Turchia: i servizi speciali garanti del potere
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 8 gennaio 2017(trad. ossin)
Turchia: i servizi speciali garanti del potere
Alain Rodier
La Turchia è nella bufera. Sul piano interno, si moltiplicano gli attentati su tutto il territorio. Essi sono attribuibili ad una molteplicità di gruppi che vanno dai takfiri di Daesh ai separatisti del PKK e soci (Falchi della Libertà/TAK, gruppuscoli di estrema sinistra). Nel sud-est del paese perdura una situazione di tipo insurrezionale. Sul piano estero, la Turchia si trova impegnata in prima linea in due conflitti: la Siria e l’Iraq. Tre milioni di rifugiati sono presenti sul suo territorio e la situazione economica va deteriorandosi.
Le sfide di Erdogan
Il presidente Recep Tayyip Erdogan è oramai un uomo solo. Ha deliberatamente distrutto l’intera gerarchia militare, poliziesca e giudiziaria, scontrandosi frontalmente coi partiti dell’opposizione e con la stampa. All’inizio del 2017, ha perfino cominciato a scontrarsi col mondo degli affari, facendo arrestare molti dei suoi esponenti. Chiunque sia in gradi di fargli ombra, perfino nel suo stesso partito, l'AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo) deve essere neutralizzato. Tutte le amministrazioni, dalla Difesa all’Istruzione, passando per la Giustizia, l’Interno e perfino la Sanità, sono state decapitate. Le promozioni non vengono fatte più sulla base delle competenze personali, ma su quella della lealtà al presidente. Attualmente, alla mancanza di responsabili in alcuni posti-chiave, si aggiunge l’incompetenza dei neo-promossi e la paralisi dovuta al fatto che nessuno osa prendere decisioni che non vadano nella direzione voluta dal presidente. Ne derivano numerose disfunzioni, che determinano scarsa efficienza in tutti i campi, soprattutto in quello della sicurezza. Non è un caso che le forze armate turche segnino il passo davanti ad al-Bab, ancora controllata da Daesh, nella Siria del nord, subendo peraltro notevoli perdite.
In una situazione del genere, come fa il presidente a mantenere una parvenza di ordine e di coerenza nell’organizzazione della vita della Turchia? La risposta deve articolarsi su tre punti.
- Erdogan continua ad essere popolarissimo tra le masse lavoratrici, che apprezzano le numerose misure che egli ha preso in loro favore da quando è al governo. E’ indispensabile ricordare che ha vinto tutte le elezioni cui ha partecipato, senza bisogno di brogli e senza che l’opposizione abbia dovuto essere penalizzata da interventi segreti di Mosca o di altre capitali... Per il semplice cittadino turco, importa poco che si riduca l’ambito delle libertà individuali, finché permanga l’abbondanza. Un’ombra comincia però a delinearsi per il futuro, giacché il periodo di prosperità economica conosciuto dalla Turchia dall’inizio degli anni 2000 sembra finito. La situazione si deteriora rapidamente e porta con sé una inflazione incontrollata che gli aumenti di stipendio non riescono più a compensare. Tra breve il paese potrebbe dover fronteggiare un crescente malcontento popolare e la Storia dimostra che la violenza è una forma tradizionale con cui si esprime il popolo turco.
- L'opposizione è sempre divisa e non rappresenta in alcun modo una possibile alternativa politica. Ultimamente, a causa della lotta aperta contro i separatisti curdi, l'AKP, al potere dal 2002, ha saputo ingraziarsi il MHP (Partito d’azione nazionalista), un partito considerato assai conservatore, addirittura di estrema destra. Il CHP (Partito social-democratico), il secondo partito della Turchia ed erede dei valori del suo padre fondatore Mustafa Kemal Atatürk, si mantiene assai discreto. Lo HDP (Partito democratico dei popoli), vicino ai Curdi ma anche agli ambienti liberal, è nel mirino del presidente turco che ha fatto imprigionare molti aderenti, tra cui anche i co-presidenti. Tra breve questa formazione verrà verosimilmente sciolta e, come per il passato, rinascerà con un altro nome.
- Il MIT (Milli Istihbarat Teskilati/Organizzazione nazionale di informazione), i servizi speciali, attualmente in piena ristrutturazione, assicurano la protezione ravvicinata di Erdoğan. E’ il MIT che controlla l’apparato di sicurezza in Turchia e nei paesi vicini (Siria e Iraq).
Il MIT, pilastro del potere di Erdogan
Hakan Fidan (nella foto a sinistra), il sotto segretario di Stato con delega al MIT dal maggio 2010, è stato spesso criticato per la sua gestione [1], soprattutto dopo il putsch del 15 luglio 2016. Venne allora accusato di non aver visto nulla di quanto stava per accadere, il presidente Erdogan è giunto perfino ad affermare che era stato allertato da suo cognato e non dai servizi speciali. Sembra però che non sia vero[2] perché il presidente turco ha varie volte mostrato di non farsi troppi scrupoli con i collaboratori verso i quali non nutre più fiducia. Vi è anche stato l’episodio nel quale Fidan ebbe la velleità di presentarsi alle elezioni legislative e quindi si dimise, ma Erdogan lo ha rapidamente reintegrato alla testa del MIT. Se Erdogan non fosse davvero soddisfatto di lui, egli si troverebbe oggi sbattuto in qualche segreta, colpito da una serie di incriminazioni una più fantasiosa dell’altra. Perché attualmente la Giustizia è agli ordini del Presidente, dopo essere stata per un certo periodo nelle mani del movimento di Gülen, che Erdogan colloca in cima alla lista dei suoi nemici insieme ai separatisti curdi, tutti definiti «terroristi» [3].
Dopo la sua recente riorganizzazione, il MIT conta oramai sei direzioni:
- la Direzione delle informazioni per la sicurezza, incaricata essenzialmente del contro-terrorismo all’intero del paese e all’estero.
- la Direzione informazioni estere, ribattezzate informazioni strategiche. Ha l’incarico di produrre analisi strategiche di interesse per il governo.
- la Direzione delle informazioni tecniche ed elettroniche, il cui direttore è Cemalettin Celik, un quarantenne amico di Fidan. E’ noto per avere a lungo dato la caccia ai Gulenisti, soprattutto quando occupava posizioni di responsabilità in seno alla Direzione turca delle telecomunicazioni, (TIB), sciolta dopo il colpo di Stato del luglio 2016.
- la Direzione delle informazioni elettromagnetiche.
- la Direzione del contro-spionaggio che, oltre ai compiti di contro-ingerenza, deve anche coordinare l’attività del MIT con quella dei veri ministeri e degli eserciti.
- la Direzione delle operazioni estere, che è una sorta di «servizio Azione» specialmente incaricato di tutte le operazioni sui fronti siriano e iracheno.
Come in tutti gli apparati statali, vi è un dipartimento amministrativo che ha, tra l’altro, la delicata funzione di gestire il reclutamento e la carriera dei funzionari del MIT, i militari rappresentando solo il 4 o 5% degli effettivi. Poche centinaia di funzionari del MIT, sospettati di avere avuto simpatie per il movimento di Gülen, sono stati licenziati. E’ assai poco per una amministrazione che conta tra gli 8.000 e i 10.000 dipendenti. Infine i servizi turchi hanno relazioni continue con i loro omologhi stranieri: statunitensi, europei, russi, degli Stati dell’Asia centrale e, di nuovo oggi, con gli israeliani.
Il MIT costituisce oramai la guardia pretoriana di Erdogan. Ciò gli procura molte opportunità: informazioni interne ed estere di prima qualità, disponibilità di «spie» operative che possono trascurare qualsiasi regola «democratica», una politica estera che non segue i sentieri battuti, ecc. Ma questo sarà sufficiente nel lungo periodo? Questa è la grande questione.
Note:
[1] Vedi le Notes d'actualité n°384, dicembre 2015, "Turquie : bilan du MIT sous Hakan Fidan" e n°341, gennaio 2014, "Turquie : les services secrets dans la tourmente ?".
[2] Sembra infatti che il MIT fosse stato perfettamente al corrente della preparazione del colpo di Stato. Gli insorti hanno anticipato l’ora dell’inizio delle operazioni perché sapevano di essere stati scoperti. La rappresentazione che era stata organizzata per mettere in luce il ruolo del MIT come salvatore del presidente Erdigan è quindi fallita e si è trasformata in dramma, a causa del cambiamento di orario.
[3] Se ciò è vero per il PKK, è molto più discutibile per il movimento Gülen, che non sembra essere mai ricorso alla violenza fisica.