ProfileAnalisi, giugno 2017 - L’Istituto nazionale di ricerche sulla Difesa RAND è un think tank statunitense, finanziato da fondi federali e patrocinato dall’ufficio del Segretario alla Difesa...

 

Stati Uniti: Destabilizzazione 2.0
 
L’Istituto nazionale di ricerche sulla Difesa RAND è un think tank statunitense, finanziato da fondi federali e patrocinato dall’ufficio del Segretario alla Difesa (OSD), dallo Stato maggiore inter-arma, dal Comando inter-arma di Combattimento, dal Dipartimento della Marina, dal Corpo dei Marine, dalle Agenzie di difesa e dalla comunità della intelligence militare.
 
 
Nel 2008, vale  a dire circa tre anni prima dell’ingannevole «primavera» araba, il RAND ha pubblicato un importante ed esaustivo studio[i] sul movimento Kifaya («E’ abbastanza!», in arabo), un gruppo di opposizione egiziano creato nel 2004 da intellettuali di diverse sensibilità. Tra le raccomandazioni contenute nell’imponente documento, si legge anche: «Gli Stati Uniti dovrebbero aiutare i riformatori a procurarsi e ad usare la tecnologia dell’informazione, magari offrendo facilitazioni alle imprese statunitensi che investono nelle infrastrutture di comunicazione e nella tecnologia dell’informazione regionale. Le compagnie statunitensi che operano nel settore della tecnologia dell’informazione potrebbero anche fare in modo che i siti web dei riformatori possano restare operativi e potrebbero anche investire in tecnologie come i server proxy che consentono l’anonimato e possono difenderli dall’attività di sorveglianza dei governi. L’obiettivo potrebbe anche essere raggiunto ricorrendo a mezzi tecnologici che impediscano ai regimi di sabotare i siti web dei riformatori».
 
Il Cairo: manifestazione di militanti del movimento "Kifaya" (كفاية)
 
Questo studio realizzato dal RAND è servito come base per una politica statunitense di «esportazione» della democrazia verso i paesi del Medio oriente e dell’Africa del Nord (MENA — Middle East and North Africa) attraverso la formazione, il sostegno e la messa in rete dei cyber-attivisti provenienti da questi paesi.
 
Infatti, programmi per sottarsi alla censura statale, come TOR[ii] o Commotion[iii] sono stati messi a punto per aiutare i cyber-attivisti a fare la loro «rivoluzione» navigando in modo anonimo nella rete.
 
Nell’estate 2009, mentre erano in corso le manifestazioni di piazza contro il governo iraniano, il software TOR è stato messo a disposizione dei cyber-dissidenti iraniani[iv]. Inoltre Hillary Clinton, la segretaria di Stato USA dell’epoca, affermò che «Twitter era importante per la libertà di espressione iraniana»[v]. E a tale affermazione seguì un intervento del Dipartimento di Stato sulla direzione di Twitter, perché rinviasse una operazione di manutenzione che avrebbe provocato una interruzione del servizio, privando così gli oppositori iraniani di quello strumento di comunicazione [vi].
 
Distribuito gratuitamente, TOR beneficia di sussidi federali statunitensi, oltre ad essere finanziato da numerosi e prestigiosi sponsor come Google, Human Rights Watch (HRW) e anche dal laboratorio di ricerca della Marina degli Stati Uniti (NRL — United States Naval Research Laboratory).
 
 
Durante la «primavera» araba, TOR è stato anche utilizzato dai cyber-attivisti tunisini e egiziani[vii]. Cosa che spinse la signora Clinton a dire «che internet è diventato lo spazio pubblico del XXI° secolo» e che «le manifestazioni in Egitto e in Iran, sostenute da Facebook, Twitter e YouTube, dimostravano la forza delle tecnologie di connessione quali acceleratori del cambiamento politico, sociale ed economico» [viii].
 
La formazione dei cyber-attivisti della zona MENA è stato finanziato dalle organizzazioni statunitensi di «esportazione» della democrazia, come la United States Agency for International Development (USAID), la National Endowment for Democracy (NED), l’International Republican Institute (IRI), il National Democratic Institute for International Affairs (NDI), la Freedom House (FH) e l’Open Society Institute (OSI) del miliardario statunitense George Soros, illustre speculatore finanziario[ix].
 
Per i cyber-attivisti arabi, la formazione è stata prontamente organizzata in alcune città arabe come il Cairo o Beirut. Gli eventi più spettacolari sono stati curati da una organizzazione creata appositamente a questo fine : l’Alleanza dei Movimenti della Gioventù (AYM — Alliance of Youth Movements).
 
La missione dell’AYM viene chiaramente annunciate sul suo sito: i) individuare dei cyber-attivisti nelle regioni di interesse; ii) metterli in contatto tra di loro, con esperti e con esponenti della società civile; e iii) sostenerli con la formazione, con consigli e fornendo loro una piattaforma per avviare i contatti e svilupparli nel tempo.
 
 
L’AYM è guidata da personaggi che hanno lavorato al Dipartimento di Stato, in imprese che si occupano delle nuove tecnologie o di organizzazioni di «esportazione» della democrazia. Sono stati organizzati tre summit dell’AYM: a New York nel 2008, a Città del Messico nel 2009 e a Londra nel 2010.
 
La lista degli sponsor di questi eventi è assai eloquente. Vi si trovano, tra gli altri, Twitter, Google, YouTube, Facebook e il Dipartimento di Stato.
 
Già nel 1999, Carl Gershman, presidente della NED, dichiarava che «la promozione della democrazia è diventata un principio consolidato dell’attività internazionale e un pilastro della politica estera statunitense» [x]. Nel 2010, Hillary Clinton vi aggiunse la dimensione relativa al cyber-spazio, dichiarando che internet era «uno strumento essenziale per fare avanzare la democrazia»[xi].
 
Hillary Clinton e Carl Gershman
 
Con lo sviluppo folgorante delle nuove tecnologie, il miglioramento costante dei server proxy che garantiscono l’anonimato e l’egemonia statunitense nel campo delle nuove tecnologie, è facile prevedere che il cyber-attivismo prospererà, specialmente come vettore di «esportazione» della democrazia statunitense. Un modo «elegante» per destabilizzare – o addirittura distruggere – i paesi che figurano sulla lista nera dello Zio Sam.
 
La sanguinosa «primavera» araba è là per confermarcelo.
 
 
Note:
 
[i] Nadia Oweidat et al., « The Kefaya movement », RAND National Defense Institute, 2008.
 
[ii] Tor Project, https://www.torproject.org/
 
[iii] Yves Eudes, « Commotion, le projet d’un Internet hors de tout contrôle », Le Monde, 30 agosto 2011, http://www.lemonde.fr/technologies/article/2011/08/30/commotion-le-projet-d-un-internet-hors-de-tout-controle_1565282_651865.html
 
[iv] Ahmed Bensaada, « Téhéran-Gaza : la différence médiatique », Le Quotidien d’Oran, 25 giugno 2009, http://www.lequotidien-oran.com/index.php?news=5123035&archive_date=2009-06-29
 
[v] Nancy Scola, « Clinton says Twitter is important for Iranian free speech », TechPesident, 17 giugno 2009, http://techpresident.com/blog-entry/breaking-clinton-makes-vague-remarks-general-direction-twitter
 
[vi] Le Devoir, « Mobilisation politique en Iran à l'heure du Web 2 - Washington intervient en faveur des utilisateurs de Twitter », 17 giugno 2009, http://www.ledevoir.com/international/actualites-internationales/255415/mobilisation-politique-en-iran-a-l-heure-du-web-2-washington-intervient-en-faveur-des-utilisateurs-de-twitter
 
[vii] John Moroney, « Mass. company helps activists avoid online government censorship », NECN, 30 gennaio 2011, http://www.necn.com/news/new-england/_NECN__Mass__Company_Helps_Activists_Avoid_Online_Government_Censorship_NECN-252293921.html
 
[viii] Le Monde, « Hillary Clinton milite pour la liberté sur Internet », 16 febbraio 2011, http://www.lemonde.fr/technologies/article/2011/02/16/hillary-clinton-milite-pour-la-liberte-sur-internet_1480855_651865.html
 
[ix] Ahmed Bensaada, « Arabesque$: Enquête sur le rôle des États-Unis dans les révoltes arabes », Éditions Investig’Action, Bruxelles (2015) ; Éditions ANEP, Alger (2016)
 
[x] Michael Barker, « Activist Education at the Albert Einstein Institution: A Critical Examination of Elite Cooption of Civil Disobedience », Indymedia, 21 luglio 2012, http://www.indymedia.ie/article/102162?condense_comments=true
 
[xi] Council on Foreign Relations, « Clinton’s Speech on Internet Freedom, January 2010 », 21 gennaio 2010, http://www.cfr.org/internet-policy/clintons-speech-internet-freedom-january-2010/p21253
 
 
 
 
 
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