Non in nostro nome
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Non in nostro nome
Editoriale di Aboubakr Jamai
Le Journal Hebdomadaire 10/16 ottobre 2009
E’ necessario prostrarsi davanti alle lobby sioniste nordamericane più radicali per difendere gli interessi del Marocco?
C’è stato bisogno che ne parlasse il sito internet della comunità ebraica nordamericana perché lo venissimo a sapere. Jason F. Isaacson, direttore degli affari governativi ed internazionali del Comitato ebraico nordamericano è stato decorato con la medaglia di Cavaliere del Trono del Regno del Marocco, alla presenza del nostro caro ministro degli affari esteri, Taieb Fassi Fihri, del nostro caro ambasciatore itinerante Serge Berdugo e del nostro ambasciatore negli USA Mohammed Mekouar. L’informazione è apparsa il 6 ottobre senza che la MAP (l’agenzia di stampa ufficiale) o Le Matin du Sahara o 2M o TVM l’abbiano annunciata o rilanciata. Se ne temevano senza dubbio le ripercussioni nell’opinione pubblica nazionale. Questa benemerenza conferita nel silenzio è un insulto ai Marocchini. Una vergogna.
Che cosa è il Comitato ebraico nordamericano? E chi è il sig. Isaacson? Il Comitato ebraico Nordamericano, più conosciuto con l’acronimo inglese AJC, è una organizzazione di lobbying che difende gli interessi degli ebrei nel mondo. Fin qui, nessun problema. Dove la cosa diventa francamente imbarazzante per il regime marocchino, è che questa organizzazione è un devoto difensore dello Stato di Israele, qualsiasi siano la sua politica o le sue macchinazioni. E’ rivelatore di ciò una visita al suo sito internet. David Harris, il direttore esecutivo di AJC, che cura un blog nel quotidiano israeliano di destra Jerusalem Post, vi spiega in un testo a sua firma che il problema dei rifugiati, nato nel 1947, è prima di tutto responsabilità degli stessi Palestinesi. Sul sito dell’AJC si può leggere anche un articolo datato 18 giugno 2009, a firma di Aaron Jacob, che altri non è se non il vice di Isaacson, nel quale egli giustifica sul piano storico, politico e giuridico la politica israeliana di sviluppo delle colonie nei territori occupati. E non è la prosa usata che migliora le cose per il nostro caro decorato sig. Isaacson. “Non esiste una risposta proporzionata a dei movimenti terroristi armati, che tentano continuamente di uccidere cittadini israeliani”, tuonava in un testo del 13 gennaio 2009 durante la vergognosa guerra fatta a Gaza dall’esercito sionista. E aggiungeva: “Se la campagna israeliana diretta a indebolire Hamas ed impedirle di continuare la sua aggressione si arrestasse prematuramente, il costo sarebbe troppo elevato…”. Il sig. Isaacson può stare tranquillo, l’esercito israeliano ha potuto massacrare a modo suo. Quasi 1500 Palestinesi sono stati uccisi, per la maggior parte civili, tra cui 412 bambini secondo la Croce Rossa internazionale. Ecco dunque l’organizzazione e l’uomo di “pace” che il nostro caro regime, alla cui testa vi è un comandante dei credenti, presidente del comitato Al Qods, ha scelto per onorare della sua medaglia di Cavaliere del Trono del Regno del Marocco. Perché? Per ricompensare il sig. Isaacson dei suoi sforzi per la pace in Medio Oriente? Chi si vuole prendere in giro? Se il regime marocchino ci teneva tanto a conferire un’onorificenza ad una organizzazione filo-israeliana, perché non ha scelto J. Street? Una lobbie assai più decente nei sui atteggiamenti verso i Palestinesi e dunque molto più credibile nella sua ricerca di una soluzione pacifica del conflitto. Si sarebbe ancora potuto decorare lo storico ebreo nordamericano Tony Judt. Un intellettuale critico verso la politica israeliana cui è stata annullata una conferenza presso il consolato polacco a New York nell’ottobre 2006, a causa delle pressioni esercitate sui poveri diplomatici polacchi da un certo David Harris, il direttore di AJC.
Resta la vicenda del Sahara.
E’ necessario prostrarsi davanti alle lobbie sioniste nord americane più radicali per difendere gli interessi del Marocco? E’ compromettendo la nostra integrità morale che intendiamo recuperare la nostra integrità territoriale?
Quale ruolo costruttivo può giocare un paese per la soluzione del conflitto in Palestina se non ha più alcuna credibilità agli occhi dell’opinione pubblica araba e internazionale che non sopporta più le ingiustizie fatte ai Palestinesi? Nessuna.
Rifiutandosi di ricevere Netanyahou nel 1996, Hassan II l’aveva capito.