Gaza, un anno dopo
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Un anno dopo – Gaza di fronte al tradimento
L’Expression, 24 dicembre 2009 – Mustapha Cherif*
Chi viola le convenzioni umanitarie e infligge una “punizione collettiva” a un popolo senza mezzi? Israele. Chi opprime, colonizza e si fa gioco del diritto internazionale? Israele. Chi rifiuta la pace e sabota tutti gli sforzi diplomatici? Israele. Chi continua a resistere in modo pacifico e affidandosi alla diplomazia? Il popolo palestinese. Un anno dopo l’aggressione omicida a Gaza, i Palestinesi continuano a morire a fuoco lento. Soffocati dall’assedio della soldataglia sionista nelle mani dell’estrema destra. Chi, tra gli Arabi, aiuta, sostiene e tenta di liberare Gaza dalle grinfie del suo carnefice? Nessuno.
Gaza in rovina
Le vie di passaggio sono, al contrario, tutte chiuse e controllate. La situazione è talmente tragica che 16 ONG del mondo intero, un anno dopo l’inizio del massacro a porte chiuse, denunciano il tradimento della comunità internazionale. Questo gruppo di organizzazioni umanitarie rimprovera, a giusto titolo, al mondo intero di aver tradito la popolazione della striscia di Gaza mostrandosi incapace di porre fine al blocco israeliano per permettere l’ingresso di aiuti e la ricostruzione. Gaza è sempre in rovina. Quello che succede a Gaza è un segno premonitore di ciò che potrà capitare ad altri popoli domani, se non reagiranno.
In effetti il documento denuncia che l’occupante israeliano e i suoi complici asfissiano i Palestinesi. Hanno autorizzato nel 2009 l’ingresso nel piccolo territorio palestinese solo di una quarantina di carichi di materiali di costruzione, quando ce ne vorrebbero migliaia per ricostruire Gaza. “Le potenze mondiali hanno tradito i semplici cittadini di Gaza”, dichiara Jeremy Hobbs, il direttore generale di Oxfam International… hanno stretto le mani ed hanno fatto dichiarazioni, ma hanno realizzato pochissime azioni significative per tentare di modificare una politica disastrosa che impedisce la ricostruzione, il ristabilimento individuale e la ripresa economica.
L’aggressione israeliana, in tre settimane, aveva fatto 1400 morti, in maggioranza donne e bambini, e provocato danni immensi nel territorio governato da Hamas, che conta 1,5 milioni di abitanti. Questi Palestinesi vivono senza copertura medica, senza acqua e senza elettricità nella maggior parte del tempo, a causa dei tagli realizzati dai sionisti. La disoccupazione e la mortalità raggiungono record mondiali. Di fronte alla gravità della situazione, i popoli arabi reagiscono appena, in modo emozionale, ed essi stessi sono paralizzati dai dispotismi e dalle contraddizioni dei sistemi interni. Nessuno invoca la guerra, ma chiedono solo la fine dell’aggressione di una popolazione totalmente priva di mezzi, sottomessa al blocco e ad una feroce repressione. Alcuni regimi arabi, nonostante la loro storia, sono paralizzati dal timore di vedere una sola fazione della resistenza, dall’ideologia non condivisa, approfittare della situazione. Prigionieri di visioni disfattiste, sono incapaci di un’analisi storica che consenta loro di tracciare una strategia.
La tragedia di Gaza è quella di tutti i paesi arabi e li colpirà se perdura l’inazione. La priorità è quella di avviare nuove alleanze. L’arma del nostro tempo è innanzitutto informativa. Si tratta di comunicare, di comprendere gli obiettivi, di sostenere la coesistenza tra i popoli, la logica del movimento di liberazione, e di spingere gli avversari al negoziato sulla base del diritto e non della legge della giungla. Tra i Palestinesi, per difendere i loro interessi fondamentali, l’indipendenza e la libertà, bisogna ritrovare una unità, una strategia da concepire e un prezzo da pagare.
La lotta di liberazione in Algeria ha vinto su queste basi. La resistenza palestinese, durante la selvaggia aggressione, malgrado i suoi limiti, ha dimostrato di essere capace di sacrifici.
Il mondo arabo e mussulmano, nel corso di decenni, non è stato capace di affrontare questa questione centrale. La proposta di pace, adottata all’unanimità dai paesi arabi nel 2002, fondata sulla normalizzazione dei rapporti con Israele, in cambio dei territori occupati nel 1967, è conseguente. Ma resterà senza effetto se non si prenderanno anche delle misure concrete. Alcuni regimi arabi e, in questi ultimi anni, anche dei gruppi manipolati, che ignorano la realtà del mondo, alimentano la paura e la propaganda islamofobica, nel contesto della mondializzazione dell’insicurezza. Dal canto loro, gli israeliani e alcuni Occidentali non accettano l’immonda ingiustizia che subiscono i Palestinesi. Non resta che tirare le somme per correggere gli errori. Senza una correzione dell’autismo israeliano, e senza una correzione degli errori arabi con delle azioni costruttive, sarà impossibile contrastare la disinformazione sulla causa palestinese, anche se Gaza è il simbolo dell’impunità israeliana.
Si annuncia una guerra perpetua. La politica dei due pesi e delle due misure, a detrimento dei Palestinesi, ha assunto proporzioni inammissibili. Essa è contraria agli interessi dei paesi occidentali. Distrugge la loro credibilità, la sicurezza di tutti e l’idea di un ordine mondiale giusto. L’Europa non è uscita dal suo passato. Alcune élite occidentali, traumatizzate dal genocidio degli ebrei d’Europa, sono ancora vittime della cattiva coscienza. La strumentalizzazione dell’innominabile, la Shoah, costituisce il fondamento che consente a Israele di collocarsi al di sopra di ogni legge. Il sionismo punta sul ricordo della Shoah e la paura, per far passare sotto silenzio ogni critica della sua politica. L’Israeliano gestisce l’immensa catastrofe che per lui è stata la Shoah, sfruttandola per ottenere l’impunità. La repressione del popolo palestinese è il risultato di calcoli legati ad un ambizione di egemonia. Per ottenere l’avallo della comunità internazionale alla colonizzazione, alla repressione, alla dominazione; la propaganda stigmatizza, alimenta lo “scontro di civiltà”, demonizza e insinua che tutti i mussulmani sono degli estremisti. Crea diversivi, anche se l’opinione pubblica non si fa ingannare e vi sono quelli che denunciano il bellicismo e i crimini di guerra.
Colmo della parzialità, gli Occidentali decidono di disarmare i Palestinesi, le vittime, i colonizzati, e chiedono loro di riconoscere il loro aguzzino. L’Occidente vuole assicurare la sicurezza al colonizzatore ed evita di garantire al colonizzato la sua liberazione. Il cinismo ha raggiunto un livello mai visto. Gaza impone una domanda: come possono Israele e gli USA, e i paesi europei loro alleati, immaginarsi di ottenere pace e sicurezza violando le regole della guerra e seminando morte e odio? Non si tratta di un semplice accecamento o di ordinario razzismo. Israele e i suoi alleati pensano che l’ostacolo all’egemonia degli USA ed al liberalismo selvaggio nel mondo sia in primo luogo il popolo di cultura mussulmana. L’invenzione di un nuovo nemico ha per obiettivo, non di lottare contro il terrorismo, ma di creare un diversivo, di impedire che le questioni della crisi e delle diseguaglianze che vive l’umanità siano affrontate.
Dividere per regnare, moltiplicare le colonie, rendere irreversibile la dominazione, questa la linea di Israele, che non può realizzarsi se non nel bellicismo. Politica sistematica di frazionamento dei territori occupati, d’apartheid. Gaza tagliata fuori dal mondo. Israele e i suoi complici impongono un ordine totalitario, fatto di muri e di costrizioni. E’ il rifiuto della reciprocità, base della civiltà. Il tutto travestito da stratagemmi e fatti compiuti, al posto e in violazione del diritto internazionale. Trovare alleanze è un imperativo. Nessuno può, da solo, contrapporsi all’incertezza. In questo contesto, non si può dialogare se si rifiutano le critiche e comunque il dialogo comporta delle conseguenze: diritto alla dignità, alla democrazia per tutti
La soluzione finale?
La violenza sionista impedisce di reinventare una nuova civiltà, di cui il mondo ha bisogno. Quello che è in gioco in Palestina è l’avvenire del diritto alla differenza, del diritto dei popoli, anche se alcuni di quelli che resistono hanno una visione reazionaria della religione e della politica. L’Occidente non deve cullarsi nei suoi progressi e ancor meno farsi influenzare dagli ambienti che propugnano la logica dell’esclusione. Deve fare un bilancio della sua storia a interrogarsi sui rischi che fa correre all’umanità, attraverso le diseguaglianza che impone. Il mondo mussulmano, su di un piano esterno, non può cedere alle aggressioni e , su di un piano interno, deve interrogarsi sulle derive degli estremismi “poitico-religiosi” e sull’assenza di pratiche democratiche. Questa doppia resistenza sarà salutare se si pone questi obiettivi. Gaza è il buco nero che invita alla riflessione vigilante. I sionisti intendono imporre una specie di soluzione finale nazista. Tutti i popoli sono coinvolti in quello che succede a Gaza. E’ tempo di svegliarsi. L’Algeria, il paese di novembre, ha avuto la lotta di liberazione più prestigiosa del XX secolo, è allo stesso tempo terra di saggezza, di dignità e di cultura della resistenza. Il suo percorso è una lezione sulla quale tutti devono meditare.
*Filosofo