Il sacro ritornello
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Le schede di ossin, 10 dicembre 2023 - La Bibbia ebraica racconta la storia inventata di un "popolo eletto" da Dio. Ma il dio degli ebrei è un demone sociopatico dal quale il Cristianesimo non ha mai preso le distanze, contribuendo a diffondere, come un ritornello, la scandalosa pretesa metafisica degli Israeliti...
Unz Review, 8 maggio 2019 (trad.ossin)
Il sacro ritornello
Laurent Guyénot
Il Cavallo di Troia di Yahweh nella Città dei Gentili
La Chiesa è la puttana di Yahweh?
Ho concluso un precedente articolo con quella che considero la “rivelazione” più importante della moderna ricerca biblica, che potenzialmente è in grado di liberare il mondo occidentale da un legame psicopatico vecchio di duemila anni: il geloso Yahweh era originariamente soltanto il dio nazionale di Israele, riconfezionato nel “Dio del Cielo e della Terra” durante l’esilio babilonese come parte di una campagna di pubbliche relazioni rivolta ai persiani, poi ai greci e infine ai romani. La conseguente nozione biblica, secondo cui il Creatore universale divenne il dio nazionale di Israele al tempo di Mosè, si rivela essere un'inversione fittizia del processo storico: in realtà, è il dio nazionale di Israele che, per così dire, comincia ad impersonare la parte del Creatore universale al tempo di Esdra (il secondo ritorno dall’esilio babilonese, ndt), pur rimanendo intensamente etnocentrico.
Il Libro di Giosuè apre gli occhi sulla bufala biblica, perché il suo autore pre-esilico non si riferisce mai a Yahweh semplicemente come “Dio” e non lascia mai intendere che egli sia altro se non “il dio di Israele”, cioè “il nostro Dio” per gli Israeliti, e “il vostro Dio” per i loro nemici (25 volte). Yahweh non mostra alcun interesse alla conversione dei popoli cananei, che considera valere meno del loro bestiame. Non ordina a Giosuè nemmeno di provare a convertirli, ma semplicemente di sterminarli, in linea con il codice di guerra che diede a Mosè in Deuteronomio 20.
Tuttavia, troviamo nel Libro di Giosuè un'affermazione isolata di una donna cananea secondo cui "Yahweh, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra" (2:11). Rahab, una prostituta di Gerico, rivolge questa frase a due spie israeliane che passano la notte con lei, e che lei nasconde in cambio della promessa di essere risparmiata, insieme alla sua famiglia, quando gli israeliti prenderanno il controllo della città e massacreranno tutti, "uomini e donne, giovani e vecchi” (6:21). La “professione di fede” di Rahab è probabilmente un inserimento post-esilico, perché mal si accorda con l'altra sua affermazione di essere motivata dalla paura, non dalla fede: “abbiamo paura di voi e tutti coloro che vivono in questo paese sono stati presi da terrore al vostro avvicinarsi» (2,9). Tuttavia, la combinazione di paura e fede è coerente con lo stile di Yahweh.
La Bibbia cattolica francese di Gerusalemme - una traduzione erudita dei domenicani dell'École Biblique, che servì da linea guida per la Bibbia di Gerusalemme inglese - aggiunge una nota a piè di pagina alla "professione di fede di Rahab nel Dio di Israele", secondo cui essa "ha reso Rahab, agli occhi di più di un Padre della Chiesa, personificazione della Chiesa gentile, salvata dalla fede”.
Trovo questa nota a piè di pagina emblematica del ruolo del cristianesimo nel diffondere tra i gentili la scandalosa pretesa metafisica degli israeliti, quel grande inganno che è rimasto, fino ad oggi, una fonte di enorme potere simbolico. Riconoscendosi nella prostituta di Gerico, la Chiesa si attribuisce il ruolo che ha esattamente storicamente svolto, mentre fuorvia radicalmente i cristiani circa il significato storico di quel ruolo. È infatti la Chiesa che, avendo riconosciuto il dio d'Israele come Dio universale, ha lasciato entrare gli ebrei nel cuore della città gentile e, nel corso dei secoli, ha permesso loro di prendere il potere sulla cristianità.
Questa tesi, che qui svilupperò, può sembrare fantasiosa, perché ci è stato insegnato fin dall’inizio che il cristianesimo era fortemente giudeofobico. E questo è vero. Ad esempio, Giovanni Crisostomo, forse il teologo greco più influente del cruciale IV secolo, scrisse diverse omelie “Contro gli ebrei”. Ma ciò che più lo preoccupava era la nefanda influenza degli ebrei sui cristiani. Molti cristiani, lamentava, «si riuniscono con gli ebrei per celebrare le loro feste e per osservare i loro digiuni» e credono addirittura che gli ebrei «la pensino come noi» (Prima omelia, I,5).
“Non è strano che coloro che adorano il Cristo Crocifisso celebrino una festa comune con coloro che lo crocifissero? Non è forse un segno di follia, e della peggiore follia? […] Poiché quando vedono che voi, che adorate il Cristo che loro hanno crocifisso, seguite con reverenza i loro riti, come non pensare che i riti da loro compiuti siano i migliori e che le nostre cerimonie non valgano nulla? (Prima Omelia, V,1-7).
Con orrore di Giovanni, alcuni cristiani venivano addirittura circoncisi. «Non ditemi – avvertiva – che la circoncisione è solo una singola prescrizione; perché è proprio attraverso quella prescrizione che viene imposto l’intero giogo della Legge» (Seconda Omelia, II,4). E così, con tutta la sua giudeofobia (oggi anacronisticamente ribattezzata “antisemitismo”), le omelie di Giovanni Crisostomo sono una testimonianza della forte influenza che gli ebrei hanno esercitato sui cristiani gentili nei primi tempi della trionfante Chiesa imperiale. E non importa quanto i Padri greci e latini abbiano cercato di proteggere il loro gregge dall’influenza degli ebrei, la loro influenza è continuata mentre la Chiesa si espandeva. Si può anche sostenere che la storia del cristianesimo è la storia della sua giudaizzazione, da Costantinopoli a Roma, poi da Roma ad Amsterdam e nel Nuovo Mondo.
Ammettiamo anche che la Chiesa abbia sempre oppresso gli ebrei e impedito la loro integrazione, se non si convertivano. Non furono espulsi da un regno cristiano dopo l'altro nel Medioevo? Sì certo, è vero, ma dobbiamo distinguere tra causa ed effetto. Perché ognuna di queste espulsioni è stata una reazione a una situazione sconosciuta nell'antichità precristiana: l'acquisizione di un potere economico eccessivo da parte delle comunità ebraiche, collocate sotto la protezione di un'amministrazione reale (gli ebrei servivano come esattori delle tasse e usurai dei re, ed erano particolarmente indispensabili in tempi della guerra), finché questo potere economico, che produce potere politico, raggiungeva un punto di saturazione che provocava pogrom, costringendo il re a prendere provvedimenti.
Consideriamo ad esempio l'influenza degli ebrei nell'Europa occidentale sotto i Carolingi. Raggiunge il culmine sotto il figlio di Carlo Magno, Luigi il Pio. Il vescovo di Lione Agobardo (c. 769-840) ci ha lasciato cinque lettere o trattati scritti per protestare contro il potere concesso agli ebrei a scapito dei cristiani. In Dell'insolenza degli ebrei, indirizzato a Luigi il Pio nell'826, Agobardo lamenta che gli ebrei producono «ordinanze firmate del tuo nome con sigilli d'oro» che garantiscono loro vantaggi oltraggiosi, e che gli inviati dell'imperatore sono «terribili verso i cristiani e gentili con gli ebrei”. Agobardo si lamenta addirittura di un editto imperiale che imponeva la domenica al posto del sabato come giorno di mercato, per compiacere gli ebrei. In un'altra lettera si lamenta di un editto che vietava a chiunque di battezzare gli schiavi degli ebrei senza il permesso dei loro padroni.[1]
Si diceva che Luigi il Pio fosse fortemente influenzato dalla moglie, la regina Giuditta, un nome che significa semplicemente "ebrea". Costei era così amichevole con gli ebrei che lo storico ebreo Heinrich Graetz ipotizza che fosse un'ebrea segreta, alla maniera della biblica Ester. Graetz descrive il regno di Luigi e Giuditta (e secondo lui del "tesoriere Bernhard, il vero sovrano del regno") come un'età dell'oro per gli ebrei, e sottolinea che alla corte dell'imperatore molti consideravano l'ebraismo come la vera religione. Ciò è dimostrato dalla clamorosa conversione del confessore di Luigi, il vescovo Bodo, che prese il nome di Eleazar, si fece circoncidere e sposò un'ebrea. “I cristiani colti”, scrive Graetz, “si aggiornavano sugli scritti dello storico ebreo Giuseppe Flavio e del filosofo ebreo Filone, e leggevano le loro opere preferendole a quelle degli apostoli”. [2] La giudaizzazione della Chiesa romana in questo tempo è opportunamente simboleggiata dall'adozione del pane azzimo per la comunione, senza alcuna giustificazione nel Vangelo. Dico “la Chiesa Romana”, ma forse dovrebbe essere chiamata Chiesa dei Franchi perché, dai tempi di Carlo Magno, fu rilevata dai Franchi etnici con progetti geopolitici su Bisanzio, come ha sostenuto in modo convincente il teologo ortodosso Giovanni Romanides. [3]
L'Antico Testamento ebbe una particolare influenza nelle sfere di potere dei Franchi. La pietà popolare si concentrava sulle narrazioni evangeliche (vangeli canonici, ma anche apocrifi come il popolarissimo Vangelo di Nicodemo), sul culto di Maria e sugli onnipresenti culti dei santi, ma re e papi si affidavano a una teologia politica tratta dal Tanakh. La Bibbia ebraica fu una parte importante della propaganda franca dalla fine del VI secolo. La Storia dei Franchi di Gregorio di Tours, la fonte primaria - e per lo più leggendaria - della storia merovingia, si incasella nell'ideologia provvidenziale del Libro dei Re: i re buoni sono quelli che sostengono la Chiesa cattolica, e i re cattivi quelli che resistono alla crescita del suo potere. Sotto Luigi il Pio, il rito dell'unzione dei re franchi fu concepito sul modello dell'unzione del re Davide da parte del profeta Samuele in 1 Samuele 16.
L'Antico Testamento come cavallo di Troia di Israele
In epoca precristiana gli studiosi pagani avevano mostrato scarso interesse per la Bibbia ebraica. Scrittori ebrei (Aristobulo di Panea, Artapan di Alessandria) avevano provato ad abbindolare i Greci sull'antichità della Torah, sostenendo che Omero, Esiodo, Pitagora, Socrate e Platone si fossero ispirati a Mosè, ma nessuno prima dei Padri della Chiesa sembra averli presi sul serio. Gli ebrei avevano persino prodotto false profezie greche sul successo che avrebbero ottenuto, cui diedero il titolo di Oracoli Sibillini, e avevano scritto sotto uno pseudonimo greco una Lettera di Aristea a Filocrate inneggiando al Giudaismo ma, ancora una volta, fu solo con il trionfo del Cristianesimo che questi testi incontrarono la credulità dei gentili.
Grazie al cristianesimo, il Tanakh ebraico fu elevato allo status di storia autorevole, e gli autori ebrei che scrivevano per i pagani, come Giuseppe Flavio e Filone, guadagnarono una reputazione immeritata, pur essendo ignorati dal giudaismo rabbinico. Il mondo accademico cristiano si sintonizzò acriticamente con la storia truccata degli ebrei. Mentre Erodoto aveva attraversato la Siria-Palestina intorno al 450 a.C. senza sentire parlare di Giudei o Israeliti, gli storici cristiani decisero che Gerusalemme era stata a quel tempo il centro del mondo e accettarono come dato di fatto l'impero totalmente inventato di Salomone. Fino al XIX secolo, la storia mondiale veniva pensata su una cronologia biblica in gran parte fantasiosa (l'Egittologia sta ora cercando di emanciparsi da essa).[4]
Si può sostenere, ovviamente, che l’Antico Testamento ha servito bene la cristianità: non è stato certamente nella nonviolenza di Cristo che la Chiesa cattolica ha trovato l’energia e gli strumenti ideologici per imporre il suo ordine mondiale per quasi mille anni all’Europa occidentale. Tuttavia, per questo glorioso passato c’era ovviamente un prezzo da pagare, un debito nei confronti degli ebrei che in un modo o nell’altro doveva essere pagato. È come se il cristianesimo avesse venduto la propria anima al dio di Israele, in cambio della sua grande impresa.
La Chiesa si è sempre presentata agli ebrei come la porta d'uscita dalla prigione della Legge, nella libertà di Cristo. Ma non ha mai chiesto agli ebrei convertiti di lasciare la loro Torah sulla soglia di casa. Gli ebrei che sono entrati nella Chiesa sono entrati con la loro Bibbia, cioè portandosi dietro gran parte della loro ebraicità, pur ottenendo in cambio di liberarsi da tutte le restrizioni civili imposte ai loro fratelli non convertiti.
Quando gli ebrei venivano giudicati troppo lenti a convertirsi volontariamente, a volte venivano costretti al battesimo sotto minaccia di espulsione o di morte. Il primo caso documentato risale al nipote di Clodoveo, secondo il vescovo Gregorio di Tours:
“Il re Chilperico ordinò che venissero battezzati un gran numero di ebrei, e lui stesso ne abbracciò parecchi sulla fonte battesimale. Ma molti furono battezzati solo nel corpo e non nel cuore; presto tornarono alle loro abitudini ingannevoli, poiché continuavano ad osservare il sabato e fingevano solo di santificare la domenica” (Storia dei Franchi, capitolo V).
Tali conversioni collettive forzate, che produssero solo cristiani insinceri e risentiti, continuarono per tutto il Medioevo. Centinaia di migliaia di ebrei spagnoli e portoghesi furono costretti a convertirsi alla fine del XV secolo, prima di emigrare in tutta Europa. Molti di questi “nuovi cristiani” non solo continuarono a “giudaizzarsi” tra loro, ma potevano ora avere maggiore influenza sui “vecchi cristiani”. La penetrazione dello spirito ebraico nella Chiesa romana, sotto l'influenza di questi ebrei convertiti con riluttanza e dei loro discendenti, è un fenomeno molto più esteso di quanto generalmente si ammetta.
Un esempio emblematico è l’Ordine dei Gesuiti, la cui fondazione coincise con il culmine della repressione spagnola contro i marrani, con la legislazione sulla “purezza del sangue” del 1547 emanata dall’arcivescovo di Toledo e inquisitore generale di Spagna. Dei sette membri fondatori, almeno quattro erano di origine ebraica. Non è chiaro se lo fosse anche lo stesso Ignazio di Loyola, ma era noto il suo forte filosemitismo. Robert Markys ha dimostrato, in uno studio innovativo (download gratuito qui, recensione qui), come i cripto-ebrei si siano infiltrati nelle posizioni chiave dell'Ordine dei Gesuiti fin dall’inizio, ricorrendo al nepotismo per stabilire infine un monopolio sulle posizioni di vertice, che si estendeva fino al Vaticano. Il re Filippo II di Spagna definì l'Ordine una “Sinagoga di Ebrei”.[5]
I marrani stabilitisi nei Paesi Bassi spagnoli hanno svolto un ruolo importante nel movimento calvinista. Secondo lo storico ebreo Lucien Wolf,
“I marrani di Anversa avevano preso parte attiva al movimento della Riforma e avevano rinunciato alla loro maschera di cattolicesimo per una non meno vuota pretesa di calvinismo. […] La simulazione del calvinismo portò loro nuovi amici, che, come loro, erano nemici di Roma, della Spagna e dell'Inquisizione. […] Inoltre si trattava di una forma di cristianesimo che si avvicinava al loro giudaismo”.[6]
Lo stesso Calvino aveva imparato l'ebraico dai rabbini e aveva elogiato il popolo ebraico. Scrive nel suo commento al Salmo 119: «Da dove Nostro Signore Gesù Cristo e i suoi apostoli trassero la loro dottrina, se non da Mosè? E gratta gratta, scopriamo che il Vangelo è semplicemente un’esposizione di ciò che Mosè aveva già detto”. L’Alleanza di Dio con il popolo ebraico è irrevocabile perché “nessuna promessa di Dio può essere annullata”. Quel Patto, «nella sua sostanza e verità, è così simile al nostro, che possiamo considerarli una cosa sola. L’unica differenza è l’ordine in cui sono stati accordati”. [7]
Nel giro di un secolo, il calvinismo, o puritanesimo, divenne una forza culturale e politica dominante in Inghilterra. Lo storico ebreo Cecil Roth spiega:
“Gli sviluppi religiosi del XVII secolo portarono al culmine un’inconfondibile tendenza filosemita in certi ambienti inglesi. Il puritanesimo rappresentò soprattutto un ritorno alla Bibbia, e ciò favorì automaticamente uno stato d’animo più favorevole nei confronti degli uomini dell’Antico Testamento”.[8]
Alcuni puritani britannici arrivarono al punto di considerare il Levitico ancora in vigore; circoncidevano i figli e rispettavano scrupolosamente il sabato. Sotto Carlo I (1625–1649), scrisse Isaac d'Israeli (padre di Benjamin Disraeli), “sembrava che la religione consistesse principalmente nello zelante rispetto dello shabbat; e che il Senato britannico si fosse trasformato in un gruppo di rabbini ebrei”. [9] Gli ebrei ricchi iniziarono a far sposare le loro figlie all'aristocrazia britannica, al punto che, secondo la stima di Hilaire Belloc, "all'inizio del XX secolo, le grandi famiglie inglesi in cui non scorreva sangue ebraico costituivano un'eccezione".[10]
L'influenza del puritanesimo su molti aspetti della società britannica si estese naturalmente agli Stati Uniti. La mitologia nazionale dei “Padri Pellegrini” che fuggono dall’Egitto (Inghilterra anglicana) e si stabiliscono nella Terra Promessa come nuovo popolo eletto, dà il tono. Tuttavia, la giudaizzazione del cristianesimo americano non è stato un processo spontaneo dall’interno, ma piuttosto controllato da abili manipolazioni dall’esterno. Per il 19 ° secolo, un buon esempio è la Scofield Reference Bible, pubblicata nel 1909 dalla Oxford University Press, sotto il patrocinio di Samuel Untermeyer, un avvocato di Wall Street, cofondatore della Federal Reserve e devoto sionista, che sarebbe diventato l'araldo della “guerra santa” contro la Germania nel 1933. La Bibbia di Scofield è piena di note a piè di pagina altamente tendenziose. Ad esempio, la promessa di Yahweh ad Abramo in Genesi 12:1-3 ha una nota che occupa due terzi di pagina per spiegare che "Dio fece una promessa incondizionata di benedizioni attraverso la discendenza di Abramo alla nazione di Israele, di ereditare per sempre un preciso territorio" (sebbene Giacobbe, che per primo ricevette il nome Israele, non fosse ancora nato). La stessa nota spiega che “Sia l'Antico Testamento che il Nuovo Testamento sono pieni di promesse post-sinaitiche riguardanti Israele e la terra che sarà il possesso eterno di Israele”, accompagnate da “una maledizione imposta a coloro che perseguitano gli ebrei”, o “commettono il peccato di antisemitismo”. [11]
Come risultato di questo tipo di grossolana propaganda, la maggior parte degli evangelici statunitensi considera la creazione di Israele nel 1948 e la sua vittoria militare nel 1967 come miracoli che realizzano le profezie bibliche e annunciano la seconda venuta di Cristo. Jerry Falwell ha dichiarato: “In cima alle nostre priorità deve esserci un impegno costante e una devozione verso lo Stato di Israele”, mentre Pat Robertson ha affermato: “Il futuro di questa nazione [gli USA] potrebbe essere in gioco, perché Dio benedirà quelli che aiutano Israele”. Quanto a John Hagee, presidente di Cristiani Uniti per Israele, una volta dichiarò: “Gli Stati Uniti devono unirsi a Israele in un attacco militare preventivo contro l’Iran per realizzare il piano di Dio, sia per Israele che per l’Occidente”. [12]
I cristiani ingenui non solo vedono la mano di Dio ogni volta che Israele avanza nel suo autoprofetato destino di dominio del mondo, ma sono pronti a considerare gli stessi leader israeliani come profeti, quando “prevedono” quelli che non saranno altro che i loro stessi crimini, sebbene perpetrati sotto falsa bandiera: Michael Evans, autore di American Prophecies, crede che Isser Harel, fondatore dei servizi segreti israeliani, abbia avuto un'ispirazione profetica quando, nel 1980, predisse che i terroristi islamici avrebbero colpito le Torri Gemelle. [13] Anche Benjamin Netanyahu si vantò alla CNN nel 2006 di aver profetizzato l’11 settembre nel 1995. Per i meno creduloni, questo la dice lunga sul dono ebraico della profezia.
L'impotenza acquisita dei cristiani
È fuori discussione che il cristianesimo abbia avuto un ruolo importante nella creazione di Israele, e continui a svolgere un ruolo importante nell’assicurare il sostegno statunitense ed europeo alle sue imprese criminali. Ciò non ha nulla a che fare con l'insegnamento di Gesù o con l'esempio che ha dato con la sua vita e la sua morte, ovviamente. Piuttosto, ciò era dovuto all'Antico Testamento, il cavallo di Troia di Israele all'interno del cristianesimo. Riconoscendo agli ebrei lo status speciale di popolo dell'Antico Testamento, i cristiani hanno concesso loro uno straordinario potere simbolico con cui nessun'altra comunità etnica può competere.
Da duemila anni il cristianesimo insegna ai gentili ad accettare la delirante pretesa ebraica di essere il popolo eletto: non sono forse loro il primo e unico gruppo etnico a cui il Dio dell'universo si è rivolto personalmente, il popolo che Egli ha amato fino al punto di sterminare i suoi nemici? Non importa che i cristiani dicano agli ebrei che hanno perso il rango di beniamini di Dio quando hanno rifiutato Cristo: il prezzo principale lo pagano i cristiani. Accettare la nozione biblica di “popolo eletto”, qualsiasi riserva accompagni una simile affermazione, significa accettare la superiorità metafisica degli ebrei. Se Cristo è il Messia di Israele, allora veramente “la salvezza viene dai Giudei” (Giovanni 4:22).
Stiamo vivendo oggi le conseguenze ultime di questa sottomissione, che i popoli dell'Antichità non avrebbero mai potuto immaginare nei loro peggiori incubi. Lo status elevato degli ebrei e della loro “storia santa” è la causa più profonda della loro influenza negli affari del mondo. Accettando il triplice paradigma biblico – Dio geloso, popolo eletto, terra promessa –, le Chiese cristiane, cattolica e protestante in particolare, sono diventate complici del progetto imperialistico della Bibbia ebraica. Non ci sarà, quindi, emancipazione definitiva da Sion senza emancipazione mentale e morale dalla matrice biblica.
Leggendo il Libro di Giosuè, un cristiano dovrebbe approvare, in linea di principio, lo sterminio degli abitanti delle città di Canaan e il furto delle loro terre, poiché ciò era stato ordinato da Dio. I redattori della mia Bibbia di Gerusalemme spiegano in una nota al capitolo 3:
“Giosuè era associato dai Padri al suo omonimo Gesù [i loro nomi sono identici in ebraico], e l’attraversamento del fiume Giordano era visto come un equivalente del battesimo cristiano”.
Come può Giosuè essere associato a Gesù? Cosa c'entra il Sermone della Montagna di Gesù con il fanatismo sanguinario di Giosuè? Come può il dio di Giosuè essere il Padre di Cristo? Una paralizzante dissonanza cognitiva si è impadronita dei popoli cristiani, provocando un’incapacità cronica di pensare in modo intelligente al divino e di vedere e resistere alla violenza di Israele. Possiamo anche paragonare il mondo cristiano a un figlio a cui si è mentito per tutta la vita riguardo al suo vero padre e, per di più, si è detto che suo padre era un criminale di guerra, quando in realtà è il figlio di un padre amorevole. I disturbi nevrotici che le bugie e i segreti genealogici possono causare nel corso di diverse generazioni, sebbene in gran parte misteriosi, sono stati ben documentati negli ultimi cinquant'anni (in particolare dagli psicogenealogisti francesi), e credo che tali considerazioni, applicate all'usurpazione dell'identità del nostro Genitore Celeste da parte dello psicopatico Yahweh, sono rilevanti per la psicologia delle nazioni.
In linea di principio, il cristiano dovrebbe approvare la sentenza di Yahweh su coloro che mangiavano con i Moabiti e prendevano moglie tra di loro: “Yahweh disse a Mosè: 'Prendi tutti i capi del popolo. Mettili al palo davanti al sole, per Yahweh, per deviare la sua ira ardente da Israele'” (Numeri 25:4). Ma allora, perché incolpare la casta sacerdotale di Gerusalemme per aver mandato Gesù Cristo alla tortura? Spiegatemi in che modo furono infedeli alla Torah! Per non parlare, ovviamente, della contraddizione intrinseca di accusarli della crocifissione di Gesù Cristo quando, secondo il Vangelo, “il Figlio dell’uomo era destinato a soffrire gravemente, ad essere rifiutato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, e ad essere messo a morte e dopo tre giorni risuscitare» (Mc 8,31).
La santificazione della guida sanguinaria di Yahweh durante l'Esodo e la conquista di Canaan ha reso i Gentili incapaci di comprendere il fondamento storico dell'ebraicità, e impotenti di fronte alla sua intrinseca violenza odierna. Ha creato un punto cieco nella mente dei cristiani: essi possono vedere gli effetti del potere malvagio di Sion, ma non la sua causa, giacché la corruzione morale che vedono negli ebrei proviene dal Talmud e dalla Kabbalah.
I cristiani non riescono nemmeno a vedere il piano ebraico per il dominio del mondo che è scritto in un linguaggio semplice, visibile a tutti. Se il Tanakh ebraico non fosse diventato il Libro Sacro dei cristiani, sarebbe stato da tempo smascherato come la prova delle ambizioni razziste e suprematiste di Israele. Ma quando si tratta dell’Antico Testamento, i cristiani sono colti da un grave disturbo della lettura: quando il libro dice “Israele conquisterà il mondo”, leggono “la Chiesa convertirà il mondo”.
Se la “questione ebraica” riguarda il potere eccessivo delle reti delle élite israeliane all’interno delle nazioni, allora la questione ebraica è anche una questione cristiana: riguarda la vulnerabilità intrinseca delle società cristiane a questo potere. In fondo, chiunque sia cresciuto cristiano sa che il popolo eletto avrà l'ultima parola perché, se Yahweh è Dio, la sua promessa è eterna, come egli stesso dichiara nel suo stile inimitabile: «Lo giuro per me stesso; ciò che esce dalla mia bocca è giustizia salvifica, è parola irrevocabile” (Isaia 45:23). Si può anche parlare di “impotenza acquisita” dei cristiani di fronte al potere ebraico, poiché nelle loro Scritture viene loro insegnato che sempre Dio ha guidato lo spietato massacro dei suoi nemici da parte di Israele – non c'è bisogno delle note a piè di pagina di Scofield per saperlo. C'è anche un'impotenza acquisita nell'avere come sommo modello un uomo che è stato crocifisso dagli ebrei: come può l'“imitazione di Cristo” salvarci dal potere che hanno i sommi sacerdoti di fare pressioni e corrompere Ponzio Pilato?
La bufala metafisica giudeo-babilonese rende Dio non solo ridicolmente antropomorfico, ma giudeomorfico. Farsi ingannare da ciò significa confondere il Creatore dell'Universo con un demone locale che brontola e sputa fuoco da un vulcano madianita (Esodo 19), adottato come divinità tutelare da una confederazione di tribù nomadi semitiche bramose di impossessarsi di un pezzo della Mezzaluna Fertile. Significa interiorizzare un’immagine estremamente primitiva e non spirituale del divino che ostacola il sano pensiero metafisico: il divorzio tra filosofia (l’amore della Saggezza) e teologia (la scienza di Dio) è una manifestazione di questa dissonanza cognitiva nel pensiero occidentale. In ultima analisi, il geloso Yahweh, distruttore di tutti i pantheon, è così poco convincente nei panni del Grande Dio universale che è destinato a essere a sua volta detronizzato. L’ateismo è il risultato finale del monoteismo biblico: è il rifiuto del Dio biblico, scambiato per il vero Dio. “Se Yahweh è Dio, no, grazie” è stata la semplice motivazione dell’ateismo nella cristianità fin dall’Illuminismo: Voltaire, ad esempio, disprezzava il cristianesimo citando l’Antico Testamento. Yahweh ha rovinato la fede in un Creatore divino.
Come il cristianesimo ha rafforzato l’alienazione ebraica
Deve anche valutarsi l’effetto che la santificazione cristiana del Tanakh ebraico ha avuto sugli stessi ebrei. Ha scoraggiato gli ebrei dal mettere in discussione le loro scritture e dal liberarsi dal loro dio psicopatico. Qualsiasi ebreo metteva in dubbio l'ispirazione divina della Torah non solo veniva bandito dalla sua comunità, ma non trovava rifugio tra i cristiani: questo accadde a Baruch Spinoza e a molti altri. Per duemila anni, i cristiani hanno pregato affinché gli ebrei aprissero il loro cuore a Gesù Cristo, ma non hanno fatto nulla per liberarli da Yahweh.
I critici degli ebrei nell’antichità pagana avevano una logica semplice: sebbene gli ebrei fossero considerati un gruppo etnico, era comunemente ammesso che la loro misantropia fosse dovuta alla loro religione. Era colpa di Mosè, che aveva insegnato loro a disprezzare gli dei e le tradizioni altrui. Ecateo di Abdera fornisce nel suo Aegyptiaca (intorno al 300 a.C.) una versione alternativa dell'Esodo: per placare i loro dei durante una pestilenza, gli egiziani espulsero dalle loro terre le numerose tribù di migranti (quelli chiamati in acadiano habirus), e alcuni di loro si stabilirono in Giudea sotto la guida del loro capo Mosè che, “a causa della loro espulsione, […] introdusse una sorta di stile di vita misantropico e inospitale”. [14] Lo storico romano Tacito racconta una storia simile e attribuisce a Mosè anche l'introduzione di “nuove pratiche religiose, del tutto opposte a quelle di tutte le altre religioni. Gli ebrei considerano profano tutto ciò che riteniamo sacro; permettono invece tutto ciò che aborriamo» (Tacito, Storie V,3-5). Plutarco riferisce nel suo trattato su Iside e Osiride che alcuni egiziani credevano che il dio degli ebrei fosse Seth, l'assassino di Osiride, esiliato dal consiglio degli dei nel deserto, da dove ritorna periodicamente per portare carestia e discordia. Questa opinione era così diffusa nel mondo greco-romano che molti credevano che gli ebrei adorassero nel loro Tempio la testa d'oro di un asino, simbolo di Seth nel bestiario divino dell'Egitto. Si dice che il generale romano Pompeo sia rimasto sorpreso di non trovare questa famosa testa d'asino quando entrò nel Sancta Sanctorum nel 63 a.C.
Tutto era semplice, allora: gli ebrei non erano considerati razzialmente, ma religiosamente degenerati. Ma i Padri cristiani, che ritenevano che solo gli ebrei avevano adorato il vero Dio prima della venuta di Gesù Cristo, dovettero elaborare una spiegazione sofisticata per il comportamento asociale degli ebrei, una spiegazione così contraddittoria che il messaggio da essi rivolto agli ebrei equivale a ad un “doppio legame”: da un lato agli ebrei viene detto che il loro Yahweh è il vero Dio e che la loro Bibbia è santa, ma dall’altro vengono criticati per comportamenti che hanno imparato proprio da Yahweh nella loro Bibbia. Sono accusati di complottare per governare il mondo, nonostante questa sia proprio la promessa che Yahweh ha fatto loro: “Yahweh tuo Dio ti innalzerà più in alto di ogni altra nazione del mondo” (Deuteronomio 28:1). Sono accusati per il loro materialismo e per la loro avidità, ma anche questi difetti sono stati donati loro da Yahweh, che sogna solo il saccheggio: "Io scuoterò tutte le nazioni e i tesori di tutte le nazioni affluiranno" (Aggeo 2:7).
Soprattutto, vengono rimproverati per il loro separatismo, sebbene questa sia l'essenza stessa del messaggio che Yahweh ha rivolto loro: “Ti separerò da tutti questi popoli, affinché tu sia mio” (Levitico 20:26). Gli ebrei che vogliono staccarsi dal separatismo ebraico meritano la morte, secondo la lezione della Bibbia. I Padri della Chiesa hanno ripetuto l'incessante lamento di Yahweh contro l'irrefrenabile tendenza del suo popolo a compromettersi con gli dei delle nazioni mediante giuramenti, pasti condivisi o – abominio dell'abominio – matrimoni. Ma non sono stati proprio questi “ebrei testardi” (propensi a "compromettersi con gli dei delle nazioni") a ribellarsi contro il giogo tirannico dei Leviti, quelli che cercarono di districarsi dall’alienazione ebraica assimilandosi alla civiltà circostante? Non stavano facendo esattamente quello che vorremmo facessero oggi? La contraddizione è presente in molti scritti cristiani. Giovanni Crisostomo, ad esempio, scrive nella sua Prima Omelia contro i Giudei (II,3):
“Niente è più miserabile di quelle persone che non hanno mai mancato di attentare alla propria salvezza. Quando fu necessario osservare la Legge, la calpestarono. Ora che la Legge ha cessato essere vincolante, si sforzano ostinatamente di osservarla. Cosa potrebbe esserci di più pietoso di coloro che provocano Dio non solo trasgredendo la Legge ma anche osservandola?”
Ciò equivale a dire agli ebrei: “Dannati se lo fate, dannati se non lo fate”. I cristiani li accusano di essersi ribellati a Yahweh ieri, e li accusano di obbedire a Yahweh oggi, con il pretesto che gli ordini di Yahweh non sono più validi. Quanto poco convincente per gli ebrei!
L’anti-Yahwismo è l’unica critica efficace nei confronti di Israele perché è l’unica critica giusta. Taglia corto con l’accusa di antisemitismo, poiché mira a liberare gli ebrei dal dio sociopatico che ha preso il controllo del loro destino – e che, ovviamente, è solo il fantoccio agitato dai Leviti. Un manifesto dell’anti-yahwismo potrebbe iniziare con questa affermazione di Samuel Roth tratta dal suo libro Gli ebrei devono vivere:
“A cominciare dallo stesso Signore Dio d’Israele, furono i successivi leader di Israele che uno dopo l’altro riunirono e guidarono la tragica carriera degli ebrei: tragica per gli ebrei e non meno tragica per le nazioni vicine che li hanno subiti. […] nonostante i nostri difetti, non avremmo mai causato così tanti danni al mondo se non fosse stato per il nostro talento nello sceglierci capi malvagi”. [15]
Il pioniere sionista Leo Pinsker scrisse nel suo opuscolo Auto-Emancipazione (1882) che gli ebrei sono “il popolo eletto per l’odio universale”. Lo sono davvero, ma non perché i Gentili siano universalmente colpiti da una “aberrazione psichica”, una “varietà di demonopatia” nota come giudeofobia, come crede Pinsker, ma piuttosto perché il loro patto con Yahweh li ha programmati per essere odiati ovunque vadano. [16]
È tempo di dire agli ebrei ciò che i cristiani non sono stati in grado di dire loro: non siete mai stati scelti da Dio. Siete stati erroneamente indotti dai Leviti a scambiare il vostro vendicativo dio tribale per il Padre universale dei cieli. Questo cortocircuito cognitivo ha causato nella vostra psiche collettiva un grave disturbo narcisistico della personalità. Per nostra sfortuna, noi Gentili siamo stati ingannati dalla vostra stessa autoillusione e siamo caduti anche noi nel circolo vizioso psicopatico dei vostri dirigenti. Ma ormai ci stiamo svegliando, e appena ritroveremo i sensi e la dignità, aiuteremo anche voi ad uscirne.
Il cristianesimo come opposizione controllata
“Dentro ogni cristiano c’è un ebreo”, ha affermato Papa Francesco. Questa è la verità più semplice e profonda sul cristianesimo. La maggior parte dei cristiani non è consapevole di questo ebreo dentro di sé, che pure domina gran parte della loro visione del mondo. Meditare su questa verità può essere un’esperienza che apre la mente, irradiandosi in una molteplicità di domande. Dovremmo usare il concetto di “proiezione” di Sigmund Freud e dire che la maggior parte dei cristiani che odiano gli ebrei odiano l'ebreo dentro di sé? Oppure questo ebreo è un ebreo che odia se stesso, come ogni ebreo secondo Theodor Lessing (Jewish Self-Hatred, Berlino, 1930)? Forse dentro ogni cristiano ci sono due ebrei, uno che odia l'altro, Mosè e Gesù. Da qualunque lato si voglia guardare, il fatto è che i cristiani sono, secondo la definizione del Nuovo Testamento, gli eredi spirituali della promessa di Yahweh a Israele. Sono rami nuovi innestati sul tronco d'Israele, secondo la metafora di Paolo (Rm 11,16-24).
Ciò che deve ancora essere spiegato è come Paolo e i suoi seguaci riuscirono a convincere decine di migliaia di gentili a diventare un nuovo Israele sintetico, in un momento in cui il nome stesso di Israele era odiato in tutto il Mar Mediterraneo. Com'è possibile che la religione cristiana, che avrebbe convertito l'Impero Romano al culto di un Messia ebreo, sia nata nel momento in cui la più grande ondata di giudeofobia stava investendo l'Impero? Per rispondere a questa domanda, esaminiamo il contesto. A cavallo del millennio, durante il prospero regno di Augusto, gli ebrei avevano conquistato posizioni vantaggiose in molte parti dell'Impero. Godevano di libertà di culto e di autonomia giudiziaria, ed erano esentati dalla formalità civile del culto imperiale, da tutti gli obblighi sabbatici e dal servizio militare. Inoltre, potevano raccogliere fondi e inviarli alla burocrazia del Tempio di Gerusalemme. [17]
Mentre gli ebrei abusavano dei loro privilegi e cospiravano per accrescerli, il risentimento dei gentili cresceva, e scoppiarono rivolte antiebraiche. Nel 38 d.C. i greci di Alessandria inviarono una delegazione a Roma, il cui capo Isidoro si lamentò del fatto che gli ebrei “stavano cercando di fomentare disordini in tutto il mondo”. [18] L’imperatore emanò un editto in cui dichiarava che, se gli ebrei avessero continuato a seminare dissenso e “ad agitarsi per ottenere maggiori privilegi, […] mi vendicherò sicuramente di loro in quanto fomentatori di quella che è una piaga generale che infetta l’intero mondo." A questo editto ne seguì un altro indirizzato a tutte le comunità ebraiche dell’impero, chiedendo loro di “non comportarsi con disprezzo verso gli dei degli altri popoli”. [19]
La tensione era alta a Gerusalemme, dove la dinastia erodiana filo-romana vacillò. Fu in quel periodo che una cospirazione di farisei e sadducei denunciò Gesù ai romani come un sedizioso sedicente re dei Giudei, calcolando, secondo il quarto Vangelo, che “è a vantaggio [degli Ebrei] che un solo uomo muoia per il popolo, anziché che perisca l’intera nazione» (Gv 11,50). Flavio Giuseppe menziona diverse rivolte ebraiche nello stesso periodo, tra cui una durante la Pasqua del 48 o 49 d.C., dopo che un soldato romano addetto all'ingresso del Tempio commise l'irreparabile: “alzata la veste, si chinò in un atteggiamento indecente, in modo da voltare le spalle ai Giudei, e fece un rumore conforme a questo atteggiamento”. [20] Nel 66 scoppiò la guerra giudaica, quando i Sadducei sfidarono il potere romano bandendo dal Tempio i sacrifici quotidiani offerti in nome e a spese dell'Imperatore. Dopo la distruzione del Tempio da parte del generale e futuro imperatore Tito nel 70, le braci del messianismo ebraico continuarono a covare per altri 70 anni, e infiammarono per l'ultima volta la Palestina con la rivolta di Simon Bar Kochba, che provocò per rappresaglia la completa distruzione di Gerusalemme, la sua conversione in una città romana ribattezzata Aelia Capitolina e la messa al bando degli ebrei da essa. A quel punto, l’inimicizia contro gli ebrei aveva raggiunto il culmine in tutto l’Impero.
È proprio questo il periodo in cui i missionari cristiani diffondono il culto di Cristo in tutti i maggiori centri urbani dell'Impero, a cominciare da quelli abitati da grandi comunità ebraiche, come Antiochia, Efeso e Alessandria. Una spiegazione ragionevole di questa sincronicità è che il cristianesimo, nella sua versione paolina, è una religione fondamentalmente giudeofobica che assecondava la più grande ondata di giudeofobia. In quanto culto di un semidio vittima degli ebrei, soddisfaceva la percezione generale degli ebrei come una “razza odiata dagli dei” (Tacito, Storie V.3). Ma questa spiegazione non riesce a spiegare il fatto che la trionfante religione giudeofobica non era una religione pagana, bensì un culto fondamentalmente ebraico di un Messia ebreo che presumibilmente adempie le profezie ebraiche. Ciò che abbiamo qui è un bizzarro caso di dialettica hegeliana, in cui l’“antitesi” è controllata dalla “tesi” e assorbita in essa.
Attraverso il cristianesimo, la giudeofobia romana venne giudaizzata. Il racconto evangelico fa degli ebrei i cospiratori contro il Figlio di Dio, ma questo Figlio di Dio è ebreo, e presto anche la “Madre di Dio” – come venivano chiamate Iside, Ishtar o Artemide – si sarebbe trasformata in ebrea. Ancora più importante, i cristiani giudeofobici adotteranno il Tanakh e il bizzarro paradigma ebraico del “dio geloso” con il suo “popolo eletto”. Da questo punto di vista, è come se Gesù Cristo inchiodato sulla croce fosse stato usato come esca per spingere i gentili antiebraici, secondo la linea dell'Antico Testamento, ad adorare l'ebraicità.
Questo processo si adatta al concetto di opposizione controllata dagli ebrei concettualizzato da Gilad Atzmon nel suo libro Being in Time e in un recente video. Ogni volta che il potere ebraico viene minacciato dal risentimento dei gentili nei suoi confronti, produce “un dissenso ebraico satellite”, progettato per controllare e fomentare l'opposizione dei gentili. Questo dissenso ebraico monopolizza la protesta e tiene in riga i dissidenti non ebrei. Secondo una parabola proposta da Atzmon, lo scopo è quello di assicurarsi che qualsiasi problema ebraico sofferto dai gentili venga curato da medici ebrei, il cui interesse fondamentale è che il problema non venga risolto. Affermando di avere la soluzione al problema, gli ebrei dissidenti ingannano i gentili sulla natura del problema, e alla fine lo aggravano.
Per come la vede Atzmon, il processo non deriva necessariamente da un accordo segreto tra il potere ebraico e il dissenso ebraico. Gli intellettuali ebrei dell'opposizione
“non ci stanno necessariamente ingannando consapevolmente; anzi, potrebbero benissimo fare del loro meglio, ma nel contesto di una gretta mentalità tribale. La verità è che non riescono a pensare fuori dagli schemi, non riescono a scavalcare le mura del ghetto che racchiudono i loro stessi esseri tribali”.[21]
Possiamo vedere questa mentalità tribale come un istinto collettivo di conservazione che fa parte dell’essenza dell’ebraicità. I litigi ideologici tra ebrei sono sinceri, ma restano litigi tra ebrei, che tacitamente accettano di parlare più forte dei gentili ed escludono dalla discussione qualsiasi critica radicale all'ebraicità.
Alla luce dell'analisi di Atzmon, è concepibile che la funzione primaria del cristianesimo fosse quella di assorbire la giudeofobia greco-romana in un movimento che alla fine avrebbe rafforzato lo status simbolico degli ebrei, diffondendo il mito propagandistico del “popolo eletto” fabbricato cinque secoli prima. Esdra aveva convinto i persiani che gli ebrei adoravano il Dio del cielo come loro; la Chiesa continuò a convincere i romani che, prima di Gesù, gli ebrei erano stati l'unico popolo ad adorare il vero Dio ed era stato da Lui amato. Tale credo dei Gentili vale più di mille dichiarazioni Balfour, nella marcia verso il dominio del mondo attraverso l’inganno. Nella narrativa cristiana che dice: “Dio ha scelto il popolo ebraico, ma poi lo ha rifiutato”, il beneficio della prima parte è molto più alto del costo della seconda, che comunque non ha molto senso.
Se il rabbino italiano Elijah Benamozegh ha ragione nel dire che “la costituzione di una religione universale è il fine ultimo dell’ebraismo”, allora il cristianesimo è un grande passo verso quel glorioso futuro: “In cielo, un solo Dio di tutti gli uomini, e sulla terra un’unica famiglia di popoli, tra i quali Israele è il primogenito, responsabile della funzione sacerdotale di insegnamento e di amministrazione della vera religione dell’umanità”. [22] Il cristianesimo ha preparato la strada per la fase successiva: il culto dell'ebreo crocifisso viene ora sostituito dal culto degli ebrei sterminati.
Cristianesimo senza l'Antico Testamento?
Nel secondo secolo della nostra era, Marcione di Sinope affermò l'incompatibilità tra la Bibbia ebraica e il Vangelo: Yahweh non può essere il Padre di Cristo, proclamò, perché sono in totale opposizione. I patti di Mosè e Cristo sono così inconciliabili nei loro termini che devono essere stati suggellati con divinità totalmente estranee l'una all'altra. Secondo lo specialista tedesco Adolf von Harnack, fu Marcione a fondare la prima chiesa strutturata, a stabilire il primo canone cristiano, al quale per primo diede il nome di evangelizzazione. All'inizio del III secolo, la sua dottrina “ha invaso tutta la terra”, si lamentava Tertulliano, originario della città semitica di Cartagine, così come Agostino e altri Padri latini che enfatizzavano le radici ebraiche del cristianesimo. [23] Se il marcionismo avesse prevalso, il cristianesimo avrebbe rotto con il giudaismo, che avrebbe potuto disseccarsi in pochi secoli. [24] L’Islam non sarebbe mai esistito. D’altra parte, forse il cristianesimo stesso non avrebbe prevalso, e oggi sarebbe ricordato solo come un’altra transitoria religione orientale ultraterrena, insieme alla sua cugina manichea.
Possiamo comunque separare davvero il Nuovo Testamento dall'Antico? Ci viene detto che il canone di Marcione consta delle lettere di Paolo e di una versione breve di Luca, ma è difficile immaginare come sarebbe stato possibile ripulire completamente quest'ultima dai suoi 68 riferimenti e allusioni all'Antico Testamento. Certo, i Vangeli originali contenevano meno elementi dell'Antico Testamento rispetto a oggi: ad esempio, l'unico passaggio apocalittico di Marco (nel capitolo 13), una condensazione di immagini apocalittiche dai libri di Daniele, Isaia ed Ezechiele, è un'aggiunta marginale. Molti studiosi considerano addirittura tutte le profezie apocalittiche di Gesù contenute in Matteo e Luca come estranee al messaggio originale di Gesù, e alcuni considerano la maggior parte del Libro dell'Apocalisse (da 4:1 a 22:15), non riferibile né a Gesù né a nessun altro tema cristiano identificabile, come un libro ebraico incorniciato tra un prologo ed un epilogo cristiano. [25]
La storia alternativa è divertente, ma abbastanza inutile. Il cristianesimo è arrivato a noi con l'Antico Testamento e un Nuovo Testamento fortemente giudaizzato. Il frutto ci è giunto insieme al verme, che si chiama Yahweh. La domanda è: cosa possiamo aspettarci dal cristianesimo oggi? Dal punto di vista che ho adottato qui, sembra che il cristianesimo non possa essere la soluzione al problema che ha creato. Eppure, come molti altri lettori di unz.com, mi rallegro della rinascita della Chiesa russa e del suo ruolo nel promuovere una sana moralità pubblica e nel ravvivare la dignità nazionale. In effetti, posso anche immaginare che la Chiesa cattolica potrebbe risorgere dalle sue ceneri se solo tornasse umilmente alla madre ortodossa che ha cospirato per distruggere durante tutto il Medioevo. Il cristianesimo ortodosso è il più vicino all'originale e di gran lunga il meno giudaizzato. Perseguitato durante settant'anni di comunismo, al momento non è certo molto infiltrato da cripto-ebrei. Ma può superare il problema intrinseco che ho evidenziato qui? Potrà mai sfidare l'affermazione megalomane e narcisistica degli ebrei della loro eccezionalità metafisica? Un approccio radicalmente critico dell'Antico Testamento è, credo, una componente indispensabile dell'emancipazione mentale dei Gentili e del recupero del loro naturale meccanismo di difesa contro la matrice Yahweh-Sion. Ai teologi dovrebbe, come minimo, essere consentito di dire che Yahweh è un’immagine giudeomorfica di Dio grossolanamente distorta. L’Islam ha qui un vantaggio, poiché i musulmani hanno sempre ammesso che il Tanakh ebraico è fraudolento. Non che io veda l’Islam come una soluzione, tutt’altro, ma un consenso tra musulmani e cristiani ortodossi sulla natura problematica delle Scritture Ebraiche potrebbe essere un primo passo verso l’emancipazione.
È importante anche non sopravvalutare l’influenza di queste domande sulla pietà popolare. La fede del cristiano medio non sarebbe molto turbata se l'Antico Testamento cessasse di essere letto in Chiesa, o anche se fosse apertamente criticato. È anche importante non confondere la cristianità con il cristianesimo: Notre-Dame non è stata costruita da vescovi, preti o santi, ma dai parigini. Lo stesso si può dire di ogni cattedrale o chiesa di villaggio. Johan Sebastian Bach non era un prete (e certamente non compose mai sotto l'ispirazione dell'Antico Testamento), e nemmeno lo furono i grandi geni che costruirono la nostra civiltà.
Infine, mi sono soffermato qui su un aspetto problematico del cristianesimo, ma sono possibili altri punti di vista. Ho sviluppato l'antitesi alla tesi comune secondo cui il cristianesimo è antiebraico, ma c'è del vero anche in questa tesi. Il cristianesimo non è certamente del tutto ebraico: è anche profondamente pagano. La leggenda di Gesù Cristo è un mito eroico greco. I culti della Vergine Maria e dei santi sono tradizioni pagane superficialmente cristianizzate, senza radici nell'Antico e nel Nuovo Testamento. Riconoscere, accettare e celebrare quelle radici pagane potrebbe essere uno sviluppo positivo all’interno del cristianesimo, come contrappeso all’eredità dell’Antico Testamento.
Ma so già cosa state pensando: "A chi può importare quel che dice un marcionita?"
Note:
[1] Adrien Bressolles, “La question juive au temps de Louis le Pieux”, in Revue d'histoire de l'Église de France , tomo 28, n°113, 1942. pp. 51-64, su
[2] Heinrich Graetz, History of the Jews, Jewish Publication Society of America, 1891 (archive.org), vol. III, cap. VI, p. 162.
[3] John Romanides, Franks, Romans, Feudalism, and Doctrine: An Interplay Between Theology and Society, Holy Cross Orthodox Press, 1981, in
[4] Read Gunnar Heinsohn, “The Restauration of Ancient History,” in
www.mikamar.biz/symposium/heinsohn.txt e John Crowe, “The Revision of Ancient History – A Perspective,”
[5] Robert A. Markys, The Jesuit Order as a Synagogue of Jews: Jesuits of Jewish Ancestry and Purity-of-Blood Laws in the Early Society of Jesus, Brill, 2009, download gratuito in
[6] Lucien Wolf, Report on the “Marranos” or Crypto-Jews of Portugal, Anglo-Jewish Association, 1926.
[7] Vincent Schmid, “Calvin et les Juifs : Prémices du dialogue judéo-chrétien chez Jean Calvin,” 2008,
[8] Cecil Roth, A History of the Jews in England (1941), Clarendon Press, 1964, p. 148.
[9] Isaac Disraeli, Commentaries on the Life and Reign of Charles the First, King of England, 2 vol., 1851, citato in Archibald Maule Ramsay, The Nameless War, 1952 (archive.org).
[10] Hilaire Belloc, The Jews, Constable & Co., 1922 (archive.org), p. 223.
[11] Joseph Canfield, The Incredible Scofield and His Book, Ross House Books, 2004, pp. 219–220.
[12] Jill Duchess of Hamilton, God, Guns and Israel: Britain, The First World War And The Jews in the Holy City, The History Press, 2009 , kindle, e. 414-417.
[13] Michael Evans, The American Prophecies, Terrorism and Mid-East Conflict Reveal a Nation’s Destiny, Hodder & Stoughton, 2005, citato in Christopher Bollyn, Solving 9-11: The Deception That Changed the World, C. Bollyn, 2012, p. 71.
[14] Peter Schäfer, Judéophobie: Attitudes à l’égard des Juifs dans le monde antique, Cerf, 2003, pp. 13-15.
[15] Samuel Roth, Jews Must Live: An Account of the Persecution of the World by Israel on All the Frontiers of Civilization, 1934, (archive.org).
[16] Leon Pinsker, Auto-Emancipation: An Appeal to His People by a Russian Jew (1882),
[17] Michael Grant, Jews in the Roman World, Weidenfeld & Nicolson, 2011, pp. 58–61.
[18] Joseph Mélèze Modrzejewski, The Jews of Egypt, From Rameses II to Emperor Hadrian, Princeton University Press, 1995, p. 178.
[19] Citato in Michael Grant, Jews in the Roman World, op. cit., pp. 134–135.
[20] Flavius Josephus, Jewish War, II,224, citato in Michael Grant, Jews in the Roman World, op. cit., p. 148.
[21] Gilad Atzmon, Being in Time: A Post-Political Manifesto, Skyscraper, 2017, p. 208.
[22] Élie Benamozegh, Israël et l’humanité (1914), Albin Michel, 1980, pp. 28–29.
[23] Adolf von Harnack, Marcion, l’évangile du Dieu étranger. Contribution à l’histoire de la fondation de l’Église catholique, Cerf, 2005 (traduzione dalla seconda edizione in tedesco del 1924).
[24] Se seguiamo la logica di Peter Schäfer, The Jewish Jesus: How Judaism and Christianity Shaped Each Other , Princeton UP, 2012.
[25] Cfr. ad esempio James Charlesworth, Jesus Within Judaism, SPCK, 1989.
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