La grande crisi, in fase terminale
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Analisi, giugno 2016 - La grande crisi generale del Sistema neoliberale sembra dunque essere entrata nella fase terminale. La pressione monta
Entrefilets, 8 giugno 2016 (trad. ossin)
La grande crisi, in fase terminale
Entrefilets
Ci avviciniamo al finale? Nel Vecchio Continente. La Francia alla fine si è svegliata, portata all’esasperazione dal disprezzo di classe e dalla modestia di una élite senza bussola. Politici, media e intellettuali, sono tutti schifati e accomunati in un unico “Vaffa” antisistema. A questo soprassalto necessariamente simbolico, in questo paese-simbolo per eccellenza, si aggiunge dovunque un generalizzato rifiuto dell’Europa dei bankster, delle lobbie e dei gelidi tecnocrati che asfaltano i popoli. Infine, allo stadio più alto del missile-Sistema, un analogo rigetto della classe dirigente apre la strada a presidenziali USA che si annunciano esplosive per l’Impero, che sembra pronto perfino a gesti estremi pur di salvare la pelle. Dovunque, nel santuario del Sistema atlantista, la crescita di questo clima insurrezionale terrorizza oramai la mafia neoliberale dirigente, dando vita ad una tensione inedita, radicale, che prefigura rivolgimenti decisivi e impone che si analizzino i più straordinari esiti possibili.
La primavera francese
Mai nella storia della 5a Repubblica, e nemmeno prima, una élite politica, intellettuale e mediatica aveva suscitato tanto disprezzo e ostilità popolare. E’ vero anche che, raramente, una casta dirigente era mai caduta così in basso nell’Esagono. Politici senz’anima, media prostituiti (I media francesi sono di proprietà di 10 miliardari, pure sovvenzionati (1) ed una intellighenzia nihilista hanno messo insieme una specie di dittatura molle la cui agenda viene dettata, a destra, dalla Borsa e dai mercati e, a sinistra, dalle lobbie LGBTQ o SOS Racisme.
L’esasperazione è tale oramai che, per molti Francesi, l’opposizione più radicale è diventata una questione di principio, una questione di dignità e, insomma, l’unico atteggiamento moralmente accettabile.
L’opposizione al Job Act alla francese raccogli in sé tutti i rancori accumulati, tutte le vessazioni, la rabbia per le promesse non mantenute, per gli insulti, gli imbrogli, le bugie, le subalternità e i tradimenti. E’, insomma, una vera e propria “primavera francese” che sta germinando.
In questo clima pre-insurrezionale, Flanby (nota marca di budini, e soprannome di François Hollande, ndt) può anche accomodarsi nelle sue più recenti speranze di ri-elezione, sognando una replica della farsa del 2002 (che portò Chirac all’Eliseo con l’82% dei voti contro il suo avversario Le Pen) – ognuno ha le sue ambizioni – ma è davvero poco probabile che una Francia sveglia e vigile si lasci affondare fino a questo punto.
Mélenchon ha quindi perfettamente ragione di pensare, di sperare, che di fronte ad un tale disgusto per il Partito Unico a due teste (uno spaventapasseri), gli scenari più improbabili divengano possibili, se non plausibili.
Senza tema di sbagliare, anche le Presidenziali francesi del 2007 si annunciano esplosive. La pressione monta
Verso la fine dell’Europa sovietica
A livello europeo. Identico scenario. L’Europa dei bankster venuta fuori dal Trattato-bidone di Lisbona è oramai solo un cadavere politico del quale si ciba una moltitudine di insetti, il cui lavoro, profumatamente pagato da contribuenti esangui, consiste nel far credere che sia ancora in vita. Ma non è niente.
L’Europa è un fallimento politico la cui struttura letteralmente sovietica (2) non è più riformabile. E anche questo, i popoli lo hanno ben compreso.
Mentre le sue élite non elette menano un tenore di vita sontuoso, il popolino crepa e viene pestato di santa ragione appena insorge contro il racket organizzato, come in Grecia.
Si potrebbe fare una lista di esempi senza fine della tossicità di un’Europa dalle tendenze totalitarie, venduta alle lobbie, che si arroga il diritto di negare ai popoli il diritto di autodeterminarsi, che li minaccia, li ricatta, li punisce e li trasforma in working poor (lavoratori precari e a basso reddito, ndt) al servizio di azionisti apolidi già obesi. Preferiamo ricorrere ad una semplice testimonianza.
Domenica scorsa, giorno di elezioni in Italia, abbiamo ricevuto notizie di un’amica italiana, una mamma di 50 anni che ha dovuto chiudere la sua attività commerciale e il cui marito è disoccupato. Per raggranellare qualche soldo ha colto l’opportunità di fare la scrutatrice ai seggi. Risultato: 12 ore di lavoro per… 50 euro, cioè 4 euro all’ora. Sua sorella, madre divorziata, è costretta a cumulare 3 lavori per sopravvivere, tutti pagati in modo altrettanto miserabile.
Mai, all’epoca della Lira, c’era stata tanta miseria nella penisola.
Coincidenza: lo stesso giorno in cui apprendevamo questa notizia rivoltante, TF1 si occupava dei redditi di alcuni gestori di fondi pensione. In almeno due casi, essi raggiungevano la cifra di 1,5 miliardi di euro, vale a dire 4 milioni di euro al giorno, o 170.000 euro all’ora. (3).
E dunque potremmo contentarci di mettere a paragone i salari delle nostre amiche italiane con quelli dei funzionari europei, con risultati assolutamente indecenti. Resta che la manifesta oscenità di questa sproporzione tra i redditi di mamme senza risorse e di un pezzo grosso della finanza mondiale racconta, come meglio non si potrebbe, tutta l’assurdità di un neoliberalismo diventato folle, diventato crimine contro l’umanità a forza di ingiustizie, del quale l’Europa di Lisbona si fa oggi promotore zelante.
Tra pochi giorni, però, un Brexit potrebbe suonare il colpo di avvio per la decostruzione di questa Europa fallita, di questo sotto-prodotto della sub-cultura mercantile statunitense. Ma anche in caso contrario, un Grexit, un Frexit o un Italexit finirà prima o poi per passare. Questione di tempo. La pressione monta.
Una guerra nucleare per salvare Washington?
Nel frattempo si avvicina l’appuntamento statunitense, con la sua carica esplosiva, enorme, favolosa.
Sempre di più appare infatti possibile, se non probabile, che la doppiogiochista democratica, «Crooked Hillary», possa essere mangiata viva dall’abominevole Trump.
La povera Killary, bugiarda patologica (4) e isterica guerrafondaia, riesce infatti a suscitare tanto odio in tutto il paese, che non è affatto certo che i sostenitori democratici di «Bernie» sposteranno il loro voto su di lei. Dopo avere accumulato una serie di errori lunga come la giornata di un working poor europeo, Killary viene infatti percepita per come è davvero: solo una marionetta nelle mani di Wall Street e del Partito della guerra USA, un clone perfetto di Obama, dunque un perfetto soldatino del Sistema e della sua superclasse dell’1%.
Wall Street e il Pentagono sono già paralizzati dal terrore di poter vedere sedersi nella sala ovale un outsider tanto volgare quanto incontrollabile, che osa parlare di disimpegno militare, di una posizione di equilibrio nella questione israelo-palestinese o con chiarezza, suprema eresia, di normalizzazione delle relazioni con l’ignobile Putin.
E la sola questione che agita oramai gli osservatori antiSistema è di capire se Wall Street e il Pentagono accetteranno semplicemente di assumersi in simile rischio.
Le voci di un «october surprise» vanno diffondendosi, e ognuno si chiede quale coniglio i burattinai dello Stato profondo USA cacceranno dal loro cappello per congelare la situazione, darsi il tempo di riformattare la pubblica opinione e consentire quindi al Sistema di “perdurare nella sua essenza».
E’ che in materia di scenario-surprise, occorre mostrarsi creativi. L’omicidio puro e semplice di Trump è certamente una opzione, ma è un déjà-vu e nessuno crederebbe più oggi alla versione di un fantomatico fanatico manipolato da Cuba o Tora Bora.
Difficile pure rifare il colpo dell’11 settembre. Troppo imponente, troppo caro, troppo rischioso dare a bere un remake, ed è quasi certo che i Sauditi sarebbero restii a pagarne il conto una seconda volta. E poi, in questo momento, il rapporto coi Sauditi non è un granché.
No, la cosa più semplice è di muoversi nel campo dell’enorme, del gigantesco, dell’incontestabile, dell’irrefutabile, dell’indiscutibile. Vale a dire la guerra, evidentemente contro la Russia, e nucleare se possibile, giusto per mettere tutti con le spalle al muro.
E’ la tesi di diversi commentatori, sia russi che statunitensi, che stimano che, al momento, i preparativi siano già a buon punto.
Tra gli indizi enunciati: il lungo lavoro di formattazione delle opinioni pubbliche alla russofobia durato 5 anni; lo sferzante rifiuto di Obama a discutere con Putin della questione sempre più sensibile dello scudo antimissile (5) e, infine, l’inquietante inaugurazione in Romania, nel maggio scorso, di un sistema USA di missili «Aegis Ashore» perfettamente orientati per il lancio, per primi, di un attacco nucleare contro la Russia (6).
Certo, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma si deve convenire che tutti gli ingredienti dell’esplosione stanno insieme. Perché, al di là della volontà o meno degli Stati Uniti di premere il bottone rosso per primi, resta da capire per quanto tempo Mosca accetterà di restare sotto la minaccia di questo primo attacco nucleare, prima di decidere di distruggere la base rimena in questione (che è quanto farebbe qualsiasi capo di Stato in carica. Cfr la crisi dei missili a Cuba).
Il momento in cui tutto diventa possibile
Riepilogando, eccoci dunque di fronte ad una situazione nella quale, da Parigi a Washington passando per Bruxelles, si va diffondendo un vero clima di insurrezione contro la mafia dirigente neoliberale, con possibilità di sviluppi straordinari: rovesciamento del governo in Francia, smembramento dell’Unione Europea, implosione dell’Impero.
Tutto è dunque oramai possibile con, in agguato, l’ultima follia dei burattinai USA che stanno creando tutte le condizioni necessarie per uno scontro nucleare che sperano senz’altro rimanga confinato al territorio dell’Europa, e della Russia ovviamente, il tutto con l’allarmante complicità suicida di Bruxelles.
La grande crisi generale del Sistema neoliberale sembra dunque essere entrata nella fase terminale. La pressione monta.
Notes: