Il vento di speranza soffia anche sul Marocco
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Belaali.over-blog.com, 25 aprile 2011
Il vento di speranza soffia anche sul Marocco
di Mohamed Belaali
“Chi mi obbedisce, obbedisce a Dio e chi mi disobbedisce, disobbedisce a Dio” diceva Hassan II citando il profeta. Secondo la Costituzione, il re è “comandante dei credenti” e la sua persona è “inviolabile e sacra”. In Marocco l’Islam è religione di Stato. Il re esercita il potere attraverso Dahir (decreti reali), contro i quali non è ammesso alcun ricorso. Vale a dire che tutti i poteri sono concentrati nelle mani del capo dello Stato. I Ministri e i deputati sono solo figuranti che recitano lo spettacolo della democrazia sulla scena pubblica marocchina. E’ contro questa costituzione anacronistica, e per un cambiamento democratico reale e profondo che il popolo marocchino è sceso in piazza il 20 febbraio 2011. Il vento di rivolta e cambiamento che scuote il mondo arabo, soffia anche sul Marocco.
Di fronte alla determinazione dei manifestanti, Mohammed VI è intervenuto il 9 marzo 2011 alla televisione, annunciando un insieme di riforme costituzionali importanti come il “rafforzamento del ruolo del Primo ministro quale capo di un potere esecutivo effettivo”, il “consolidamento del principio di separazione e di equilibrio dei poteri”, o ancora “l’ampliamento del campo delle libertà individuali e collettive” ecc. (1)
L’Union socialiste des forces populaires (USFP), il parti de la justice et du développement (PJD, islamista), l’Istiqlal (nazionalista) e molti altri partiti politici classici più o meno legati al potere hanno calorosamente applaudito il discorso del re, definendolo storico. L’Amministrazione USA, la NATO, l’Unione Europea e il governo francese hanno anch’essi apprezzato questo discorso. Si tratta di un discorso “molto coraggioso e addirittura visionario”, ha detto Alain Juppé (2)
Per contro il discorso del re, non solo non ha convinto i giovani del Movimento del 20 febbraio, sostenuto da ampie fasce della popolazione, i sindacati, la sinistra radicale, l’Associazione Justice et Bienfaisance (islamista) ecc. ma li ha addirittura delusi. I giovani del Movimento pensano che questo discorso non risponda alle attese del popolo marocchino. Per qualcuno tra loro, come Nizar Bennamate, “la Costituzione attuale non è riformabile perché è feudale, totalitaria, retrograda, religiosa” (3). Chiedono invece una Costituzione democratica che rifletta realmente la volontà del popolo. Essa dovrà essere votata da un’assemblea costituente anch’essa eletta democraticamente. Invece il re ha nominato una “commissione ad hoc per la revisione della costituzione”. Si tratta dunque di una Costituzione concessa dal Palazzo, come è avvenuto in precedenza. Il movimento ha lanciato un appello a proseguire la lotta confermando la manifestazione del 20 marzo e indicendone un’altra il 24 aprile, senza contare i sit-in, le marce, le riunioni, i dibattiti, le discussioni dirette coi cittadini, i comunicati e i volantini distribuiti un po’ dappertutto in Marocco.
Il paese è in piena effervescenza: i cittadini e le cittadine parlano, discutono, dibattono e si scambiano i reciproci punti di vista a proposito dei prezzi dei prodotti di prima necessità che continuano ad aumentare, sui salari miserabili, sulla disoccupazione dei giovani e dei meno giovani, sulla corruzione che corrode come un cancro il corpo sociale, sulle fortune colossali, ingiustamente messe insieme, che convivono con la miseria più sordida, sulla costituzione che bisogna cambiare, sui prigionieri politici che bisogna liberare, ecc. Questa parola confiscata e repressa da decenni si libera progressivamente non solo nelle reti sociali, ma anche nei quartieri popolari, nei caffè, nei suk, dal barbiere, nelle sale da conferenza ecc. I media indipendenti e perfino la radio e la televisione pubblica, totalmente controllate dal potere, oggi si esprimono se non altro chiedendo più libertà di espressione: “il contribuente finanzia questi media pubblici, ma essi sono al servizio del potere ufficiale” diceva Younes Moujahid, segretario generale del Sindacato della stampa marocchina (SNPM). Per due volte nel mese di marzo, i giornalisti sono scesi in piazza per chiedere una stampa libera e indipendente dopo avere dato il loro sostegno al Movimento del 20 febbraio.
Ma questa “libertà di espressione” resta del tutto relativa. La repressione non è finita e la paura, sebbene sempre più controllata, è sempre presente. Bisogna precisare che, subito dopo il discorso reale del 9 marzo, una repressione selvaggia si è abbattuta sui manifestanti di Casablanca, Khouribga, Youssoufia, Mohammadia, ecc. Ma questa violenza contro dei manifestanti pacifici è riuscita solo a rafforzare la determinazione dei giovani del Movimento 20 febbraio a continuare la loro lotta pacifica per una maggiore libertà e più dignità. Ciò che è nuovo, per contro, è che i cittadini osino oramai esprimere la loro immensa speranza di un Marocco democratico liberato dai politici e dalle prassi ormai arcaiche. In Marocco, più che altrove, forse, il presente e il passato si intrecciano l’uno con l’altro; non si può parlare dell’uno senza ricordare l’altro.
Anche l’arrivo al potere di Mohammed VI nel 1999, dopo la morte del padre Hassan II, aveva suscitato una grande speranza di cambiamento democratico e di rottura col passato. Ed effettivamente i primi anni sono stati segnati da importanti realizzazioni politiche, economiche e sociali. Vi sono stati grandi lavori di infrastrutture, come il porto di Tanger Med, il più importante d’Africa, e le reti stradali, autostradali e ferroviarie sono state realizzate o sviluppate. Lo sviluppo del settore agricolo e turistico col Piano Marocco verde e il Piano azzurro, anch’esse dimostravano questa volontà del giovane re di sviluppare l’economia marocchina che ne aveva realmente bisogno. L’Initiative Nationale pour le Développement Humain (INDH), destinata a combattere la povertà, la promulgazione del codice del lavoro e quello della famiglia (Moudawana) costituiscono incontestabili progressi sociali. Il ritorno degli esiliati politici nel loro paese, e soprattutto del più celebre tra loro, Abraham Serfaty, la revoca degli arresti domiciliari per la guida spirituale del movimento Justice et Bienfaisance, Abdesselam Yassine, sono stati dei forti atti simbolici. Il siluramento del potentissimo ministro dell’interno Driss Basri e la creazione dell’Instance Equité et Réconciliation (IER), per monitorare le violazioni dei diritti umani avvenute tra il 1956 e il 1999, hanno rafforzato questo sentimento di rottura col passato. Ma il regime è rimasto fedele a sé stesso e la speranza si è di nuovo spenta.
Tutto il potere è, come prima, nelle mani del re, circondato da cortigiani che cercano solo di arricchirsi. Il governo si limita a dare esecuzione alle direttive che vengono direttamente dal Palazzo reale. Il Parlamento è solo una Camera di registrazione della volontà reale. E non è dunque un caso se i Marocchini, ad ogni manifestazione, chiedono lo scioglimento del Parlamento e le dimissioni del governo. Le strutture territoriali sono sotto lo stretto controllo del ministero dell’interno, egli stesso dipendente dal Palazzo. I risultati delle elezioni sono stabiliti in anticipo e abilmente ripartiti tra i partiti politici più o meno obbedienti al Potere. La vita politica in Marocco è determinata, organizzata e controllata dal regime. La Costituzione del 1996 che attribuisce al re un potere assoluto e stabilisce il carattere sacro della sua persona non è stata modificata.
Le politiche economiche sono spesso decise, come per il passato, dagli organismi internazionali come la Banca mondiale e il FMI a Washington, lontano dai bisogni e dalle preoccupazioni del popolo marocchino. Queste politiche sono ispirate ad una strategia liberale globale: privatizzazioni, prezzi di mercato, protezione del capitale locale e straniero, un’economia tutta basata sugli scambi commerciali con l’estero di prodotti con modesto valore aggiunto. Va da sé che gli effetti traumatici dei piani di aggiustamento strutturale di questi organismi che il Marocco applica con zelo sono sopportati dalle classi popolari. L’impoverimento dell’immensa maggioranza della popolazione è la tangibile conseguenza di queste politiche. Già nel giugno 1981 e nel gennaio 1984, rivolte popolari contro l’aumento dei prezzi dei prodotti primari (farina, pane, zucchero olio, gas ecc.) hanno scosso quasi tutte le città marocchine con un bilancio di diverse centinaia di morti e migliaia di feriti. Oggi il regime, per evitare ogni possibile contagio delle rivoluzioni tunisina ed egiziana in Marocco, ha raddoppiato nel febbraio 2011 il budget della Cassa di compensazione che sovvenziona i prodotti di prima necessità.
Il fallimento di queste politiche economiche è aggravato dalla corruzione generalizzata che, come una metastasi, si diffonde in tutto il corpo sociale. Nessun settore della società ne è risparmiato. Essa è onnipresente. E’ un’abitudine che si manifesta quotidianamente. E’ diventato un sistema. In questo ambito, come in tutti gli altri, la classe dirigente razzia quasi tutto il bottino, lasciando ai piccoli funzionari la possibilità di ramazzare qualche briciola per integrare i loro miserevoli salari. Lo sradicamento della corruzione e la traduzione in giudizio di tutti coloro che hanno rapidamente messo insieme fortune colossali nella più totale mancanza di trasparenza sono punti essenziali delle rivendicazioni del Movimento 20 febbraio.
Il 24 aprile 2011 centinaia di migliaia di uomini e donne sono scesi in piazza per un Marocco nuovo, realmente democratico, senza prigionieri politici, senza tortura, senza corruzione e per alleviare tutto il popolo dal fardello della miseria, dell’ignoranza, dell’umiliazione e dell’arbitrarietà che ostacolano la sua marcia verso il progresso economico, sociale e politico.
(1) Leggere il discorso integrale: http://www.bladi.net/discours-du-roi-mohamed-vi-9-mars-2011.html
(2) http://www.ambafrance-ma.org/new3/spip.php?article9673
(3) http://www.rue89.com/2011/04/17/maroc-le-mouvement-du-20-fevrie