La nuova strategia dei Talebani afghani
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 23 ottobre 2017 (trad. ossin)
La nuova strategia dei Talebani afghani
Julie Descarpentrie
Dall'invasione del paese da parte dei Sovietici, gli Afghani sono in preda ad una cronica instabilità, strattonati dai Talebani, in maggioranza pashtu, che rivendicano il ritorno ad un governo e a un emirato talebano, e da Daesh, che vuole la costituzione di uno Stato Islamico nella provincia di Khorasan. A ciò si aggiunge una terza forza a complicare ancora di più il paesaggio politico ed etnico del paese, vale a dire l'eredità persiana rivendicata dagli Hazari[1] dai Qizilbash sciiti, oltre che dai Tagiki sunniti, che parlano anch'essi il dari, una lingua persiana.[2]
Fin da quando il territorio venne definitivamente diviso tra gli imperi persiano e mongolo nel 1649, la cultura iraniana è sempre stata prevalente nella parte ovest dell'Afghanistan, soprattutto a Herat, città in cui una cultura particolarmente ricca ha favorito la produzione di bellissime opere poetiche e letterarie, e nella quale si trovano molte tombe di santi, sufiti e mistici. Punta di diamante dello sciismo e del culto dell'imam Ali, la cui tomba dovrebbe trovarsi a Mazar-e-Sharif[3] -, l'impero iraniano, adottando lo sciismo come religione ufficiale nel XVI° secolo, ha di fatto provocato una importante frattura religiosa che perdura ancora oggi in Afghanistan.[4] E' così che, per le differenze culturali, linguistiche ed etniche che esistono tra i Persanofoni e i Pashtu sunniti, questi ultimi tendono ad avere maggiori affinità con gli Arabi importati da Al Qaeda, gli Uzbeki del Movimento Islamico dell'Uzbekistan (MOI) o i Talebani. Infatti questi tre gruppi condividono la stessa ambizione di costituire un governo sunnita impermeabile a qualsiasi influenza occidentale e di fare della sharia la base del diritto islamico
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Ex Talebani nei ranghi di Daesh
Diversamente dai Talebani « storici », composti essenzialmente di Pashtu della tribù dei Ghilzai[5] desiderosi di stabilizzare il paese dopo la cacciata dei Sovietici nel 1989, gli « studenti di teologia » attuali si appoggiano a diversi movimenti islamisti, come gli Uzbeki e gli Uiguri, cui si sono attualmente uniti alcuni elementi di Daesh. Anche se attualmente la strategia USA punta sull'invio di rinforzi destinati ad annientare Daesh e a costringere i Talebani a negoziare, deve constatarsi che, contrariamente ai piani iniziali miranti a indebolire i Talebani perseguendo il principio di « dividere per meglio comandare », la morte dei loro capi Omar e Mansur per effetto di attacchi di droni nel 2013 e 2016, ha provocato la radicalizzazione di numerosi insorgenti.
Così si spiega perché circa un 10% di loro sono entrati nei ranghi di Daesh, che oggi potrebbe contare localmente su 1 000, o forse 3 000 combattenti.[6] Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratta in maggioranza di Iracheni o Siriani; sono soprattutto Talebani che hanno deciso di cambiare affiliazione per ragioni ideologiche e perché la scelta del mullah Mansur come successore del mullah Omar non era condivisa da tutti. Di conseguenza, i Talebani secessionisti – molti dei quali sono giovani combattenti afghani che non si identificano con la vecchia guardia dei dirigenti ribelli – tendono ad optare per il progetto espansionista di Daesh nel "Khorasan"; un territorio che dovrebbe comprendere Pakistan, Afghanistan, Asia centrale e Iran. Molto presenti nel distretto di Khogyani e nella provincia di Helmand, sembrano avere seguito l'esempio del mullah Abdul Rauf, un veterano della guerra contro i Sovietici, popolarissimo tra i Talebani e la cui affiliazione a Daesh è avvenuta dopo la sua incarcerazione a Guantanamo.
Per questi ex Talebani, entrare in Daesh significa anche liberarsi della tutela di certi comandanti, consente ad alcuni di loro di rivendicare un territorio più importante; permettendo così di ottenere il controllo sul traffico di droga, i cui profitti sono stimati tra i 100 e i 400 milioni di dollari all'anno. Un simile accordo soddisfa pienamente Daesh, perché lo sfruttamento dei campi petroliferi siriani non produce più risorse finanziarie da quando gli USA li bombardano, per questo alcuni combattenti dello Stato Islamico sono stati dislocati altrove, soprattutto nel Nangarhar.
Peraltro, considerato che gli sciiti sono sempre stati nel mirino dei terroristi per il fatto di praticare un islam « deviante » e di essere agenti dell'Iran, non meraviglia che l'alleanza tra Talebani e Daesh abbia provocato una crescita esponenziale degli attacchi contro gli sciiti, come quello del 5 agosto nella città di Sare-Pul, vicino a Mazar-e-Sharif, che ha provocato 54 morti sciiti ed è il frutto di una alleanza tra l'ex capo talebano M. Ghazanfar e Daesh.
Però si osserva che la maggioranza dei Talebani non condivide l'agenda di Daesh, che non solo mira a istituire una provincia del Khorasan e fare delle zone tribali una retrovia per i loro combattenti, ma vuole anche provocare tensioni inter-comunitarie in seno alla stessa popolazione afghana. Infatti, prendendo di mira principalmente gli Hazari e trattando gli sciiti come un popolo eretico, mirano ad attizzare l'odio dei sunniti verso questi ultimi per creare un caos prodromico allo scoppio di una guerra civile nel paese, che consentirebbe agli elementi di Daesh di impiantarsi ancora più stabilmente nella regione. Ma, siccome questa strategia oltranzista va molto al di là degli obiettivi dei Talebani – che vogliono in primo luogo rovesciare l'attuale governo, imporre la sharia come legge di un emirato islamico e scacciare gli occidentali -, la competizione tra i due gruppi terroristi è tale che oramai i Talebani si concentrano solo sugli attacchi alle forze di sicurezza afghane, alle Organizzazioni non governative, e a tutte le persone sospettate di spionaggio, lasciando in pace gli sciiti, per esempio.
Così, per quanto i Talebani reclutino sempre più bambini soldato e il numero di vittime collaterali degli attacchi suicidi e di congegni esplosivi improvvisati aumenti, i civili sono sempre più oggetto di campagne di terrore organizzate da Daesh. Estranei a qualsiasi nozione relativa al « diritto di guerra », i loro metodi si distinguono da quelli dei Talebani che invece rispettano il pachtounwali (codice consuetudinario) e si impegnano ad instaurare una forma di giustizia nelle zone tribali. A questo proposito si sottolinea che, nel 2015, un gruppo di Hazari è giunto a chiedere loro protezione dalle crudeltà perpetrate dallo Stato Islamico del Khorasan. Un simile ribaltamento della situazione potrebbe dunque far pensare che i valori del vecchio codice di comportamento talebano, chiamato Layeha, siano stati aggiornati per guadagnarsi i cuori e le menti degli Afghani, sia sciiti che sunniti.
Una strategia per guadagnarsi i cuori e le menti
Comparsa nel 2006, la prima edizione di quel che potrebbe essere assimilato ad un « Libro Bianco della Difesa Talebana » o Layeha, è un compendio di strategia militare destinato ad annientare l'ISAF e le truppe dell'operazione Enduring Freedom. E' in questo periodo che le modalità operative dei Talebani diventano sempre più violente, essi non esitano ad usare metodi originariamente utilizzati da Al Qaeda ed importati dall'Iraq, come la guerriglia contro le forze afghane, attentati- suicidi, decapitazioni, tangenti, costruzione di ordigni esplosivi improvvisati ecc.
Ma, rendendosi conto che gli eccessi di violenza del codice del 2006 non suscitavano il consenso degli Afghani, ne pubblicarono altri due, uno nel 2009 e l'altro nel 2010.[7] Uno dei punti fondamentali dell'ultimo codice è che, oltre ai dettagli relativi alle tattiche operative che gli insorti devono rispettare, si delinea anche uno schizzo di progetto socio-politico coerente coi principi del pachtounwali, oltre che con le leggi islamiche del paese, ciò al fine di legittimare le loro azioni nell'ambito di un quadro giuridico rigoroso e che vorrebbe essere « giusto ». Di conseguenza sono oramai proibiti gli atti di crudeltà estrema. Tenendo sempre più spesso discorsi filo-sciiti per dare prova di buona condotta, i Talebani oramai avvisano in precedenza i civili degli attacchi e chiedono scusa per i danni collaterali. Anche se non tutti i Talebani rispettano questo codice di comportamento, soprattutto a causa del loro analfabetismo che non consente loro nemmeno di leggerlo, la volontà del loro nuovo capo, Haibathulla Akhunzada, di creare una relazione di fiducia con le popolazioni locali, si iscrive in questa strategia.
Un simile modo di procedere può sbalordire, ma occorre ricordare che prima che i Servizi di informazione pakistani (ISI) introducessero tra le loro fila molti Arabi nelle zone tribali, gli studenti di teologia avevano una certa « deontologia » e, se anche attaccavano gli sciiti, non ricorrevano agli attentati- suicidi e non erano favorevoli agli attentati di massa, alle decapitazioni e al confezionamento di cinture esplosive. Se pure si voglia dare qualche credito alla intenzione espressa dai Talebani di non voler massacrare gli sciiti, il fatto però che essi siano stati addestrati dall'ISI pakistano ai metodi di insurrezione maoista, può far temere che si tratti di una mera operazione di comunicazione, che potrebbe non essere rispettata dopo la vittoria.
Di fatto, è scritto a chiare lettere nel codice Layeha che i Talebani hanno bisogno di conquistare molte persone alla loro causa, per essere poi in grado di realizzare vaste azioni di guerriglia, e ciò corrisponde anche ai metodi insurrezionali dei servizi di informazione pakistani. Descritti in tre fasi, consistono in primo luogo nella infiltrazione tra la popolazione e le forze di sicurezza; poi consolidarsi nelle zone infiltrate per poter realizzare azioni di guerriglia; e infine lanciare l'offensiva finale. In proposito deve osservarsi che i servizi di sicurezza afghani sono sempre più infiltrati dai Talebani.
Però, nonostante questa minaccia, i governi russo e iraniano si sono recentemente pronunciati in favore degli « studenti di teologia » per assicurare la stabilità in Asia centrale, in quanto l'apparire di Daesh nella regione fa temere uno scenario simile a quello della Siria, dell'Iraq o della Libia. Per quanto anche gli Stati Uniti siano favorevoli all'integrazione dei Talebani nel processo negoziale con Kabul, il fatto che Russi e Iraniani stiano imponendo la loro agenda sulle questioni della sicurezza in Asia centrale e in Medio Oriente, sembra essere un fattore che aggrava la tensione tra Washington – tornata ad essere il grande alleato di Riad - l'Iran e la Russia.
Note:
[1] Massacrati da Abdur Rahman, il re imposto dagli Inglesi dal 1880 al 1901, gli Hazari sono sciiti che abitano soprattutto nello Hazarajat e parlano un dialetto chiamato Hazaragi. Di origine mongola e poveri, sono stati in schiavitù fino al 1919, data in cui il re Habibullah li liberò, ma di fatto li mantenne nel loro stato servile, e questa situazione si è protratta fino agli anni 1970. Disprezzati dagli atei marxisti come Taraki, sono poi stati sterminati in massa dai Talebani.
[2] L'Etnia più colta e appartenente allo sciismo duodecimano, i Qizilbash vivono soprattutto a Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif. Sono sempre stati attivissimi in politica fino a quando Abdul Rahman Khan cominciò a massacrare gli sciiti, a deportarli e a dare le loro terre ai Pashtu. Perseguitati, fuggirono in Pakistan, dove hanno potuto condurre una vita normale e partecipare alla vita politica del paese. Ali Jinnah avrebbe fatto parte di questa comunità, e anche la famiglia Bhutto.
[3] Situata nella provincia di Balkh, Mazar-e-Sharif è una città vicina all'Uzbekistan e al Tagikistan, da sempre un crocevia di civiltà molto invidiata per le sue terre fertili, ciò spiega perché i Pashtu, venuti dalle regioni del Sud, se ne siano appropriati.
[4] La frammentazione sociale del paese va molto oltre le questioni religiose, perché dipende anche dalla divisione tra i centri urbani « benestanti » e le zone rurali tradizionaliste. Accanto al 40% di afghani che appartengono alla etnia pashtu (rurale e filo-talebana) si conta un 30% di Tagiki, molti dei quali istruiti, cittadini e membri del governo, più di un 20% di sciiti hazari e un 10% di Uzbeki. Va anche detto che i non pashtu sono considerati forse meglio istruiti, ma il governo ha fino ad oggi rifiutato loro degli impieghi adeguati, preferendo favorire i sunniti.
[5] I Ghilzai sono uno dei due maggiori gruppi pashtu, insieme alla tribù Durrani che è piuttosto sedentaria. Formano la più importante tribù pashtu dell'Afghanistan, occupando la regione a nord di Kandahar che si stende verso il monte Suleyman. I Ghilzai sono concentrati in una zona tra Ghazni e Kalat-i-Ghilzai, a est sul territorio del Pakistan occidentale. Durante l'invasione sovietica dell'Afghanistan, molti mujaheddin erano dei Pashtu Ghilzaï, come Gulbuddin Hekmatyar. Il grosso delle truppe talebane pure si compone di Ghilzai e la cosa li colloca all'opposizione nella scena politica rispetto ai cugini Durrani, che sono rappresentati nel governo di Hamid Karzaï.
[6] Cifre più recenti, frutto del lavoro di uno dei migliori specialisti dell'Afghanistan contemporaneo, Antonio Giustozzi, e del Royal United Services Institute (RUSI), parlano di non meno di 2-3.000 elementi di Daesh in Pakistan, e di 7 000 o 8 500 in Afghanistan. Queste ultime stime mettono insieme i combattenti e anche le forze pro-Al-Baghdadi che non sono direttamente impegnate sul campo di battaglia.
[7] Commentato dal Taliban Ulema Council, poi approvato dal Consiglio (Shura) di Quetta, il codice Layeha del 2006 è stato redatto da ulema, scrittori e poeti facenti parte di una commissione culturale diretta da Amir Khan Muttaqi, ex ministro afghano della cultura.