Repressione e Processi
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Processo alla Primavera Araba
Due magistrati italiani incaricati come osservatori in un processo contro militanti saharawi in Marocco
Il Sindaco di Napoli, l’Unione delle Camere Penali e la Camera Penale di Napoli hanno conferito a due magistrati italiani, Nicola Quatrano, giudice del Tribunale di Napoli e presidente dell’Osservatorio Internazionale (Ossin), e Anna Grillo, sostituto procuratore presso il Tribunale di Lagonegro, l’incarico di osservatori nel processo contro 24 imputati saharawi, detenuti da oltre due anni, accusati di associazione per delinquere e di omicidi plurimi in danno delle forze dell’ordine. Il processo pende innanzi il Tribunale militare di Salé (Rabat) e comincerà finalmente – dopo alcuni rinvii – il prossimo 1° febbraio. Gli imputati rischiano, secondo il codice penale marocchino, la pena di morte.
Sabato 26 gennaio 2013, alle ore 9.00, nella sede dell’Istituto per gli Studi Filosofici (co-organizzatore dell’evento), sarà presentata l’iniziativa con la partecipazione del Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, gli avvocati Bruno Botti e Roberto Giovene di Girasole, in rappresentanza rispettivamente dell’Unione delle Camere Penali e della Camera Penale di Napoli, Sandro Fucito, del Direttivo Nazionale dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia (ANCI). Interverranno Nicola Quatrano (presidente di Ossin), Brahim Dahane (militante saharawi ed ex prigioniero politico), Fabio Marcelli (Associazione Internazionale Giuristi Democratici), Omar Mih (rappresentante in Italia del Fronte Polisario), Francesco Marco de Martino (ricercatore diritto penale, Università di Napoli), Triestino Mariniello (ricercatore diritto penale internazionale, University of Liverpool). I lavori saranno coordinati e moderati da Francesco Romanetti (Il Mattino).
Il “campo della dignità” di Gdeim Izik
Il processo ha ad oggetto le violenze che sono seguite allo smantellamento, da parte delle Forze Speciali marocchine, del “campo della dignità” di Gdeim Izik, considerato uno dei primi episodi della “Primavera araba”.
A partire dal 9 ottobre 2010, decine di migliaia di cittadini saharawi si sono autoesiliati a qualche chilometro da Layoune, capitale del territorio non autonomo del Sahara Occidentale, per protestare contro le condizioni di emarginazione e sofferenza sociale cui sono sottoposti. In pochi giorni sono state erette nel campo migliaia di jaima (tende) e si è realizzata quella che è stata considerata da Noam Chomsky come una delle prime espressioni del movimento di protesta che avrebbe nei mesi successivi scosso tutto il mondo arabo.
All’alba del giorno 8 novembre, dopo un mese di proteste pacifiche, sono intervenuti esercito e forze speciali marocchine per smantellare il campo. La reazione degli occupanti è stata rabbiosa. Sono seguiti scontri, che hanno interessato anche la città di Laayoune, nel corso dei quali vi sarebbero stati dei morti, oltre a molti feriti.
Il vero bilancio degli scontri è probabilmente impossibile: le cifre ufficiali divulgate dalle Autorità marocchine parlano di decine di morti e centinaia di feriti tra le forze dell’ordine, ma nel concreto è stata resa pubblica l’identità di una sola vittima. Dal canto loro, gli attivisti saharawi hanno denunciato l’uccisione e la scomparsa di decine di loro compagni. Peraltro nei giorni successivi il governo del Marocco ha impedito l’ingresso nei territori agli osservatori e ai giornalisti indipendenti, rifiutando decisamente anche l’apertura di una inchiesta internazionale sui fatti.
Le prime osservazioni sul processo
Alla scorsa udienza, il 24 ottobre 2012, l’Osservatorio Internazionale è stato presente con gli osservatori Nicola Quatrano e Roberta Bussolari (avvocato in Bologna). Erano altresì presenti giuristi osservatori provenienti dalla Spagna, dalla Francia e da altri paesi.
All’esito della prima udienza si osserva:
- si tratta di un processo nel quale gli imputati sono accusati di plurimi omicidi, nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine, dei quali tuttavia nell’ordinanza di rinvio a giudizio non vengono nemmeno menzionati i nomi. L’unica perizia autoptica allegata agli atti è quella effettuata sul cadavere del caporale Aljatib Bint Ihalib
- il compendio accusatorio si fonda esclusivamente sulle confessioni degli imputati, rese in assenza del difensore e in stato di detenzione, all’interno dei locali della Polizia Giudiziaria in cui erano trattenuti in stato di arresto. Va peraltro sottolineato che diversi familiari degli accusati hanno denunciato torture e maltrattamenti nei confronti degli imputati.
- Solleva la massima preoccupazione il fatto che la pena massima prevista per i fatti contestati agli imputati sia la pena di morte.
In questa fase, tuttavia, intendiamo porre particolare attenzione sulle perplessità che scaturiscono dalle estensione della giurisdizione penale militare alle condotte dei civili. Ciò in relazione allo scarso riconoscimento, da parte delle corti militari, di garanzie procedurali fondamentali, così come rilevato anche dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Corte Americana per i Diritti dell’Uomo e la Corte Europea per i Diritti Umani. In particolare, come statuito a livello universale da parte del Comitato per i Diritti Umani dell’ONU, consentire ai tribunali militari di processare civili solleva seri dubbi in relazione ad un’equa, indipendente e imparziale amministrazione della giustizia.[1] Estendere pertanto la giurisdizione militare ai civili costituisce una violazione del diritto fondamentale di ogni individuo ad essere giudicato da un giudice precostituito per legge, che sia competente, imparziale ed indipendente.[2] Va evidenziato che la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha, in diverse occasioni, ritenuto che un civile portato dinnanzi ad un tribunale penale militare, per presunti crimini commessi contro le forze armate, possa avere il legittimo timore che tale giurisdizione non sia imparziale ed indipendente. Questo vale anche nei casi in cui un tribunale sia composto, anche solo in parte, da giudici membri delle forze armate.
[1] Human Rights Committee, Administration of Justice, General Comment No 13 (UN Doc HRI/GEN/1/REV.1 (1984))
[2] Durand and Ugarte v Peru [2000] IACHR (16 August 2000), para 117.
Napoli, 20 gennaio 2013
Osservatorio Internazionale per i diritti