l'Humanité, 27 dicembre 2016 (trad.ossin)
 
Gdeim Izik, la vicenda che imbarazza il Palazzo
Rosa Moussaoui
 
Il processo d’appello contro venticinque militanti saharawi accusati di avere ucciso dei poliziotti marocchini durante lo smantellamento del campo di Gdeim Izik, nel 2010, è stato rinviato
 
Manifestazione a Parigi per la liberazione dei detenuti saharawi
 
Processo aggiornato, udienza rinviata al 23 gennaio 2017. Il processo di appello dei 25 militanti saharawi di Gdeim Izik ha assunto immediatamente, ieri, i caratteri di un fatto politico. Gli imputati, detenuti da sei anni, hanno fatto ingresso nella sala d’udienza al grido di «Libertà per il popolo saharawi!». «Non c’è alternativa all’autodeterminazione!» hanno gridato tutti insieme i detenuti condannati, nel 2013, a pene che vanno dai venti anni di prigione all’ergastolo. «Non c’è alternativa alla pena di morte per i criminali!» rispondevano in coro, in un clima pieno di elettricità, i familiari degli 11 agenti delle forze di sicurezza marocchini rimasti uccisi nel 2010, nel corso del violento sgombro dell’accampamento di protesta di Gdeim Izik. Privati della possibilità di costituirsi parte civile in prima istanza, nel 2013, dinanzi al tribunale militare di Rabat, queste famiglie hanno costituito, nel corso delle ultime settimane, una associazione dei familiari delle vittime, difesa da avvocati famosi, vicini all’Istiqlal o al Partito dell’autenticità e della modernità (PAM), partiti conservatori fedeli al Palazzo. Indennizzati all’epoca dei fatti, reclamano oggi risarcimento dei danni e interessi, occupando la scena in occasione di questo processo molto mediatizzato.
 
L’affaire è politicamente assai sensibile
 
Una qualche incertezza ha caratterizzato l’udienza di ieri, dopo la sentenza della Corte di cassazione che ha annullato la decisione del tribunale militare, in ragione di una riforma varata l’anno scorso che ha abolito la competenza del tribunale militare nei confronti dei civili. Venuto appositamente da Casablanca, il presidente della corte d’appello voleva offrire una immagine conciliante, rassicurando ripetutamente gli avvocati degli imputati sul suo rispetto per i diritti della difesa, sulla volontà di garantire un processo equo, sulla presenza di osservatori internazionali e di avvocati stranieri, tra cui Joseph Breham, che ha vigorosamente denunciato le «condanne in prima istanza, sulla base di confessioni ottenute con la tortura».
 
Ma l’apparenza delle discussioni tecniche, per esempio sulla costituzione di parte civile delle famiglie degli agenti uccisi, male mascherava l’imbarazzo delle autorità marocchine. Dall’assenza di motivazione da parte del tribunale militare, censurato dalla Corte di cassazione, fino alla severa condanna del Marocco da parte del Comitato dell’ONU contro la tortura su denuncia di uno dei detenuti, Ennaâma Asfari, l’affaire, per il governo, è minato da ogni sua parte.
 
Ufficialmente l’udienza è stata rinviata per l’assenza di uno degli imputati, attualmente libero, cui non è stata notificata la convocazione. Al fondo però la vicenda è politicamente molto sensibile, con dei detenuti saharawi determinati a fare del processo una tribuna per il diritto del loro popolo all’autodeterminazione, e per il rispetto del diritto internazionale umanitario che dovrebbe, secondo gli avvocati stranieri, applicarsi anche al territorio non autonomo e come tale riconosciuto dalle Nazioni Unite. Questione tuttora tabù in Marocco, dove il Palazzo contrappone alla prospettiva dell’autodeterminazione quella di un «piano di autonomia» idoneo a perpetuare l’occupazione dell’ex colonia spagnola, annessa dal Marocco nel 1975.
 
I detenuti hanno sempre proclamato la loro innocenza
 
All’esterno del tribunale, le famiglie dei prigionieri saharawi, venute da Laâyoune, trattenute dalle forze dell’ordine e senza avere accesso alla sala d’udienza, si fronteggiavano con le famiglie dei gendarmi e poliziotti rimasti uccisi a Gdeim Izik. «I metodi di questi criminali sono gli stessi di quelli degli assassini di Charlie Hebdo», dichiara Ahmed Atertour, presidente del Coordinamento delle famiglie delle vittime, la cui voce è coperta da un megafono che ripete slogan monarchici e religiosi. I detenuti di Gdeim Izik, da parte loro, non hanno mai smesso di proclamare la loro innocenza. E di denunciare una punizione politica che, alla fine, non rende giustizia alle famiglie delle vittime.
 
Il Marocco perde dinanzi la Corte. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJUE) ha emesso una decisione, mercoledì scorso, che limita l’accordo di associazione, in vigore dal 2000 tra l’Unione Europea e il Marocco, escludendone l’applicazione al Sahara Occidentale. Questa vittoria giudiziaria è per i Saharawi una soddisfazione a metà. Il Fronte Polisario, che li rappresenta, aveva chiesto e ottenuto nel 2015 l’annullamento di un accordo di libero scambio per i prodotti agricoli e di pesca. Contro questa decisione avevano presentato ricorso gli Stati membri della UE. La nuova decisione lascia in vigore l’accordo di libero scambio, ma ne limita il campo territoriale di applicazione.
 
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