignorano questa discrepanza tra le parole e i fatti. Ma chi oserebbe spiegare ad un ospite così generoso che i suoi discorsi vincolano solo quelli che vi prestano attenzione? Tra i capi di Stato più assidui a Tripoli – quelli della zona del Sahel – non ve n’è uno che non abbia qualche volta sospirato in privato quanto l’amicizia di Kaddafi, con la sua corte di capricci e di esigenze, avrebbe potuto essere ingombrante. Nessuno però che abbia potuto esprimere il suo stato d’animo in pubblico, tanto questo despota sereno di 66 anni, gli occhi semichiusi come un Don Corleone o un imperatore cinese, li mantiene come un padrino mantiene il suo clan: coi soldi ed il timore.
La Comunità degli Stati Sahelo-Saharaiani, meglio conosciuta col nome di “Cen-Sad”, ha festeggiato i suoi dieci anni di vita il 6 febbraio 2008. Interamente partorita dalla mente di Mouammar Kaddafi, era stata concepita come una “unione economica globale”, finalizzata a raggruppare attorno a lui gli Stati Africani, con l’obiettivo di costruire una leva economica per creare, successivamente, gli Stati Uniti d’Africa, dei quali egli dovrebbe assumere la guida.
Quando il leader libico ha lanciato il suo progetto, la Cen-Sad disponeva di un budget di 7 milioni di dollari, due terzi dei quali venivano da Tripoli. Difficile valutare precisamente i suoi mezzi attuali, ma la rendita petrolifera li ha sicuramente raddoppiati. Nel 1998 la Cen-Sad raggruppava intorno alla “Guida” i suoi più fedeli alleati: Mali, Ciad, Niger, Sudan e Burkina. Oggi riunisce 25 Stati della CEDESO, della UEMOA e del COMESA, circa 14 milioni di km/2 e 419 milioni di abitanti (quasi la metà della popolazione del continente): Segretario generale è il libico Mohamed al-Madani al-Azhari.
Fin dall’avvio, l’istituzione possiede anche un braccio armato finanziario: la Banca sahelo-saharaiana per l’investimento e il commercio (BSIC) presieduta da un altro libico, Alhadi Mohamed Alwarfalli. Dodici filiali già esistenti, due altre in procinto di essere aperte, in Costa d’Avorio e in Guinea-Bissau. Il suo capitale è cresciuto fino a 250 milioni di euro, prima di essere portato a 500 milioni di euro nel gennaio 2008. Parca di informazioni circa le sue realizzazioni, la BSIC serve a finanziare lo sviluppo dei paesi della Cen-Sad in ambiti assai diversi tra loro, come le telecomunicazioni, l’industria, l’energia, l’agricoltura… “Il bilancio è apprezzabile, ma resta ancora molto da fare”, ha dichiarato il presidente della BSIC per giustificare l’aumento del capitale, provenuto direttamente, è il caso di precisare, dalle casse libiche.
Giocando sullo scarto di ricchezze che esiste coi suoi partner, privilegiando gli accordi bilaterali per approfittare di un rapporto di forze favorevole, il potere libico strumentalizza questo outils per assicurare il suo dominio sul sud del Sahara. “La Cen-Sad distribuisce benefici: entrando in questo club, la maggior parte degli Stati africani, globalmente poveri, colgono le opportunità politiche e finanziarie proposte dall’autore del Libro verde” spiega Emmanuel Grégoire, direttore di ricerca all’Institut de recherche pour le développement (IRD)
Jean Michel Meyer