El correo, 6 marzo 2013 (trad.Ossin)



L’inimitabile ruolo di Hugo Chavez
Guillermo Almeyra (*)


Hugo Chavez è morto dopo una coraggiosa e terribile lotta per la vita. Il lungo periodo della sua leadership si è chiuso, e ora si apre il post-chavismo in Venezuela e in tutta l’America Latina


Il vuoto politico creatosi dopo il caracazo e la messa a nudo che ne è seguita dei vecchi partiti (Azione Democratica e Copei) come strumenti dell’oligarchia e del capitale finanziario internazionale, e il fallimento dell’effimero successo di Causa Radical si sono combinati col colpo di stato mancato che ha trasformato un giovane militare nazionalista in un eroe popolare che disponeva fino ad allora solo dell’appoggio di un gruppo di adepti nelle Forze Armate. Chavez ha personificato una speranza di massa e ha dato prima il suo nome e poi la sua forma a questa esigenza popolare preesistente di cambiamento sociale e di indipendenza nazionale. I lavoratori venezuelani, il popolo povero, gli intellettuali antimperialisti hanno riconosciuto Chavez e lo hanno reso forte di fronte ai suoi compagni d’arme e, quando un colpo di stato civile-militare filo-imperialista lo ha imprigionato, lo hanno salvato e liberato e, con la loro mobilitazione, hanno fatto pendere la bilancia politica e morale in seno alle forze armate a favore del comandante, che stava dentro.

Gli sfruttati e oppressi del Venezuela hanno incoronato Chavez, ne hanno fatto il loro leader, riconoscendo in lui – e nell’odio contro di lui dei nemici di classe – la possibilità di una alternativa, di cambiare radicalmente il paese.


Chavez è stato il risultato del chavismo che non aveva ancora questo nome; vale a dire di un’esigenza di cambiamento sociale profondo, di liberazione nazionale, di un’ondata del nazionalismo antimperialista, di una necessità di sviluppo nazionale e di democrazia che ha trovato con lui una nascita in Venezuela e ha poi dato impulso a cambiamenti dello stesso tipo in altri paesi della regione.


Si è così istaurata una relazione fertile tra Chavez e i poveri del Venezuela, anche se non è stato tutto facile all’inizio. In realtà, sia la parziale riscoperta di Trotskij, che la pressione di Chavez in favore dell’auto organizzazione popolare e il suo rifiuto della burocrazia, sono venuti dal basso, come anche l’idea di creare una V° Internazionale, che è presto degenerata in un tentativo senza principi di raggruppare tutti i nemici di Washington (Teheran, prima Gheddafi, Bashar al-Assad e gli altri dello stesso tipo) e venne rapidamente archiviata dalla destra dell’apparato chavista. Soprattutto Chavez ha sentito il bisogno di avere un partito con delle idee e dei militanti, di qui la nascita del PSUV, dove non è tutto burocrazia, elettoralismo e verticalismo, e la nascita degli organismi di potere popolare, che sono in gran parte stati soffocati e che non sono riusciti a svilupparsi a causa del controllo della burocrazia e dell’esercito. Quello che Chavez non ha potuto fare, a causa della sua personale confusione ideologica (perché ha messo insieme le idee e le pratiche dell’ex Unione Sovietica nella versione cubana, con il cristianesimo sociale e le idee troskiste sull’autoorganizzazione e l’autogestione) è stato di aprire una discussione democratica su quello che deve essere il contenuto essenziale del socialismo che non ripeti l’esperienza deleteria del “socialismo reale” e quali debbano essere la strategia e lo strumento politico, in uno Stato capitalista dipendente, che consentano di cominciare a cambiare la soggettività dei lavoratori e a porre le basi per il socialismo, inteso come partecipazione politica a tutti gli effetti, solidarietà, controllo dell’economia da parte dei lavoratori stessi e costruzione di cultura e cittadinanza per la vita quotidiana.


Ciò ha permesso lo sviluppo negli strati favoriti della società della corruzione e della boliborghesia, di questa nuova borghesia formatasi nel seno dello Stato e, negli strati più bassi sostenuti da una economia di rendita e corrotta, di una vasta delinquenza. Vale a dire, settori che rafforzano socialmente e politicamente la destra filo-imperialista e minacciano il processo rivoluzionario nazionale e democratico in corso. Ciò ha anche permesso, nell’apparato statale, il cristallizzarsi di una alleanza tra tecnocrati e burocrati di ideologia capitalista, che ha anche dei legami con settori delle forze armate, perché queste sono abituate al divisionismo verticale. La mancanza di indipendenza dei dirigenti scelti per la loro fedeltà più che per il loro valore intellettuale e le loro capacità, ha fatto sì che, senza lo stimolo di Chavez, questo settore di fedeli al Leader non sia capace di porsi come contrappeso all’influenza della destra.


La destra “senza consistenza” conserva i suoi rapporti con l’imperialismo e il suo peso economico che deriva dal carattere capitalista e mono-produttore dell’economia venezuelana  ma, nell’immediato, non costituisce il pericolo principale se non riesce a tirare dalla sua parte una parte delle forze armate e del comando chavista.


Come ha detto lo stesso Chavez, il vero pericolo capitalista sta nel Termidoro, nella destra conservatrice che si annida nell’apparato statale, in quelli che non vogliono il controllo e l’organizzazione popolare, tra i militari di destra che vogliono “l’ordine”, il loro “ordine”, nelle burocrazie che vogliono arricchirsi giocando col mercato che dipende dal capitale internazionale. Morto Chavez, vi sarà probabilmente un direttorio o un governo collettivo che terrà insieme i diversi personaggi e le diverse tendenze dell’attuale chavismo, ad eccezione della tendenza rivoluzionaria, plebea, che non fa parte dell’apparato. La pressione della destra politica oligarchica e di Washington si farà sentire fortemente e l’attuale politica economica, con il suo appoggio a Cuba e all’ALBA e i suoi progetti di integrazione sudamericana, sarà senza dubbio ridiscussa e ristrutturata per poter rafforzare, nell’immediato, in nome del nazionalismo e per la preservazione dell’apparato, un politica di assistenza e di importazione che calmi il fronte sociale. E’ il pericolo che solo la mobilitazione e l’autoorganizzazione dei lavoratori può ostacolare.



(*) giornalista e scrittore

 

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