Le Journal Hebdomadaire, 14/20 novembre 2009


Il silenzio complice dei media francesi


Se le Autorità francesi manifestano oggi la loro solidarietà coi giornalisti e i difensori dei diritti umani tunisini, la stampa marocchina, anch’essa fortemente repressa, non riesce ad ottenere la medesima attenzione


di Khalid Jamai


Il portavoce del ministro francese degli esteri dichiarava, lo scorso 6 novembre, che la Francia era preoccupata per le difficoltà di alcuni giornalisti e difensori dei diritti dell’uomo in Tunisia e ha trasmesso tale preoccupazione alle autorità tunisine. Non solo, ha reso noto di aver investito anche i suoi partner europei di questa questione. Non possiamo che felicitarci per questo atteggiamento francese e per il suo sostegno nei confronti dei nostri fratelli tunisini che subiscono la persecuzione del regime di Ben Ali. Ma ciò che non comprendiamo è perché questo atteggiamento così generoso, così conforme alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, non si manifesti anche quando si tratti di denunciare le molestie, le persecuzioni e la repressione subita della stampa marocchina, soprattutto quella detta indipendente. Dobbiamo dedurne che i dirigenti francesi  non sono al corrente dell’aggressione di cui sono vittima i giornalisti marocchini? Un’ ignoranza che sarebbe dovuta a deficienze e disfunzioni nel funzionamento dei servizi di informazione dell’Ambasciata di Francia? Nel qual caso sarebbe tempo di porvi rimedio

40 anni di prigione
O siamo di fronte ad una scelta deliberata di Parigi: quella di chiudere gli occhi su questa aggressione alla stampa marocchina per non recare pregiudizio alle relazioni tra i due paesi, che sono diverse e variegate.  Nel caso in cui i dirigenti francesi non fossero bene informati, portiamo a loro conoscenza che, in meno di tre settimane, i tribunali marocchini hanno pronunciato sentenze per un totale di 11 anni di prigione nei confronti di sette giornalisti. Quanto alle pene pecuniarie, arrivano ad un totale di 3.554.000 Dirham.
E così la “nouvelle ère” totalizza condanne per quaranta anni di prigione e più di un milione di euro di pene pecuniarie. Che è quanto ha rilevato anche Jean-François Julliard di RFS, quando ha dichiarato che ”secondo lui siamo di fronte ad un vero inasprimento, un vero scadimento della libertà di stampa in Marocco”, aggiungendo: “sono state pubblicate di recente le nostre classifiche mondiali in tema di libertà di stampa e il Marocco vi figura al 127° posto su 175… Una posizione non degna di uno stato democratico… Si pensava  – bisogna precisare – che fosse finito il tempo dei giornalisti in prigione in Marocco… Con tutta evidenza non è così, e comincia ad essere lunga la lista dei giornalisti che in questo paese sono stati imprigionati”, precisando che, dopo l’ascesa al trono di Mohammed VI, il giornalisti marocchini sono stati condannati, in totale, a quasi 28 anni di prigione…” E in generale i media, nel corso di questi dieci anni, sono stati “condannati a più di due milioni di euro di pene pecuniarie”.
Ma a Parigi continuano a tapparsi le orecchie, a guardare altrove e serrare le labbra. Un atteggiamento che non sorprende se posto a confronto con quello adottato nei confronti della tragedia di Aicha Mokhtari, morta a causa del rifiuto ingiustificato di una visita medica, rifiuto dovuto ad un errore del consolato francese di Fes.
Dopo avere seppellito Aicha, anche la sua tragedia sta per essere seppellita, con l’insabbiamento di ogni inchiesta diretta a stabilire le responsabilità, cosi da consentire, se necessario, la punizione dei responsabili e il risarcimento per la famiglia. Un atteggiamento che si concilia anche con il “passo indietro” della ministero francese della giustizia nell’ambito della vicenda Ben Barka, che ha visto il ministro accantonare gli avvisi di ricerca internazionale emessi contro certi alti dirigenti marocchini. A questo bisogna aggiungere la timidezza, per non dire la “neutralità compiacente” dell’AFP nei confronti delle Autorità marocchine. Senza voler giungere al punto di accusare l’Agenzia francese di essere agli ordini del makhzen, è evidente che essa dia prova di una grandissima “comprensione”. Si veda il suo atteggiamento nell’affare di Aicha Mokhtari che ha reso necessario una puntualizzazione da parte del fratello della vittima per denunciare la negligenza del console. Una puntualizzazione rimasta senza risposta, essendosi l’agenzia limitata ad una telefonata alla redazione del giornale che ha pubblicato la precisazione per ribadire la sua versione dei fatti. Si veda ancora una certa “menzogna per omissione”, come il fatto di  tacere che la conferenza di RSF era stata vietata. Si veda infine l’uso di quelle “formule che mutilano” l’informazione. Così, quando la difesa del giornale Akbar Al Youm si è ritirata dal processo per protestare contro diverse violazioni perpetrate dai giudici, l’AFP ha parlato di “dimissioni” degli avvocati. Ora, e fino a prova contraria, “ritiro e dimissioni” non sono sinonimi. Bisogna riconoscere che siffatti comportamenti rispondono perfettamente al ruolo che il presidente francese avrebbe assegnato a questa agenzia, ruolo che è stato denunciato nella lettera che gli è stata indirizzata il 3 novembre scorso dai sindacati dei giornalisti francesi, SNJ, SNJ-CGT e USJ-CPTD. In questa lettera i sindacati scrivono: “E cosa dire del ruolo che ella intende assegnare all’AFP optando con la direzione di questa agenzia mondiale, la sola non anglo-sassone, per la sua nazionalizzazione dopo aver messo in vendita il suo statuto che, da un mezzo secolo, ha preservato la sua indipendenza. La portavoce dell’UMP Frédéric Lefebvre aveva da qualche tempo mosso l’assalto contro questa redazione, libera da ogni capitale e azionariato, per tentare invano di farne la “voce del padrone”?
Detto questo, i media francesi, salvo rarissime eccezioni, sono reticenti anch’essi quando si tratta di fornire informazioni che possano turbare il regime marocchino. Come per esempio il silenzio sulla selvaggia repressione della popolazione di Ifni; il silenzio sulla repressione quasi quotidiana del diplomati-dispoccupati; il silenzio sulla tragedia di Aicha Mokhtari; il silenzio sulla tortura di Zahara Boudkour e i suoi compagni - torture che solo Ignacio Ramonet ha avuto il coraggio di denunciare – il silenzio sull’assassinio della stampa indipendente, ecc….

P.S. La Francia è legata alla libertà di espressione, ha dichiarato giovedì 12 novembre il portavoce del Ministero francese degli Affari esteri, Bernard Valero, rispondendo ad una domanda sulla sospensione martedì in Gabon di sei giornali privati per “violazione dei principi deontologici”; “Ricordiamo l’importanza che la Francia attribuisce al principio della libertà di espressione. E’ uno dei principi fondamentali di ogni democrazia”, ha ribadito il portavoce nel corso della conferenza stampa quotidiana.  E il Marocco?


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