Le Journal Hebdomadaire n.337 (16-22 febbraio 2008)

 

La vicenda FACEBOOK - UBU PRINCE

 

di Zineb El Rhazaoui

 

Il Marocco ha il suo primo prigioniero internauta, Fouad Mourtada, ingegnere di 26 anni, "un ragazzo timido" secondo i suoi, rischia 5 anni di prigione per aver creato nella rete un profilo falso di Moulay Rachid.
Sequestrato, torturato, umiliato, Fouad Mourtada sicuramente non sapeva quello che rischiava quando ha creato, sul sito web Facebook qualche settimana fa, un falso profilo del principe Moulay Rachid (fratello minore del re  Mohamed VI e numero tre ufficiale del regime nell'ordine di successione al trono Alaouita). Ecco come un ingegnere informatico diplomatosi alla Scuola di Ingegneria di Mohammedia (EMI), venuto fuori da una famiglia di 5 figli originaria di Goulmina, un giovane apparentemente senza storia, é diventato bersaglio della collera del MAKHZEN (sistema di potere della Monarchia marocchina, ndt).
Fouad Mourtada é accusato di "usurpazione di identità e pirateria informatica". Martedì 5 febbraio il coinquilino di Fouad si accorge che non é rientrato dal lavoro e che le due unità centrali dei loro computer sono spariti dall'appartamento che dividono a Casablanca. Avvisa immediatamente i familiari dello scomparso, che invano avviano le ricerche. Solo l'indomani la famiglia riesce a conoscere la ragione della scomparsa di Fouad, ascoltando le notizie Flash delle 18.30 su radio ASWAT.
La radio riprende un comunicato dell'agenzia MAP (Maghreb Arab Press) di quello stesso giorno, che annuncia l'arresto di un giovane ingegnere per "pratiche abiette", seguite alla creazione di un falso profilo di Moulay Rachid su Facebook. La MAP aggiunge peraltro nel comunicato di essere la sola agenzia autorizzata a riportare in Internet informazioni sulla famiglia reale.

Il mattino del 7, Ilyas, il fratello più grande di Fouad (27 anni), va alla Prefettura di polizia di Casablanca dove riesce a fatica a trovare qualcuno che gli dia ascolto. Vede in un ufficio gli effetti personali di suo fratello, per l'esattezza il suo zaino, ma i funzionari di polizia negano di avere interrogato Fouad e gli dicono di ritornare alle 14,30. Solo alle 15,30 si sentirà dire che Fouad non si trova in Prefettura e che farà maglio a cercarlo al Tribunale di prima istanza. Una volta lì, gli dicono che il nome di Fouad non compare nella lista degli arrestati. Finalmente Ilyas riceve una telefonata dalla polizia che gli comunica che Fouad si trova negli uffici della Prefettura, ma che non gli é consentito di incontrarlo.
La domanda di liberazione sotto cauzione, presentata venerdì 8 dal suo avvocato, Maitre Fechtal, viene respinta dal Tribunale di prima istanza, che fissa il processo per il 15 febbraio.
Così Fouad é rimasto diversi giorni in stato di detenzione, senza che i suoi sapessero esattamente dove si trovava. Finalmente il 12 febbraio la famiglia viene autorizzata a rendergli visita alla prigione di Oukacha e così viene a conoscere le modalità dell'arresto.
Martedì 5 febbario, verso le 8,30 del mattino, Fouad é stato sequestrato sotto casa sua, tra Ain Sebaa e Sidi Bernoussi, da due individui che lo hanno costretto a salire su una macchina e che gli hanno bendato gli occhi.

 

IL MAKHZEN E' VIGILE
Un quarto d'ora più tardi cambiano vettura e giungono nei locali della Sureté Nationale, dove l'internauta subisce un interrogatorio duro. Botte, umiliazioni, insulti, sputi, niente gli é stato risparmiato. E' stato picchiato per due ore sulla testa e sulle gambe con un oggetto destinato a fare male senza lasciare tracce e ha perso conoscenza diverse volte. In tutto Fouad é scomparso per 36 ore senza avere contatti coi familiari.
La vicenda kafkiana del giovane Foaud Mourtada presenta molte zone d'ombra e pone numerosi interrogativi sul funzionamento della giustizia e dell'apparato di sicurezza. In democrazia non bisognerebbe infuriarsi per atti di questo tipo, tanto più che le pagine del falso profilo sono semplicemente soppresse dagli amministratori del sito, a domanda delle personalità vittime di usurpazione di identità.
In Marocco é l'intera faccia nera del sistema che ringhia contro il giovane ingegnere, ricordandoci la fragilità dei diritti dell'uomo nel paese . Infatti il sistema risponde ancora alla logica del Makhzen, che "corregge" chi "oltrepassa i limiti", piuttosto che al diritto uguale per tutti in piena trasparenza. Se Fouad sarà condannato, questo costituirà un precedente che certamente appannerà l'immagine del più bel "paese del mondo", che i governanti marocchini si sforzano tanto di migliorare sul piano internazionale. Clotilde Le Coz, responsabile dell'ufficio Internet e libertà di Reporters sans frontières (RSF) ha dichiarato: "Sono molto turbata dalla reazione sproporzionata delle Autorità marocchine in questa vicenda". Secondo lei, una tale reazione é ancora più inaspettata dal momento che la blogsfera marocchina era considerata dagli osservatori come "una delle più libere del mondo arabo", immagine che rischia di essere di nuovo intaccata da questo nuovo scandalo giudiziario.
D'altronde numerosi bloggers marocchini e stranieri si sono inseriti nel dibattito in rete manifestando con chiarezza il loro sostegno a Foaud Mourtada. Una delle prime domande che gli internauti si pongono cerca di capire chi é stato ad ordinare l'inchiesta di polizia. Alcune voci sostengono che l'ingegnere avrebbe dato il suo numero di celluare ad una ragazza, conosciuta attraverso il profilo, e che quest'ultima lo avrebbe denunciato quando ha scoperto l'inganno, e questa cosa spiegherebbe in qualche modo l'espressione "pratiche abiette", usata dalla MAP. Detto questo, fino a questo momento niente avvalora questa tesi.
I bloggers puntano il dito su Maroc Telecom che, secondo loro, avrebbe collaborato con la polizia per individuare le coordinate informatiche del giovane ingegnere senza la preventiva autorizzazione del giudice. Anche gli amministratori di Facebook sono accusati dagli internauti e dalla famiglia di Fouad, che li sospetta di averne comunicato l'indirizzo IP alla polizia marocchina.

 

UN MONDO VIRTUALE

"Effettivamente ho creato il profilo il 15.1.2008. E' restato in line alcuni giorni, finché qualcuno lo ha chiuso. Ci sono molti profili di celebrità su Facebook. Io non ho mai pensato che, creando il profilo di Sua altezza Reale il principe Moulay Rachid, gli averei arrecato pregiudizio (...) E' stato solo uno scherzo. Sono dispiaciuto per quello che ho fatto e imploro perdono per il male che ho arrecato a tutta la mia famiglia. Io non sono un delinquente, la mia unica ambizione é quella di avere un lavoro stabile ed una vita normale". Questa é la dichiarazione di Fouad Mourtada pubblicata dalla famiglia in un comunicato stampa sul sito www.helpfouad.com
Il comitato di sostegno creato per lui, che diventa sempre più numeroso, ha lanciato una petizione firmata da 800 persone. Il comitato riconosce che la creazione di un falso profilo non può considerarsi certamente un fatto commendevole, ma deplora ugualmente l'assurdità del trattamento riservato all'accusato. "E' un ragazzo tranquillo - afferma suo zio Mohamed - non ha orientamenti politici o religiosi particolari, aspira solo ad una vita tranquilla".
Fouad rappresenta tutta la generazione che vive nel virtuale, un mondo regolato da codici che non sono sempre simili a quelli della vita reale.
"Nessuno prende Facebook sul serio - assicura Leila, 29 anni, frequentatrice del sito - é uno strumento di comunicazione particolare, in qualche modo un mondo ludico".
Il Makhzen invece sembra prenderlo molto sul serio, l'arcaismo della sua reazione si può paragonare solo la vuoto giuridico che circonda la questione.
Il delitto di usurpazione di identità, di cui Fouad é accusato, é previsto dall'art. 385 del codice penale che stabilisce: "Chiunque in un atto pubblico o autenticato, o in un documento amministrativo destinato alla pubblica autorità, si attribuisce inndebitamente un nome patronimico diverso dal suo é punito con una ammenda da 200 a 1000 Dh".
Questa disposizione trova un completamento nell'art. 383: "Chiunque, sia in ambito ufficiale che abitualmente, si attribuisce indebitamente in titolo o una carica onorofica, é punito con la prigione da 1 a 2 mesi e con una ammenda da 200 a 1000 Dh".
Tuttavia in entrambi i casi gli articoli citati non sembrano appropriati perché, da un alto, non si tratta di un atto pubblico, vale a dire un atto di provenienza dell'autorità pubblica e dall'altra non é possibile sostenere che Fouad Mourtada si sia attribuito il nome patronimico di Moualy Rachid, o il suo titolo, perché la foto collocata sul profilo era quella del principe, non quella dell'ingegnere.

 

UN VUOTO GIURIDICO

La pena richiesta di 5 anni di prigione fa pensare che l'inchiesta contro Foaud Mourtada sarà probabilmente fondata sull'art. 41 del codice della stampa e dell'editoria, che prevede la prigione da 3 a 5 anni ed un'ammenda da 10.000 a 100.000 Dh per ogni "offesa, con uno dei mezzi previsti dall'art. 38 (i diversi mezzi di informazione audiovisiva ed elettronica), verso Sua Maestà il Re, i principi e le prencipesse reali".
Quest articolo é completato dalla disposizione dell'art. 179 c.p., che prevede "la prigione da 6 mesi a 2 anni ed una ammenda da 200 a 500 Dh contro ogni offesa portata contro i membri della famiglia reale".
Detto questo, bisognerà provare che Fouad Mourtada ha davvero arrecato offesa a Moulay Rachid. Secondo la sua famiglia, il giovane ingegnere sarebbe un fan del principe ed avrebbe creato il suo profilo con noncuranza, non pensando che la cosa sarebbe stata presa così sul serio dalla Autorità.
Mariam, ex compagno di Foaud all'EMI tiene a dire che "la lealtà verso la famiglia reale ed il patriottismo che ci hanno inculcato nel corso della nostra formazione militare hanno senza dubbio ispirato a Foaud una grande ammirazione per S.A.R. Moulay Rachid".
Tra l'altro l'accusato ha dichiarato di non avere inviato alcun messaggio atraverso utilizzando questo profilo, cosa che sarà facile verificare durante l'inchiesta della polizia. Tuttavia l'accusa potrebbe utilizzare l'art. 607/7 comma del codice penale, introdotto nel 2004, la cui interpretazione é ancora molto incerta: "salvo quanto previsto da disposizioni penali più severe, il falso o la falsificazione di documenti informatici, in qualsiasi forma, tali da creare altrui danno, é punita con la prigione da 1 a 5 anni e con l'ammenda da 10.000 a 100.000 DH".
Bisognerà però che si dimostri che la creazione di un falso profilo su Facebook sia un atto di falsificazione e che la pagina incriminata sia da considerarsi un documento informatico, perché gli specialisti del web parlano piuttosto di Database.
Insomma questa faccenda rivela le lacune giuridiche nella disciplina dei nuovi mezzi di informazione. "E' una vera e propria questione sociale, i media si evolvono continuamente e la legge non sempre riesce a stare al passo. Qualche anno fa l'introduzione della parabola aveva sollevato un grande dibattito che adesso si é esaurito". E' quanto osserva Mohamed, lo zio di Foaud, per ricordare che spesso i giovani sono all'avanguardia dell'evoluzione sociale. Aspettando il processo, un altro profilo di Moualay Rachid, probabilmente realizzato all'estero, continua a troneggiare nella pagine di Facebook.

 

 


 

 

LE VITTIME DEL NET

Foaud Mourtada non é la sola vittima nel mondo arabo della sua incoscienza in rete. Il caso più illustre é quello del tunisino Zouhair Yahyaoui, alias Ettounsi, creatore del celebre cyber-giornale "TUN e ZINE", lanciato nel giugno 2001 e diventato famoso per le sue prese di posizione contro il regime di Ben Ali. Arrestato nel giugno 2002, é stato condannato a 28 mesi di prigione per "divulgazione di false notizie" e "fraudolenta utilizzazione dei mezzi di comunicazione", ed ha scontato un anno e mezzo nelle prigioni tunisine, riuscendo ad ottenre la liberazione condizionale nel novembre 2003, solo a prezzo di interminabili scioperi della fame. Zouhair Yahyaoui é morto nel marzo 2005 per una crisi cardiaca, ma resterà uno dei simboli della libertà di espressione nel mondo.
Il blogeur egiziano Abdel Karim Nabil Suleiman, alias Kareem Amer, é detenuto nel suo paese dal 6 novembre 2006 e sconta una pena di 4 anni per ragioni non meno modeste. Il 22 febbraio 2007 é stato condannato a 3 anni di prigione per "incitazione all'odio contro l'islam" e ad 1 anno per "insulti contro Hosni Moubarak".
In Arabia Saudita, il bloggeur Fouad Al-Farhan é detenuto arbitrariamente nella prigione di Jeddah dal dicembre 2007 "per interrogatori", senza che le autorità saudite forniscano alcuna valida spiegazione.
Se i tre paesi citati figurano già nella lista dei 13 nemici di internet redatta da Repoters sans frontières (RDF), il Marocco rischia di raggiungerle presto, dopo la vicenda Facebook.  
  

 
  
 
  
 
 

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