Stati Uniti: perché tanta aggressività?
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement) 13 dicembre 2016 (trad. ossin)
Stati Uniti: perché tanta aggressività?
Alain Rodier
L'attuale amministrazione USA considera la Russia come la prima minaccia per gli interessi statunitensi, molto più di Daesh. Per anni ha tentato di tenere ai margini il presidente Vladimir Putin. E la maggioranza dei governi europei seguono a ruota, addirittura anticipano, questa politica che, nella migliore delle ipotesi, non può definirsi amichevole
Ma di fatto, è nei confronti del mondo esterno nel suo insieme che Washington realizza una politica globalmente aggressiva, e ciò avviene dalla disgregazione dell’URSS e del Patto di Varsavia.
Per capire bene le ragioni di un simile atteggiamento, occorre esaminare gli obiettivi delle diverse amministrazioni che si sono succedute a Washington negli ultimi venticinque anni, che sono:
promuovere l’ampliamento di una economia globalizzata fondata sui principi neoliberali di una società «senza frontiere» ma controllata da Washington.
Sostenere i governanti che sono favorevoli all’ideologia e alla supremazia degli Stati Uniti, ma non esitare ad esercitare pressioni su di loro se solo accennino a deviare dalla linea fissata,
isolare e, se possibile, rovesciare tutti i governanti che tentino di resistere alla volontà di Washington,
assicurare il controllo degli Stati Uniti sulle più importanti organizzazioni internazionali.
Soft Power e omicidi "mirati"
Il Soft Power è stato molto usato negli anni 1990. A titolo di esempio, George Soros e la sua ONG Open Society Institute continuano a ripetere che i «veri nemici» dell’occidente sono la Russia e i suoi alleati. Tutti quelli che osano opporsi al progetto di società «senza frontiere» vengono definiti nella migliore delle ipotesi «populisti», nella peggiore «fascisti».
Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno consentito agli Stati Uniti di adottare una politica molto più aggressiva per raggiungere i loro obiettivi, ricorrendo in ogni occasione al pretesto della «guerra contro il terrorismo». L’esempio più illuminante resta l’invasione dell’Iraq nel 2003 e l’eliminazione programmata del suo dittatore, Saddam Hussein, perché era esattamente l’uomo che gli Stati Uniti cercavano di abbattere. E tuttavia nessuno dei terroristi dell’11 settembre aveva qualche rapporto con l’Iraq [1]. Per contro 15 dei 19 elementi del commando erano Sauditi. Washington si è ben guardata da citare Riyadh e ancor meno di chiederne contro alla famiglia reale. Sarebbe stato molto sconveniente dolersi del contributo da essa dato alla divulgazione del wahhabismo. Ancora oggi risulta difficile denunciare questa deriva estremista dell’islam, che è alla base dell’ideologia sanguinosa degli jihadisti e dei loro adepti. Criticare le vere radici del male rappresentato dal fondamentalismo mussulmano jihadista viene assimilato all’islamofobia, concetto elaborato proprio per impedire ogni lettura critica della religione mussulmana, alla base del jihad guerriero.
Il presidente Barack Obama non ha ripetuto l’esperienza irachena, rivelatasi catastrofica, ma ha rimesso l’accento sul le Soft Power e, sul piano operativo, ha privilegiato gli omicidi mirati (le famose operazioni “homo”) dei nemici degli USA conducendo una intensa guerra segreta, indifferente al fatto che la neutralizzazione dei High Value Targets (HVT) provocava importanti perdite collaterali. Sul piano storico, le operazioni “homo” realizzate a breve distanza consentono meno errori [2]. E’ così che il Mossad opera abitualmente.
Per quanto concerne la Libia, dove si era decisa l’eliminazione di Gheddafi[3], Washington è riuscita a creare un caos terribile pur non impiegando, almeno all’inizio, alcun soldato sul terreno. Obama ha spinto alcuni paesi amici – nel caso di specie, la Francia e la Gran Bretagna – in prima linea. Ovviamente questo innegabile successo militare non avrebbe potuto essere ottenuto senza la logistica e i servizi di informazione statunitensi. L'interesse di Washington era soprattutto quello di non apparire troppo direttamente come era stato nel caso dell’Iraq [4]. Unico intoppo di questa operazione di influenza ben condotta, la morte dell’ambasciatore John Christopher Stevens, l’11 settembre 2012, nel consolato generale di Bengasi, dove si era recato ad ispezionare una importante stazione della CIA.
La selezione come obiettivo della Russia
Nell’era di Boris Eltsin, la Russia non costituiva un problema per Washington, che poteva continuare a perseguire il suo progetto di unificazione dell’Europa nel quadro di una Pax Americana. La Russia era assai troppo debole per reagire, risultato scontato della vittoria del campo occidentale sull’orso sovietico alla fine della Guerra fredda.
L'elezione di Vladimir Putin nel 1999 ha subito inquietato Washington. Egli ha da subito predicato il ritorno all’identità slavo-cristiana, alla fierezza nazionale, al multipolarismo e alla realpolitik, l'esatto contrario del moralismo occidentale molto ispirato dal protestantesimo. La cosa è diventata evidente durante la guerra del 2008 tra la Georgia e l’Ossezia. All’epoca, gli Stati Uniti premevano sulla Georgia e l’Ucraina perché aderissero alla NATO, allo scopo di ricreare una sorta di “cortina di ferro” attorno alla Russia e impedire qualsiasi possibilità di ricostituzione della sua potenza. Ma Putin non ha accettato di restare nel ruolo passivo e marginale nel quale Washington aveva deciso di confinare la Russia. Così è stato immediatamente gratificato dell’etichetta di autocrate ostinato, che fa ostruzionismo ai disegni statunitensi.
Il 2008 è dunque l’anno di inizio della nuova Guerra Fredda, della quale le crisi ucraina e siriana, e le provocazioni militari da una e dall’altra parre, sono la logica conseguenza. Il colpo di Stato del 2014 a Kiev, l'annessione della Crimea e gli interventi russi in Donbass e in Siria ne sono le conseguenze più visibili. Tutto ciò ha dato agli USA il pretesto ricercato per fare di Putin il nuovo spauracchio totalitario che minaccia l’Occidente. La propaganda è semplice: da una parte i «buoni» (la NATO), dall’altro i «cattivi» col colbacco e la stella rossa. Quello che è terribile è che questa immagine semplicistica ha radici profonde nel pubblico statunitense e, peggio ancora, i leader europei l’hanno accettata in modo del tutto acritico e, talvolta, perfino con zelo esagerato. La Russia viene descritta come la maggior minaccia militare per l’Occidente ma nessuno sembra rilevare che il budget della difesa USA per l’anno 2017 crescerà a 619 miliardi di dollari e quello della Russia «solo» a 44 miliardi di dollari! E’ vero che Washington intende essere in grado di intervenire dovunque sul globo, e non è affatto lo stesso per Mosca. I pezzi grossi del Pentagono temono che la nuova amministrazione possa tagliare molto il loro budget; ed è per questo che enfatizzare la minaccia russa consente loro di difendere il loro budget faraonico.
In Siria la Russia viene accusata di trascurare la lotta contro Daesh e di concentrare gli attacchi su Al Qaeda «canale storico», come se questa organizzazione fosse diventata presentabile. La Russia è stata la prima ad attaccare le risorse petrolifere di Daesh, cosa che Washington aveva accuratamente evitato col pretesto che il personale (tra cui gli autisti dei camion cisterna) erano dei civili, spesso turchi. Il bilancio delle vittime civili, provocate dagli attacchi delle forze governative siriane e dei loro alleati, viene deliberatamente esagerato, mentre le perdite collaterali dovute agli attacchi della coalizione vengono sistematicamente passati sotto silenzio.
La comunità internazionale condanna i comportamenti delle forze governative siriane [5] ma, in realtà, sono soprattutto la Russia e il suo presidente ad essere presi di mira. Anche tale pratica rientra tra le attività di influenza che servono a suscitare una riprovazione popolare nei confronti di Vladimir Putin. Nello stesso tempo, il conflitto – e tutti gli orrori che l’accompagnano – che si svolge in Yemen sotto la guida dell’Arabia Saudita – e con l’aiuto degli Stati Uniti e della Gran Bretagna – vengono ignorati.
Infine, l’obiettivo segreto delle sanzioni economiche – imposte e prorogate col pretesto del non rispetto della «morale» occidentale- contro la Russia è di provocare un forte movimento di protesta interna nel paese, che dovrebbe ostacolare la prosecuzione degli impegni militari. L'arrivo di bare militari come al tempo della guerra dell’Afghanistan è un segreto auspicio di Washington, perché potrebbe provocare un risultato psicologico disastroso tra la popolazione. Ma non conoscono per niente l’anima slava!
L'elezione di Donald Trump rimescola le carte
Negli Stati Uniti, questa politica di dominio planetario trova il consenso di una larga maggioranza di politici, sia repubblicani che democratici, anche oltre il gruppo dei neocon (neoconservatori). La cosa è meno vera per la popolazione, che sarebbe sempre più sensibile all’idea di un isolazionismo nazionalista. E’ quello che ha ben capito Donald Trump che ha dichiarato durante la campagna elettorale: «La smetteremo di affrettarci a rovesciare regimi esteri di cui non sappiamo nulla e coi quali non abbiamo niente da spartire. [...] La nostra attenzione deve invece concentrarsi sulla lotta contro il terrorismo e su quella contro ISIS, e lo faremo».
Le varie lobby, particolarmente quelle militar-industriali, oltre ai servizi di informazione statunitensi, sono in attesa delle decisioni che potrebbe prendere il nuovo presidente dopo la sua investitura il 20 gennaio. Come se nulla fosse, mettono in discussione la democraticità della sua elezione, precisano che le azioni clandestine di Mosca vi avrebbero avuto un ruolo importante. Non è tanto che il presidente Obama non si voglia schiodare dalla sua poltrona – la Costituzione lo vieta – è piuttosto il potere parallelo, che alcuni chiamano «Stato profondo», ad avere paura della sua prevista perdita di influenza sulla Casa Bianca. Peraltro i servizi di informazione intendono mostrare al nuovo presidente la «realtà» della situazione internazionale per ricondurlo a giudizi più ragionevoli.
In funzione di quanto accadrà, l’Europa si troverà costretta a fare le sue scelte in materia di politica estera, soprattutto nei confronti di Mosca. Anche se non ha ritrovato la sua potenza di un tempo [6], la Russia resta estremamente importante per tre ragioni:
occupa una posizione storica privilegiata nello spazio europeo, senza parlare delle sue risorse in idrocarburi;
ha capacità militari considerevoli;
ha una grande esperienza e una capacità di influenza in tutta l’Asia centrale, che può rappresentare in futuro uno sbocco interessante per la tecnologia europea.
Speriamo che il futuro presidente francese che giungerà al potere nel 2017 dimostri un po’ più di chiaroveggenza dei suoi predecessori.
Note:
[1] L'Afghanistan dei talebani aveva accolto Osama Bin Laden che ha personalmente supervisionato l’operazione terrorista. In seguito Kabul ha rifiutato di consegnarlo alla giustizia statunitense.
[2] Generalmente con pistole silenziate o piccole cariche esplosive depositate in luoghi idonei – telefoni, poggiatesta delle auto, ecc
[3] Gli Statunitensi avevano già avuto una lunga e penosa storia con questo dittatore che avevano già tentato di trasformare in "luce e calore" durante l’operazione El Dorado Canyon realizzata contro la Jamahiriya araba libica del colonnello Gheddafi il 15 aprile 1986, come rappresaglia per le bombe fatte scoppiare lo stesso anno in una discoteca di Berlino ovest, frequentata da militari USA.
[4] In Iraq, gli Statunitensi non erano soli, in quanto anche i Britannici hanno fornito un importante corpo di spedizione; ma la Storia collettiva si ricorda solo dei GI.
[5] Le guerre sono tutte crudeli. Le guerre civili ancor più perché non obbediscono ad alcuna legge.
[6] Quello che gli Statunitensi cominciano a pensare è che, in fin dei conti, la Cina è molto più potente della Russia sul piano finanziario, economico, politico e militare. Il futuro rischia quindi di essere condizionato dalle relazioni Stati Uniti/Cina.