Gli affamati di New York
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New York Post, 22 agosto 2020 (trad.ossin)
Gli affamati di New York
Melanie Gray e Georgett Robert
A New-York, nei Queens, cittadini affamati formano una fila di 400 metri per avere del cibo gratis
La fila sabato si allungava per 400 metri, già dal levar del sole, serpeggiando nelle curve come quelle che si vedevano per la distribuzione del pane negli anni 1930. Ma gli affamati dei Queens sono oggi i New-yorkesi licenziati a causa del coronavirus
Prima che la «pandemia» colpisse la città, il centro di aiuti alimentari La Jornada distribuiva cibo a circa 1000 famiglie, per settimana. Oggi sono più di 10 000. I volontari distribuiscono il pasto a 1 000 persone al giorno, molti dei quali bambini a stomaco vuoto. In tutti i cinque distretti, il numero degli affamati si valuta in centinaia di migliaia, secondo la Food Bank of New York [Banca alimentare di New-York].
«Mi ricorda una foto della Grande Depressione nella quale un uomo in giacca e cravatta offre ad un altro, pure in giacca e cravatta, una mela. E’ tutto quello che aveva», ha raccontato Pedro Rodriguez di La Jornada al New York Post. «Noi diamo tutto quello che abbiamo, ma non basta».
I vecchi, le mamme e i bambini, i celibi – tanti immigrati da Cina e Messico – attendono per ore. Accorrono in massa ovunque e in qualsiasi momento il camion degli aiuti alimentari fa la sua apparizione.
«Ci sentiamo travolti da uno tsunami di persone», ha detto Rodriguez, un volontario che svolge il ruolo di direttore esecutivo del centro di aiuti alimentari, al New York Post. «Non è cosa da poco. Sono numeri incredibili».
Sabato, in meno di un’ora, Rodriguez e il suo esercito di volontari — quasi 400 distribuiti nei Queens — hanno spuntato quasi 250 nomi dalla lista degli appuntamenti.
La regola era «primo arrivato, primo servito», fino a quando i bisognosi non hanno cominciato a presentarsi prima dell’alba per paura che La Jornada terminasse le provviste. In una occasione, a fine marzo, la fila si allungava per 28 isolati.
Walter Barrera è giunto come al solito alle 6 del mattino per ritirare le provviste settimanali per la sua famiglia – riso, patate, zuppa in scatola, perfino frutta e legumi.
Barrera, 50 anni, dopo che è stato licenziato quattro mesi fa dall’impresa edile dove lavorava, viene al centro di aiuto alimentare tutti i sabati. Lui non riesce a trovare un lavoro, e nemmeno i due figli più grandi di 19 e 17 anni. Il più piccolo ha 11 anni.
Ha così pochi soldi, che amici e parenti si tassano per versargli ogni mese 2 300 dollari, coi quali paga l’affitto dell’appartamento di tre stanze a Flushing [nei Queens], dove vive con la moglie e i tre figli.
«Che posso dire ai miei figli a stomaco vuoto quando mi guardano, specialmente quello di 11 anni?» ha dichiarato Barrera, immigrato dall’America Latina due decenni fa. «Mi si spezza il cuore. Sono il loro padre. E’ mio compito nutrirli».
Julio Moncayo, 40 anni (nella foto a destra), ha una moglie e una figlia di 7 anni da mantenere. Operaio edile, riesce attualmente a lavorare due o tre giorni alla settimana. Il salario non basta a pagare l’affitto di 1 500 dollari del suo appartamento di due stanze, nel quale abita con la famiglia a Flushing, e per assicurare loro il cibo necessario.
«Non ne sono affatto fiero. Sono costretto a venire qui per sfamare la mia famiglia», ha dichiarato Moncayo al New York Post. «E’ dura, ma che posso fare?»
La domenica, il camion de La Jornada si ferma nel quartiere di Woodside. Il mercoledì, Rodriguez fa due fermate nel quartiere di Corona. I giovedì sono dedicati ai circa 900 che vivono nel complesso residenziale pubblico dove si trova il centro di aiuti alimentari. I vecchi e gli handicappati vengono il venerdì. I sabato sono per chiunque abbia bisogno di una mano.
Appena Rodriguez termina la distribuzione del sabato, parte alla ricerca di provviste per riempire il camion del giorno successivo. Si procura cibo dovunque sia possibile – United Way, chiese, supermercati, la Banca alimentare di New York, da gente più fortunata.
«Non eravamo attrezzati per fare fronte ad una simile emergenza», ha dichiarato, «ma ci siamo adattati».
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