Si parte. I paesi fondatori dell’Unione Europea verso un’Unione federale
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Analisi, marzo 2017 - Venti anti-establishment e anti-Unione Europea soffiano forti e veloci per tutta Europa, avvicinandone la dissoluzione. L’effetto domino avviato dal Brexit ha prodotto reazioni a catena in tutta l’Unione...
Strategic Culture, 3 marzo 2017 (trad.ossin)
Si parte. I paesi fondatori dell’Unione Europea verso un’Unione federale
Alex Gorka
Venti anti-establishment e anti-Unione Europea soffiano forti e veloci per tutta Europa, avvicinandone la dissoluzione. L’effetto domino avviato dal Brexit ha prodotto reazioni a catena in tutta l’Unione. Le crisi sono molteplici, e tutte traggono origine dal sentimento di cittadini che, alla fine dei conti, preferiscono le loro identità nazionali e regionali al progetto sopranazionale. I mutamenti in corso potrebbero cancellare l’Occidente, come lo conosciamo, sostituendolo con gruppi di Stati, uniti da interessi comuni.
I presidenti dei Parlamenti di Germania, Italia, Francia e Lussemburgo hanno pubblicato una lettera che chiede una «unione federale». E’ stata pubblicata dal giornale italiano La Stampa, il 27 febbraio. «E’ oramai tempo di andare avanti verso una più stretta integrazione politica – un’unione federale degli Stati dotata di più estesi poteri. Sappiamo che questa prospettiva suscita una forte resistenza, ma l’inazione di alcuni non deve produrre la paralisi di tutti. Quelli che credono agli ideali europei dovrebbero garantire loro una nuova vita, invece di osservare impotenti la loro lenta dissoluzione», si legge.
I legislatori avvertono anche che il progetto di integrazione europea è attualmente più che mai in pericolo, a causa degli alti tassi di disoccupazione e di immigrazione, che danno spazio ai movimenti populisti e nazionalisti.
Non è solo una coincidenza se la lettera è stata pubblicata all’approssimarsi del 60° anniversario del Trattato di Roma, firmato il 25 marzo 1957 da Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania ovest. Il Trattato, che ha aperto la strada a quello di Maastricht e all’Unione Europea nel 1991, entrò in vigore il 1°gennaio 1958.
Nel 2015, i quattro presidenti hanno sottoscritto la dichiarazione «Per una maggiore integrazione europea: la strada giusta», che invitava a «proseguire nella integrazione economica europea, come primo passo verso una unione federale di Stati». Ad oggi, la lettera del 2015 è stata firmata da 15 presidenti di Parlamento.
L’integrazione europea viene sempre più contestata da un certo numero di partiti euroscettici, in tutto il continente. Fra essi L’Alternativa per la Germania, il Fronte Nazionale in Francia e il Partito per la libertà nei Paesi Bassi, tutti paesi interessati quest’anno da appuntamenti elettorali. Marine Le Pen, candidata alle presidenziali francesi, prevede che l’Unione cadrà «come il muro di Berlino». Nel suo programma c’è una nuova Europa di nazioni sovrane. «Il 2017 è il nostro anno», dice.
Secondo Guy Verhofstadt, il capo negoziatore del Brexit al Parlamento europeo, l’Unione Europea deve riformarsi o rischia di sparire, sotto l’onda delle sfide interne ed esterne. Noam Chomsky, eminente ricercatore statunitense, ha previsto che l’ondata di sentimenti anti-establishment colpirà l’UE per disintegrarla. Mark Blyth, professore britannico di economia politica all’Università Brown, che è stato capace di prevedere tre dei maggiori shock politici del 2016, afferma che l’UE quest’anno crollerà.
Il presidente statunitense Donald Trump ha appoggiato il Brexit e ha fatto soffiare un vento gelido sulla UE, definendola un «veicolo che serve gli interessi della Germania». Durante la campagna elettorale, aveva dichiarato che l’UE sarebbe sparita, sostenendo che «altri paesi seguiranno l’esempio» della Gran Bretagna, votando per abbandonare l’Unione. Secondo lui, «tra dieci anni, (l’Europa) sarà irriconoscibile», a causa dell’immigrazione.
In effetti una unione delle nazioni fondatrici ha un certo senso, perché esse sono sempre state prossime. Cultura e stili di vita paragonabili le avvicinano per perseguire in gran parte gli stessi interessi. Il Belgio, i Paesi Bassi e il Lussemburgo – i paesi del Benelux – hanno a lungo giocato un ruolo-chiave nella geopolitica europea. Il Belgio e il Lussemburgo hanno dato vita ad una unione economica fin dal 1921 e subito dopo sono cominciati i pourparler sfociati nell’unione doganale coi Paesi Bassi nel 1944. E’ naturale che il Benelux, la Francia e la Germania vadano avanti nei loro sforzi di integrazione.
La Germania, la Svezia, il Belgio, i Paesi Bassi e l’Austria potrebbero dover formare un «mini-Schengen» e chiudere collettivamente le loro frontiere al resto d’Europa, per arrestare il flusso dei rifugiati nei loro paesi.
L’incapacità della UE di risolvere le crisi ha portato alla ribalta il gruppo di Visegrad (V4), comprendente la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia. Dopo 25 anni di silenzio, il gruppo ha iniziato una ribellione contro Bruxelles nel 2016, quando la crisi migratoria ha cominciato a farsi sentire. Il gruppo ha premuto per un cambiamento nella politica della UE in tema di rifugiati e si è rifiutato di accettare i richiedenti asilo nel quadro di un sistema di quote della UE. Ha anche chiesto una riforma strutturale dell’organizzazione, in particolare la restituzione di taluni poteri da Bruxelles ai governi nazionali. Il V4 ha abbastanza voce all’interno del Consiglio europeo per potersi opporre alla Germania. La Polonia e l’Ungheria si sono varie volte alleate per opporvisi.
Lo scorso settembre, la Grecia ha organizzato un summit dei paesi dell’Europa del sud, comprendente la Grecia, la Francia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo, Cipro e Malta. Essi sono inclini a sostenere maggiori misure di protezione e vorrebbero che Bruxelles accordi loro più margini di manovra per spendere e indebitarsi come meglio credono.
La Scandinavia è di fatto già un blocco in seno al blocco. Queste nazioni sono storicamente assai prossime perché possano essere naturali compagne di camera. Le attività del Consiglio nordico non hanno mai fatto i titoli dei giornali, ma questa unione già esiste per aiutare la governance internazionale dell’Europa del Nord. Il Consiglio potrà essere anche integrato per sviluppare relazioni commerciali e diplomatiche strette con una Unione federale degli Stati europei.
L’iniziativa di formare una nuova Unione è una risposta al rischio di dissoluzione della UE. Il progetto di integrazione europea non sembra più praticabile. Il Nord non vuole sovvenzionare il Sud. Il desiderio di una moneta nazionale si rafforza e nessuno vuole più rifugiati. Con una UE indebolita o smembrata, emergeranno spontaneamente gruppi di paesi legati da stretti rapporti per perseguire i loro specifici interessi. Le singole nazioni potranno trarne dei benefici, ma il concetto di integrazione europea per fare della UE una potenza mondiale-chiave sarà dimenticato, come fosse solo una dolce illusione.