Chi vince e chi perde nel tentativo di colpo di Stato in Turchia
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Asia Times, 16 luglio 2016 (trad. ossin)
Chi vince e chi perde nel tentativo di colpo di Stato in Turchia
M.K.Bhadrakumar
Il sanguinoso tentativo di colpo di Stato in Turchia, realizzato da una parte dell’esercito, è fallito e adesso comincia la notte dei lunghi coltelli. La geopolitica del colpo di Stato rende inevitabili le sue ripercussioni molto oltre la Turchia
La leggenda della ribellione di generali e colonnelli malcontenti contro un autocrate è troppo semplicista. Il bersaglio era senz’altro Erdogan, ma l’ordine del giorno era assai più complesso.
Questi drammatici avvenimenti avranno un impatto a 360 gradi sul ruolo regionale e internazionale della Turchia.
Una cosa almeno può essere detta con certezza fin dal primo momento: non si è trattato di un tentativo di colpo di Stato da parte di Kemalisti che hanno cercato di fare una mossa disperata per arrestare la marea dell’islam politico e rimuovere il presidente Recep Erdogan. I due principali leader dell’opposizione del più importante partito kemalista e del partito nazionalista hanno espresso una forte solidarietà con le forze democratiche.
Ciò significa, a contrario, che il presidente turco è immensamente popolare in questo momento e gode della simpatia di un arco dell’opinione pubblica turca più ampio del 51% di voti raccolto alle ultime elezioni del 2014 dal Partito della giustizia e dello sviluppo al governo.
La stragrande maggioranza dei Turchi non vuole rivivere la sua storia passata, con dei Pascià che sovvertivano sistematicamente la supremazia del governo civile eletto.
Sicuramente Erdogan sente di trovarsi dalla parte giusta della Storia e si può essere certi che ne approfitterà nelle prossime ore, giorni e settimane. E questo è un fatto.
La cosa più inquietante, tuttavia, è che il governo ha puntato il dito contro i seguaci del capo islamista turco Fethullah Gülen, rifugiato negli USA, quali ispiratori del colpo di Stato abortito – Gülen, ovviamente ha respinto le accuse.
L’agenzia di stampa Anadolu, di proprietà statale, ha apertamente indicato un colonnello, Muharrem Kose, già espulso con disonore dall’esercito nel marzo 2016 a causa dei suoi presunti legami con Gülen, come il leader del tentato colpo di Stato.
Anche il ministro della Giustizia ha dichiarato alla televisione di Stato che sono stati i seguaci di Gülen a organizzare il colpo di Stato abortito.
E’ certo al 100% che il governo opererà una epurazione di massa dei seguaci di Gülen nei diversi organismi del governo, delle forze armate e della giustizia.
Erdogan aveva già tentato di ottenere l’estradizione di Gülen dagli Stati Uniti, e adesso la richiesta di estradizione diventerà pressante e Washington dovrà trovare una soluzione. E qui c’è un primo problema.
Il problema e che i Turchi hanno sempre sospettato che Gülen abbia lavorato per i servizi di informazione statunitensi.
Un articolo dell’ex capo dei servizi di informazione turchi Nuri Gundes – che ha lavorato con Erdogan – pubblicato nel 2011, sostiene che il movimento islamico mondiale di Gülen, con sede in Pennsylvania, ha fornito copertura alla CIA, specialmente nelle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale.
Fatto interessante è che, dopo la pubblicazione di questo articolo, la Russia ha chiuso le scuole Hizmet di Gülen. L’Uzbekistan ha fatto lo stesso.
Nonostante Gülen abbia lasciato la Turchia nel 1998 per trasferirsi negli Stati Uniti, solo nel 2008 ha ottenuto il permesso di soggiorno e i Turchi hanno insistentemente ripetuto che la sua richiesta aveva ricevuto la raccomandazione di due alti responsabili della CIA. Da notare che Gülen non ha mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti nel corso degli ultimi otto anni, dopo essere atterrato sul suolo statunitense, per quanto la sua rete operi in tutto il mondo.
Si può dare per scontato che, dopo il colpo di Stato abortito, il ruolo svolto da Gülen getterà un’ombra sulle relazioni tra la Turchia e gli Stati Uniti, che già si sono complicate in diverse occasioni negli ultimi anni, durante il regno di Erdogan.
La grande questione è di capire fino a qual punto il tentativo di colpo di Stato sia stato motivato dalla politica estera di Erdogan. Il fatto che essa potrebbe essere uno dei motivi del fallito putsch è circostanza difficile da ignorare.
Gülen ha espresso la sua forte disapprovazione su numerosi aspetti controversi delle politiche regionali di Erdogan, come il declino delle relazioni tra Turchia e Israele e la sua gestione del problema curdo o l’intervento turco in Siria.
Curiosamente, il tentativo di colpo di Stato si è svolto in coincidenza con i primi segnali di un mutamento della politica estera turca, soprattutto in direzione di un riavvicinamento alla Russia e di una possibile inversione di rotta delle politiche interventiste di Ankara in Siria.
Se il colpo di Stato fosse riuscito, avrebbe fatto saltare un possibile incontro nelle prossime settimane tra Erdogan e il presidente russo Vladimir Putin, incontro che ha tutte le potenzialità per costituire un momento determinante nel conflitto siriano.
Mosca sottolinea che la normalizzazione dei rapporti con la Turchia potrebbe avere delle ricadute positive sulla situazione in Siria. E anche Ankara ha fatto allusione ad una volontà di ristabilire rapporti con la Siria. E’ significativo che il ministro iraniano degli Affari Esteri Mohammad Zarif abbia usato un linguaggio eccezionalmente forte per condannare il tentativo di colpo di Stato in Turchia – ancor prima che fallisse definitivamente.
Tutto considerato, un eventuale cambiamento della politica estera della Turchia viene ovviamente previsto a Mosca e Teheran come un avvenimento geopolitico dalle conseguenze capitali per un mutamento della politica in Medio Oriente e dell’equilibrio globale delle forze.
Nel frattempo la Turchia, una grande potenza della NATO, è un partner regionale che l’Occidente può difficilmente ignorare per poter perseguire una efficace strategia in Medio Oriente. Certamente Erdogan non è un partner facile – ma da parte sua nutre sospetti sulle intenzioni occidentali.
In teoria, la nuova vicinanza tra la Turchia e la Russia renderà necessario resettare tutti i calcoli strategici occidentali. Di fatto una rimodulazione si renderà necessaria per quanto riguarda una serie di questioni – dalla guerra civile in Siria alla lotta contro il terrorismo, fino ai gasdotti in competizione per alimentare il mercato europeo.
Il bilancio finale è che, se sarà provato – o piuttosto quando sarà dimostrato oltre ogni dubbio – che sono stati i Gulenisti a organizzare il tentativo di colpo di Stato fallito, Erdogan non potrà non vedervi il contributo nascosto dei servizi di informazione occidentali per allontanarlo dal potere.
Con tutta evidenza, l’appello di Erdogan al popolo per contrastare il tentativo di colpo di Stato ha preso alla sprovvista la maggior parte degli analisti statunitensi. Per quanto sgradevole possa apparire la cosa alla regione e alla comunità internazionale – particolarmente l’Unione Europea e gli Stati Uniti – esse non hanno oramai altra scelta se non quella di imparare a vivere con un Erdogan tornato in auge.
La propensione di Erdogan per una politica estera indipendente risulterà ulteriormente pronunciata dopo queste bruciante esperienza cui è sfuggito per un pelo.
In particolare questi avvenimenti costituiscono un rilevante rovescio per i piani degli Stati Uniti di stabilire una presenza permanente della NATO nel mar Nero in funzione di contenimento della Russia.
MK Bhadrakumar è stato diplomatico di carriera agli Affari Esteri indiani per più di 29 anni, ricoprendo il ruolo di ambasciatore in Uzbekistan (1995-1998) e in Turchia (1998-2001). Scrive nel blog Indian Punchline e regolarmente per Asia Times dal 2001.