Aspettando Mohammed VI
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di Souleiman Bencheikh
Tel Quel 25/31 ottobre 2008
La questione della riforma costituzionale è aperta fin dalla ascesa al trono di Mohammed VI. In molti allora hanno chiacchierato a proposito della volontà del giovane re di lasciare un segno nell’architettura costituzionale marocchina. Qualche giurista dell’Università Mohammed V di Rabat si è perfino ricordato che, quando era ancora uno studente di giurisprudenza, aveva lavorato ad un progetto di Costituzione, e che aveva preso la cosa molto sul serio. Qualche anno più tardi, le raccomandazioni dell’ Istance équité er réconciliation, così come il rapporto del cinquantenario, hanno avuto ad oggetto la medesima questione. In tempi più vicini, ecco il campione del re, Fouad Ali El Himma, che improvvisamente debutta in politica e propone… di riformare la Costituzione. E’ pur vero che il Partito “authenticité et modernité” (PAM) ha in proposito idee diverse dal PJD (il partito islamista, ndt), ed anche dai suoi amici della sinistra. “Tutto sta a non prendere in ostaggio la Costituzione – spiegano nell’entourage di El Himma – Nel 1996 abbiamo raggiunto un accordo sull’essenziale, soprattutto lo spazio ed il ruolo della monarchia. Ora si possono sempre fare delle modifiche o delle aggiunte”. La logica del PJD è molto diversa: si chiede molto, ma non subito! “Il momento migliore per riformare la Costituzione è il 2010”, confida Lahcen Daoudi, numero 2 del partito islamista. Il 2010, giusto prima delle elezioni comunali e due anni prima delle prossime legislative, sarebbe il momento ideale per avviare una riforma di ampia portata… o semplicemente una maniera elegante di evitare il problema. Per Daoudi, gli obiettivi di una eventuale riforma costituzionale sono ciò nondimeno molto chiari: accordare più prerogative al Primo Ministro ed un vero potere al Parlamento.
All’interno dell’USFP (il partito socialista marocchino, ndt), identica analisi, ma diversa valutazione delle priorità. Il dibattito sulla opportunità di una riforma costituzionale ritorna in modo sempre più ricorrente, ad ogni sconfitta incassata dal partito. Durante la precedente legislatura, era senza dubbio un modo di contestare la legittimità dell’ex premier apolitico Driss Jettou. Durante la campagna elettorale del 2007, si trattava di un cavallo di battaglia del quale il partito della rosa non avrebbe potuto fare a meno, anche perché nell’occasione aveva raggiunto un accordo con l’Istiqlal (partito marocchino della indipendenza, ndt), del quale era partner nella Koutla (raggruppamento elettorale comprendente USFP, Istiqlal ed altri partiti di centro sinistra, ndt).
Il re e il suo governo
Da qualche settimana il dibattito sulla Costituzione è ritornato di attualità, recuperato dalle ambizioni del primo segretario destituito dell’USFP, Mohammed Elyazghi, e dalla crisi che attraversa il suo partito. Di nuovo, al centro dell’attenzione, sono le attribuzioni ed il ruolo del Primo ministro. L’ultimo esempio risale ad un mese fa, quando Elyazghi ha denunciato l’illegalità nell’applicazione di un dahir reale (decreto reale, ndt) di riforma dello statuto degli incaricati di autorità pubbliche - un dahir che accorda sostanziosi aumenti salariali ai wali (una sorta di prefetti, ndt) ed ai governatori -. Problema serio per Elyazghi: il testo non è stato sottoposto al Consiglio di governo, nonostante che lo statuto dei funzionari sia oggetto di riserva di legge. Per soprammercato, il dahir non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Il “numero 2” del governo, El Fassi, si fa sentire nel Consiglio di governo e domanda se il Primo Ministro abbia difeso tutte le sue prerogative. El Fassi, abbandonando per l’occasione il suo silenzio, ricorre papale papale all’art. 19 per giustificare la procedura di applicazione del dahir. Segue una polemica dalla quale escono finalmente vincitori il ministro dell’interno, Chakib Benmoussa, ed il nuovo segretario generale del governo, Driss Dahhak, accorsi in soccorso del primo ministro. In sostanza, per essere riformato, lo statuto degli incaricati di autorità pubbliche non ha bisogno dell’avallo né del parlamento né del Governo. E’ quanto ha stabilito la giurisprudenza in materia: lo statuto degli incaricati di pubbliche autorità è una eccezione rispetto a quello, oggetto di riserva di legge, dei funzionari. Dal 1963, anno in cui è stato emanato, è stato in effetti modificato due volte (nel 1977 e nel 1983) con dahir in entrambi i casi. Per il governo, la legalità dunque è salva… e il dibattito chiuso.
Il dahir o la legge
Tuttavia, i giuristi attenti avranno notato che, nel dibattito sul rispetto o meno delle prerogative del Primo Ministro, non è tanto l’interpretazione letterale della legge che crea problemi, quanto dei suoi principi generali. Certo, sia la storia istituzionale del paese, che il testo della “legge suprema”, consentono che il re legiferi con dahir. E’ tuttavia vi è obbligato? Non sarebbe bene che la pratica tendesse verso una limitazione della nozione di dahir, con l’avallo della Costituzione? “La natura ha orrore del vuoto e per fortuna c’è Mohammed VI che lo riempie” sostengono con tenacia gli incensatori del potere reale. Storicamente il dahir – così come lo conosciamo in Marocco - è stato l’appannaggio del sultano, è anche la sola fonte di diritto al di fuori dei testi sacri e della giurisprudenza consuetudinaria. Attualmente è diventato lo strumento privilegiato della “monarchia esecutiva”, il mezzo per aggirare, con la benedizione costituzionale, le prerogative del governo e del Parlamento. Con una tale carta da visita, è ben difficile reclamare l’abrogazione pura e semplice dell’art. 29 (“Il re esercita, con dahir, i poteri a lui espressamente riservati dalla Costituzione”). Ci si può nondimeno interrogare sulla sua interpretazione. Questo articolo deve essere interpretato in modo restrittivo, come la maggior parte dei testi giuridici? Diventerebbe allora: “Il re esercita, con dahir, i soli poteri che gli sono riservati dalla Costituzione”, ed in questo caso la Legge Suprema potrebbe essergli opposta come limite alla sua sovranità. E’ una sfumatura non da poco: la monarchia non avrebbe altri poteri se non quelli previsti e disciplinati dalla Costituzione (e che sono già enormi!). Ma in assenza di un Parlamento e di un governo forti, la pratica istituzionale si è risolta in favore di un’estensione delle prerogative reali, a detrimento di queste due istanze teoricamente rappresentative.
Avete detto bicameralismo?
Rappresentative solo teoricamente perché, nella pratica politica marocchina, deve rimproverarsi al governo un’assenza di omogeneità e una mancanza di linea ideologica. Il Parlamento anche è soggetto a critiche, dalla stampa naturalmente, ma anche dagli stessi uomini politici. Perché, è il caso di riconoscerlo, denunciare, come regolarmente fanno numerosi eletti e bocciati, che durante le elezioni il denaro scorre a fiumi, significa ancor più screditare i deputati e i consiglieri che siedono in Parlamento. Un Parlamento del quale non c’è veramente bisogno, caratterizzato come è da un bicameralismo sgangherato che finisce con l’assoggettarlo al trono. Fin dalla sua costituzione, nel 1996, la Chambre des conseillers è stata concepita come un contrappeso rispetto alla Chambre des représentants. Siccome sono eletti a suffragio indiretto (da un collegio di notabili) per la durata di nove anni (e non cinque come i deputati), i consiglieri sono, per la monarchia, una garanzia di stabilità dell’istituzione parlamentare, nella sua longevità e nella sua composizione. In definitiva, con delle prerogative pressappoco identiche a quelle della Chambre des représentants, la Chambre des conseillers contribuisce più a dividere il Parlamento che a rinforzarlo. Ma proprio mentre il dibattito sul bicameralismo marocchino languisce (anche se i partiti lo riprendono per loro conto), la questione viene ormai sollecitata dall’idea di una effettiva regionalizzazione, che passi attraverso una riforma costituzionale. Questa idea, largamente condivisa dalla classe politica, dal PAM all’USFP, così come dal PJD e dall’Istiqlal, potrebbe realizzarsi con la costituzione di Parlamenti e Governi regionali.
A parere del politologo Youssef Belal, “una decentralizzazione iscritta nella Costituzione e sperimentata sul campo potrebbe servire da modello e legittimare, agli occhi della comunità internazionale, lo statuto di autonomia del Sahara”.
Impossibile accordo
L’inserimento della questione del Sahara nel dibattito sulla Costituzione permette di dare nuovo vigore alle richieste di riforma e di conferire loro una dimensione più condivisa. “Le revisioni costituzionali devono essere sdrammatizzate”, commenta Hassan Benaddi, segretario generale del PAM. Perché, per il PAM, questo è anche un modo per non lasciare la questione della riforma costituzionale all’opposizione islamista o ad una certa frangia della sinistra. E’ anche il segno che il dibattito si va orientando verso dei semplici emendamenti, piuttosto che verso una revisione complessiva. Ultimo argomento: questa riforma, che potenzierebbe le collettività territoriali senza modificare i rapporti tra le istituzioni esistenti, ha il vantaggio di sopprimere sul nascere la rivendicazione di un’assemblea costituente.
E così anche nell’entourage reale sembra essersi fatta strada l’idea della necessità di una riforma costituzionale. Fuori questione tuttavia di mettere in gioco il fondamento del regime, va le a dire la monarchia.
Resta da intendersi su qualche altro dettaglio minore. Cosa fare per esempio con la questione amazighe (questione berbera, ndt)? E su questo punto che precisamente va in frantumi il consenso sperato da tutti. L’Istiqlal si è già mostrato assai reticente all’idea di fare dell’amazigh una lingua ufficiale. Ed in pieno periodo di dubbi, il Movimento popolare non è pronto nemmeno a fare concessioni su di una questione per la quale si è sempre battuto con vigore.
Nel contesto di una condivisione impossibile, tutti gli occhi si volgono naturalmente al re che, paradossalmente, appare come il solo salvatore dei riformatori.
I democratici un po’ sognatori devono perdere le ultime illusioni: più che un regime costituzionale, il Marocco è una monarchia costituente.
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Storia. La prima Costituzione ha 100 anni
La limitazione dei poteri del sultano preoccupa una frangia dell’élite marocchina fin dalla metà del 19mo secolo. Ma è stato l’11 ottobre 1908 che alcuni giovani nazionalisti marocchini del settimanale Lissane Al Maghreb hanno presentato al sultano Moulay Hafid il primo progetto di Costituzione del paese. Questo testo, impregnato di idee moderniste, era largamente ispirato all’esperienza turca ed agli adattamenti operati da una dinastia ottomana in declino. Ragione per cui, secondo lo storico Maati Monjib, questo primo movimento costituzionalista è stato tacciato di essere “non marocchino”. In tutti i casi, nel testo si ritrova un’ ardente arringa costituzionalista: “E’ indispensabile che Sua Maestà compiaccia il suo popolo del beneficio di una Costituzione e di una Camera dei rappresentanti e che, seguendo l’esempio dei paesi evoluti, sia mussulmani che cristiani, accordi le libertà di azione e di pensiero indispensabili alla realizzazione delle riforme”. Questo primo progetto prevedeva anche di fare coesistere una monarchia teocratica con una Camera dei rappresentanti della nazione.
Ma il sogno è morto sul nascere: il 4 marzo 1910, Moulay Hafid viene costretto a piegarsi alle esigenze della Francia ed a firmare l’accordo che subordina l’evacuazione della Chaouia e del Marocco orientale alla formazione di soldati marocchini sotto il comando di ufficiali francesi, accettando anche di versare delle indennità alla Francia.