Afghanistan: bilancio dell'intervento USA
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Analisi, ottobre 2017 - La guerra in Afghanistan è costata agli USA, dal 2001, ben 685,6 miliardi di dollari. Nonostante ciò, la situazione del paese è catastrofica, i Talebani premono e il 90% della produzione del papavero si concentra in questo paese (nella foto, un attentato in peino centro a Kabul)
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 23 ottobre 2017 (trad. ossin)
Afghanistan: bilancio dell'intervento USA
Julie Descarpentrie
Derogando all'impegno elettorale dell'America First, la scelta del presidente Trump di inviare altre truppe in Afghanistan, tre anni dopo il ritiro della Forza Internazionale di Assistenza alla Sicurezza (ISAF in inglese)[1] nel 2014, desta motivi di sorpresa. Dunque, seguendo i consigli di neoconservatori come John McCain e James Mattis, i piloti della base USA di Bagram devono prepararsi ad intensificare gli attacchi aerei, per colpire le posizioni di Daesh e dei Talebani. Portando a quasi 14 500 il numero di soldati e istruttori incaricati di formare le forze di sicurezza afghane nell'ambito della missione Resolute Support, la strategia statunitense però non raccoglie affatto una unanimità di consensi. Per quanto l'obiettivo principale di questa scelta sia quello di non ripetere l'errore commesso nel 2003 quando, totalmente assorbiti dalla guerra in Iraq, gli Stati Uniti crearono un vuoto d'aria di cui i terroristi approfittarono, oggi i paesi membri dell'Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (OCS) dominata dalla Russia e dalla Cina, ritengono che qualsiasi ingerenza militare prolungata nel paese costituisca un freno alla stabilizzazione e nuoccia al processo di riconciliazione nazionale con i Talebani.
In proposito, deve constatarsi che la situazione militare continua a peggiorare e che la carenza di coordinamento tra le truppe USA, le forze afghane e quelle della NATO è stata di ostacolo alla riconquista del territorio. Infatti, ai primi di novembre 2016, circa il 57,2% dei 407 distretti afghani erano sotto il controllo del governo afghano, contro più del 72% nel 2015. A questo si aggiunga che ben 6 785 soldati e poliziotti afghani sono stati uccisi nel 2016, vale a dire un aumento di più di un terzo rispetto all'anno precedente.[2] La presenza di Daesh, dopo il 2014, rende ancora più fosco questo bilancio giacché, a differenza dei Talebani prevalentemente di origine pashtu, la chiamata al jihad globale di Daesh tende ad allargare la base insurrezionale ad altre etnie presenti in Afghanistan.
Di fronte alla capacità di resilienza degli insorti, si è assistito a molti tentativi di negoziato tra Kabul e i Talebani, sia quello del 2014 per iniziativa del Primo Ministro pakistano, Nawaz Sharif, che quello del 2016, sotto l'egida degli Stati Uniti, della Cina e della Russia. Purtroppo si sono risolti tutti in un fallimento giacché, oltre a reclamare i ministeri relativi agli affari sociali e religiosi e la creazione di un emirato islamico, i Talebani pretendono l'allontanamento dei soldati occidentali quale condizione sine qua non per l'apertura dei negoziati. La situazione di forza nella quale si trovano dipende soprattutto dal fatto che, dopo la morte del mullah Mansur, ucciso da un attacco di droni nel 2016, i Talebani afghani si sono considerevolmente rafforzati. Ciò in ragione dell'unanime consenso che si è realizzato intorno alla personalità di Haibathullah Akhunzada, eletto a marzo 2016 per succedergli. Ex ministro della Giustizia nel governo talebano (1996-2001), gode di unanime consenso tra i suoi compagni in ragione della sua grande cultura religiosa. Per quanto non abbia il profilo di un combattente come il mullah Omar, la sua legittimità guerriera e politica gli viene tuttavia conferita dal mullah Yacoub - figlio d'Omar – oltre che da Sirajuddin Haqqani, la cui fiducia gli è preziosa giacché la rete Haqqani gode della protezione dei Servizi pakistani (ISI).
D'altra parte, sul versante pakistano, i dollari versati al governo di Islamabad nell'ambito della lotta anti-terrorista hanno purtroppo preso la strada del finanziamento ai gruppi islamisti. Sia in occasione delle incursioni effettuate in Waziristan nel 2007 su ingiunzione degli Stati Uniti, che dell'operazione Zarb-e-Azb del 2013, si osserva che il governo ha fatto il doppio gioco avvisando la rete Haqqani degli attacchi imminenti, perché avessero il tempo di abbandonare il Nord Waziristan e rifugiarsi in Afghanistan.[3]
A questo si aggiunge la deplorevole situazione economica del paese che si giova principalmente dei proventi dell'agricoltura e dipende interamente dall'aiuto straniero. E' per questo che, nell'ottobre 2016, una conferenza internazionale ha stabilito il versamento al paese di 13,6 miliardi di euro per il periodo 2017-2020, ciò che fa sì che più del 60% del bilancio dello Stato afghano venga assicurato dai paesi stranieri. Secondo il Congress Research Service (CRS) statunitense, il costo stimato della guerra in Afghanistan giungerebbe a 685,6 miliardi di dollari perché, oltre alla spesa militare, gli USA hanno destinato quasi 110 miliardi di dollari alla ricostruzione del paese, allo sviluppo economico, alla lotta anti-droga e anti-terrorista e, infine, alla protezione civile. Alla luce di un impegno finanziario di tale portata, ci si sarebbe potuto attendere che la situazione migliorasse.
Però, le solidarietà tribali ed etniche sono tali che, quando il presidente Hamid Karzaï venne messo al potere dagli Iraniani e dagli Statunitensi nel 2001, questi ultimi non avevano previsto che egli avrebbe fatto soprattutto gli interessi della sua comunità pashtu. E' molto evidente che la società afghana si basi da sempre sul clientelismo. Finché lo Stato centrale si serve dei capi dei clan (khan et malik) comprandone il voto affinché trucchino le elezioni al livello locale, le assemblee plenarie dei capi tribali (loya jirga), da parte loro, favoriranno l'elezione di candidati ricchi e potenti come Hamid Karzaï. Di conseguenza, né il Parlamento né il voto popolare hanno alcuna forza di fronte ad una simile corruzione.[4]
Infine la istituzione di uno Stato centralizzato copiato dal sistema statunitense, nel quale sono previsti due vice-presidenti e un Parlamento che funziona col modello bicamerale, non ha per nulla portato stabilità. Anche se le élite sono state bene attente a rappresentare gli interessi di ciascuna etnia, i Pashtu – che rappresentano solo il 40% degli Afghani ma si ritengono l'unica etnia in grado di governare il paese[5] – si considerano costantemente lesi nei loro interessi, e ciò fa sì che le lotte inter-etniche si ripercuotano anche nel governo del paese.
Come Hamid Karzaï, che ha approfittato del suo ruolo per riversare l'aiuto occidentale sui soli membri del suo clan, l'attuale presidente pashtu eletto nel 2014, Ashraf Ghani, è anch'esso accusato di fare entrare tutti i suoi amici (pashtu) nel governo a scapito di rappresentanti che si potrebbero definire persanofoni e rappresentati da Abdullah Abdullah, capo dell'esecutivo tagiko. Bisogna anche notare che l'attuale forma di governo, che si caratterizza per la coabitazione tra quest'ultimo e il presidente Ghani, è oggetto di critiche perché deriva da una manovra politica non prevista dalla Costituzione e segue temporalmente supposte frodi elettorali realizzate da Abdullah Abdullah che, contestando la legittimità di Ashraf Ghani ad essere presidente, si è visto « offrire » il posto di Primo Ministro per starsene buono.
Infine, oltre alla instabilità politica e alla corruzione endemica che caratterizzano l'Afghanistan, il paese conosce un forte sviluppo della coltura del papavero soprattutto nel sud del paese controllato dai Talebani, i cui membri controllano il narcotraffico dalle province situate lungo la frontiera col Pakistan. Lungi dall'essere solo appannaggio dei terroristi che li utilizzano per finanziare il jihad, i proventi della droga ingrassano anche alcuni membri del governo, le guardie di frontiera – afghane e russe – e ovviamente i contadini, che ne dipendono per la loro sopravvivenza. E' così che con 290 000 ettari di coltura di papavero e il 90% della produzione mondiale, i contadini afghani coltivano oggi più oppio che in qualsiasi altro momento della storia moderna, e questo spiega anche come la situazione sanitaria dell'Afghanistan sia deplorevole. Nel 2001, anno in cui furono cacciati i Talebani, si coltivavano solo 8 000 ettari, ma poi la destabilizzazione del paese ha favorito l'apparire di signori della guerra, che si finanziano coi traffici e possono contare sulla complicità di elementi delle forze di sicurezza. Questi signori si accordano con le comunità rurali per consentire la coltivazione del papavero, perfino anche lo incoraggiano per assicurarsi soprattutto una percentuale sulla produzione.
Note:
[1] All'epoca posta sotto il comando della NATO, l' ISAF – in inglese – è stata dispiegata in Afghanistan nel 2003 in virtù di un mandato dell'ONU, per aiutare il governo afghano ad assicurare la sicurezza nel paese. A partire dal 2011, la responsabilità della sicurezza è stata progressivamente trasferita alle forze afghane che hanno assunto la direzione delle operazioni nel 2013 Nel 2014, la missione chiamata Resolute Support, con compiti non di combattimento, si è sostituita alle precedenti nel compito, stavolta, di fare solo attività di formazione, consigli e assistenza alle forze e alle istituzioni afghane.
[2] L'ultimo bilancio della Ispezione generale per la ricostruzione dell'Afghanistan (SIGAR), un'agenzia statunitense, dipinge un quadro fosco della situazione nel 2016 : un totale di 6 785 soldati e poliziotti sono rimasti uccisi tra il 1° gennaio e il 12 novembre, e 11 777 sono rimasti feriti. Le perdite tra le forze di sicurezza afghane sono cresciute del 35 % nel 2016 rispetto all'anno precedente, esso stesso considerato un anno record con circa 5 000 morti sui 4 600 del 2014
[3] Secondo il ministro dell'Interno pakistano, Ahsan Iqbal, l'ISI ha anche coperto l'attività dell'ex capo dei Talebani, il mullah Omar, fino alla sua morte del 2013. Ha anche confermato che il Pakistan aveva rilasciato un passaporto al suo successore, il mullah Akhtar Mansur, perché potesse recarsi in Iran, prima che fosse eliminato nel Belucistan pakistano da un attacco USA nel maggio 2016.
[4] E' sempre durante il governo di Hamid Karzaï, che Abdul Sayyaf, noto terrorista wahhabita e protettore di Bin Laden in Afghanistan, ha ottenuto un seggio in Parlamento, e questo suscita interrogativi sulla legittimità dei membri del governo.
[5] Una simile situazione ha soprattutto origine storiche, in quanto « Afghanistan » è una parola che in origine faceva riferimento ai soli membri dell'etnia pashtu. Attualmente dominati dalla tribù dei Ghilzaï, i primi Pashtu che regnarono sul paese e stabilirono le frontiere apparvero nel 1747, data in cui ascese al trono Ahmad Shah Durrani, che faceva però parte della tribù dei Durrani, considerata più sedentaria dei Ghilzaï che sono nomadi.