Rivoluzione Russa, una Rivoluzione ebraica?
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Analisi, 13 dicembre 2017 - Un secolo dopo la vittoria dei Bolscevichi, gli storici tentano ancora di capire il ruolo giocato dagli ebrei negli avvenimenti che hanno portato alla fondazione dell’URSS (nella foto, Commemorazione del centenario della Rivoluzione a Mosca)
Jerusalem Post, 26 novembre 2017 (trad.ossin)
Rivoluzione Russa, una Rivoluzione ebraica?
Seth J. Frantzman
Questo articolo ha il pregio di sintetizzare una questione complessa e trascurata, quella del ruolo predominante degli ebrei nella Rivoluzione Russa. Gli si perdona per questo la faziosità (a tratti irritante, e che ha irritato infatti il traduttore), ma essa è propria del sionismo (come di tutte le ideologie totalitarie). Tale faziosità ha d’altronde impedito all’autore di comprendere molte cose, come per esempio l’indifferenza manifestata da Trotskij per la causa ebraica, ch’egli riteneva (come d’altronde Karl Marx, un altro ebreo) potesse risolversi con l’instaurazione di un mondo di uguali, nel quale non ci sarebbe stato troppo posto per le differenze religiose, etniche o tribali. Purtroppo la storia è andata in modo diverso…
Consigliamo comunque, a chi volesse approfondire, la monumentale opera di Aleksandr Solgenitsin, “Due secoli insieme” – Napoli, giugno 2007. (Ossin)
Il 9 aprile 1917, un treno si fermava alla stazione di Thaygen, città svizzera alla frontiera con la Germania. A bordo, un gruppo di 32 Russi, cui le guardie doganiere sequestravano lo zucchero e la cioccolata che avevano con loro, perché eccedente rispetto alla quantità consentita. Poi il treno riprendeva il cammino fino a Gottmadingen, dalla parte tedesca della frontiera. Qui salivano due soldati tedeschi e separavano i Russi dagli altri viaggiatori, sistemandoli in 2° e 3° classe.
Questi Russi formavano un gruppo eclettico comprendente dieci donne e due bambini. I loro nomi erano conosciuti negli ambienti della sinistra e dei circoli rivoluzionari dell’epoca, viaggiavano tutti sotto una falsa identità. Tra di loro c’erano Karl Radek, e anche Grigory Zinoviev e sua moglie Zlata, tutti e tre originari di Lvov (attualmente in Ucraina) ; c’era anche Georgii Safarov, per metà armeno, e sua moglie, e ancora l’attivista marxista Sarah « Olga » Ravich. Grogory Useivich, anch’egli ucraino, era accompagnato dalla moglie Elena Kon, figlia di una Russa di nome Kasia Grinberg. La femminista francese Inessa Armand cantava e scherzava con Radek, Ravich e Safarov. Il chiasso che facevano finì per infastidire il leader del gruppo che, sollevatosi dalla sua cuccetta, intimò loro intimato di tacere. Questi altri non era se non Vladimir Lenin, salito a bordo di questo treno coi suoi compagni per un viaggio di una settimana con destinazione San Pietroburgo. Sei mesi dopo, Lenin e qualcuno dei suoi accoliti si sarebbero trovati a capo di un nuovo Stato, la Repubblica Sovietica Russa.
Il gruppo composto da Lenin e dai suoi compagni era considerato da molti come un gruppo eclettico di ebrei rivoluzionari. Il fatto è che la metà di loro era ebreo. Alexander Guchkov, il ministro russo della Guerra nel governo provvisorio formatosi dopo l’abdicazione dello zar Nicola II nel marzo 1917, aveva per questa ragione detto all’attaché militare britannico, il generale Alfred Knox, che « gli elementi estremisti erano degli ebrei e degli imbecilli ».
La storia se ne è però ampiamente dimenticata. La maggior parte delle analisi e delle opere che trattano questo tema trascura completamente il carattere ebraico di questi rivoluzionari. La ragione è complessa. Va ricercata sia nel timore di una stigmatizzazione che potrebbe incoraggiare l’antisemitismo, ma anche nel fatto che gli stessi rivoluzionari hanno cercato di non evidenziare le loro particolarità etniche e religiose. Anche se Lenin spesso elogiava gli ebrei parlando coi suoi compagni, nessuno di questi ultimi faceva mai riferimento alle sue origini, conformemente alla politica sovietica.
Un secolo dopo questi avvenimenti, si osserva un rinnovato interesse verso i protagonisti della Rivoluzione russa e le tragedie che ha provocato. Ne sono prova soprattutto un film spagnolo del 2016, El Elegido (L’eletto) che parla di Ramon Mercader, l’assassino di Leon Trotskij, o anche un film britannico uscito quest’anno, The death of Stalin (La morte di Stalin), che rigira in commedia questi avvenimenti storici. In Russia, infine, un nuovo serial racconta la vita di Trotskij. Per spiegare questa scelta, il produttore Konstantin Ernst ha dichiarato recentemente: « Penso che Trotskij combini tutto, il bene e il male, l’ingiustizia e il coraggio. E’ l’archetipo del rivoluzionario del XX° secolo. Ma la gente non deve pensare che se avesse vinto lui, al posto di Stalin, le cose sarebbero andate meglio, è totalmente falso ».
La questione di « che cosa sarebbe stato » riguarda unicamente Trotskij, perché questi ha simbolizzato l’anti-stalinismo, il rivoluzionario libero dalla mente fertile, in opposizione a Stalin il pragmatico, lo statista, l’iniziatore delle purghe sanguinarie. Una parte del mito Trotskij si deve senz’altro al fatto che era ebreo, come molti altri rivoluzionari, attivisti e discepoli del comunismo della fine del XIX secolo.
Un complotto ebraico ?
Il ruolo degli ebrei nella Rivoluzione russa e, per estensione, nel comunismo in senso lato, è sempre stato un argomento sensibile, perché ci sono sempre state voci antisemite pronte a dipingere il comunismo sovietico come un complotto ebraico, talvolta designato col nome di « bolscevismo ebraico ». Quando Alexander Solgenitsin ha cominciato a lavorare alla sua opera intitolata “Due secoli insieme”, è stato criticato per avere osato toccare questo tabù. I commenti che ha rilasciato alla stampa hanno ancora di più rigirato il coltello nella piaga, quando ha affermato che la Ceka, la polizia segreta ucraina, era composta per due terzi da ebrei. « Io distinguo diversi gruppi di ebrei. Uno è stato alla testa della Rivoluzione. Un altro, al contrario, faceva resistenza. A lungo è stato vietato parlare degli ebrei ». Non c’è da meravigliarsi che il suo libro sia molto ben recensito nei siti antisemiti.
Simon Dubnov, nato nel 1860 nella regione di Moguilev (attualmente in Bielorussia), era un attivista ebreo tra i più ferventi. Professore di storia a San Pietroburgo (allora chiamata Pietrogrado), animava le unità di difesa e la letteratura ebraica, e pensava che la Rivoluzione avrebbe portato l’uguaglianza. Molto deluso, però, per come si era sviluppata la Rivoluzione, lasciò la città nel 1922 per trasferirsi a Riga, in Lettonia. E’ stato assassinato dai nazisti nel 1941. Prima di morire fece questa riflessione sugli ebrei come Trotskij, che si erano uniti alla Rivoluzione. « Assumono pseudonimi russi perché si vergognano delle loro origini ebraiche; non hanno radici nel nostro popolo ».
Winston Churchill era d’accordo con questa tesi. In un articolo pubblicato nello Illustrated Sunday Herald nel 1920, prendeva in giro gli ebrei dicendo che erano o comunisti « internazionalisti », o dei nazionalisti leali, oppure dei sionisti. Definiva questa « la lotta per l’anima del popolo ebraico », e affermava che il loro ruolo nella Rivoluzione era stato predominate. Con la notevole eccezione di Lenin, « la maggior parte dei leader della Rivoluzione era ebrea », scriveva. Churchill sosteneva quindi che la forza motrice di quella Rivoluzione erano i leader ebrei che avevano eclissato tutti gli altri. E menzionava Maxim Litvinoff, Trotsky, Grigory Zinoviev, Radek o Leonid Krassin. Definiva questo fatto come « incredibile » e accusava gli ebrei di « giocare un ruolo preminente, se non il principale, nel sistema del terrorismo » noto come « il terrore rosso », che mirava a eliminare tutti quelli che, in Unione Sovietica, deviavano dalla linea imposta dal comunismo.
Uno di quelli che Churchill più criticava era Bela Kun, un ebreo ungherese che ha governato per breve tempo l’Ungheria quando era una Repubblica sovietica nel 1919. Kun fuggì in Unione Sovietica quando il suo paese venne invaso dalla Romania, ed è diventato capo del Comitato rivoluzionario in Crimea al fianco di Rosalia Zemlyachka. Il loro regime è stato responsabile della morte di circa 60 000 persone. Kun venne arrestato durante le purghe staliniane, accusato di trotskismo, poi giustiziato nel 1938. La sua vita è stata emblematica di quella di molti altri rivoluzionari, i cui ideali erano contaminati dai metodi sanguinari del comunismo. Finì vittima del regime che lui stesso aveva contribuito ad erigere, come molti altri rivoluzionari ebrei, accusati poi di essere dei controrivoluzionari.
Una importante minoranza
Come tutto questo è potuto accadere? L’Istituto YIVO per gli studi ebraici ha recentemente organizzato un congresso a New York sugli ebrei durante e dopo la Rivoluzione russa. L’accento è stato posto sul loro ruolo paradossale durante questi avvenimenti: « La rivoluzione russa ha liberato la più grande comunità ebraica del mondo. Ma questo ha anche aperto le porte al più grande massacro di ebrei prima della Seconda Guerra Mondiale, con la guerra civile e le sue conseguenze dal 1918 al 1921. « La rivoluzione ha senz’altro permesso agli ebrei di penetrare in quasi tutte le sfere della vita russa, ma la ricchezza della vita culturale ebraica in Russia è stata soffocata ed ha finito con lo sparire ».
I tre milioni di ebrei presenti in Unione Sovietica costituivano allora la più grande comunità ebraica del mondo, anche se non rappresentavano più del 2 % della popolazione totale del paese. Erano concentrati nella regione occidentale della Russia imperiale, oltre che in Ucraina e in Bielorussia, dove rappresentavano tra il 5 e il 10 % della popolazione. Gli ebrei erano una delle minoranze più importanti del paese coi Georgiani, gli Armeni, i Turchi, gli Uzbeki e altri; però nessuno di questi altri gruppi ha giocato un ruolo centrale nella Rivoluzione. Ricordiamo comunque che Stalin era georgiano e che Felix Dzerzhinsky, fondatore della polizia segreta sovietica, era un aristocratico polacco.
Data la complessità dell’Unione sovietica e la sua predilezione per una burocrazia tentacolare, è difficile quantificare il numero di ebrei collocati nei posti chiave durante e subito dopo i fatti del 1917. La metà dei dirigenti del comitato centrale del partito comunista che assunsero il potere quando, nel 1922, si manifestò la malattia di Lenin – Lev Kamenev, Trotsky e Zinoviev – erano ebrei. Yakov Sverdlov, presidente del comitato centrale esecutivo di tutta la Russia dal novembre 1917 fino alla sua morte nel 1919, era anche lui ebreo. Nato nel 1885, si era iscritto al partito socialdemocratico russo nel 1902, divenendo poi membro della fazione bolscevica di Lenin. Come altri della sua generazione, ha partecipato alla Rivoluzione del 1905. Suo padre si era convertito all’ortodossia russa.
Il gran numero di ebrei presenti nelle posizioni chiave del partito non sfuggiva ai loro compagni non ebrei. V.M. Molotov, il potente ministro degli Affari esteri con Stalin, ha più volte parlato degli ebrei in una serie di colloqui con l’autore, Felix Tchouev, tra il 1969 e il 1986, che hanno formato la trama di un’opera pubblicata nel 1991, “Conversazioni con Molotov”. Quest’ultimo ricorda che, alla morte di Lenin, « gli ebrei occupavano posizioni dominanti, nonostante rappresentassero una modesta percentuale della popolazione ». L’antisemitismo era tuttavia un problema in seno al partito. Molotov ricorda che, nel 1912, quando lavorava al giornale La Pravda, ricevettero una lettera di Nikolay Krestinsky che affermava che Lenin era antisemita. Ciò perché quest’ultimo si contrapponeva ai Menscevichi, una fazione comunista, e che tutti I Menscevichi erano ebrei. « Generalmente », afferma Molotov, « gli ebrei sono una nazione di oppositori. Ma erano inclini ad appoggiare i Menscevichi ». Molotov ricorda anche che molti amici di Stalin avevano mogli ebree. « C’è una spiegazione per questo », dice. « Gli elementi rivoluzionari sono percentualmente di più tra gli ebrei che tra i Russi. Insultati e oppressi, sono diventati più versatili. E sono penetrati in tutti gli ambienti, per così dire ». Secondo lui, gli ebrei erano più inclini all’attivismo della media dei Russi. « Stanno sempre sul chi vive e si preparano », sostiene Molotov, che peraltro riconosce qualche fondatezza al sionismo. « Gli ebrei si sono a lungo battuti per ottenere un loro Stato sotto la bandiera sionista. Noi eravamo ovviamente contrari al sionismo. Ma rifiutare a un popolo il diritto di avere uno Stato equivale ad opprimerlo ».
I germi della rivoluzione
Il tornante sulla strada della storia che ha spinto alcuni ebrei che vivevano nell’impero russo ad abbracciare il sionismo, e altri a militare in diversi movimenti rivoluzionari di sinistra che hanno portato alla nascita dell’Unione Sovietica, si è manifestato nel XIX secolo. Nato nel 1827, l’impero russo intendeva ammodernare il suo esercito. Anche le comunità ebraiche dovevano fornire quattro coscritti ogni 1000 membri che avrebbero svolto il servizio militare per 25 anni (vale a dire da 1 500 a 3 000 coscritti per anno). Per quanto la durata del servizio fosse identica anche per i non ebrei, questi ultimi dovevano avere un’età superiore a 18 anni, mentre gli ebrei potevano essere arruolati fin dai 12 anni, cosa che comportò la loro « russificazione ». In seguito, lo zar Alessandro abolì questo sistema e consentì anche agli ebrei di insediarsi nelle grandi città russe come Mosca e San Pietroburgo. Ma dopo l’assassinio dello zar nel 1881, un’ondata di pogrom si riversò sul paese. Vennero imposte nuove restrizioni agli ebrei, limitando i luoghi dove potevano vivere e lavorare. Ciò provocò un’importante emigrazione di ebrei russi: quasi 2,3 milioni partirono verso ovest tra il 1881 e il 1930.
Quando Theodor Herzl visitò l’impero nel 1903, constatò che il 50 % dei militanti dei partiti rivoluzionari era ebreo. Il padre del sionismo avrebbe allora chiesto al conte Witte, ministro delle Finanze, la ragione di questa sproporzione. « Penso che sia colpa del governo », avrebbe risposto il ministro. « Gli ebrei sono troppo oppressi ». Secondo lo storico Leonard Shapiro, gli ebrei si sarebbero uniti ai gruppi rivoluzionari nel momento in cui cominciarono ad essere ammessi in certi circoli intellettuali. Paradossalmente, dunque, più gli ebrei diventavano ricchi e liberi nell’impero, e più prendevano coscienza della precarietà della loro condizione e si univano alla ribellione che ribolliva contro il governo ». Tra gli ebrei si manifestarono diverse posizioni. Molti, come la famiglia dell’ex Primo Ministro di Israele Golda Meir, emigrarono verso il Nuovo Mondo. Circa 40 000 decisero di partire verso la “Terra Promessa”, per diventare leader di quella che è stata chiamata la prima Aliyah (emigrazione ebraica verso la Palestina, ndt). Tra essi, c’erano uomini come Joseph Trumpeldor, nato in Russia nel 1880 e partito per la Palestina ottomana nel 1911, dopo aver servito nell’esercito russo. Lo scrittore Leon Pinsker di Odessa era il simbolo di questo risveglio: da ebreo che tendeva ad assimilarsi, ha abbracciato la causa sionista convincendosi che gli ebrei erano destinati a soffrire di antisemitismo dovunque si trovassero. L’amico di Pinsker altri non era se non Meir Dizengoff, un veterano dell’esercito russo poi diventato il primo sindaco di Tel-Aviv. Tra i fondatori della prima organizzazione di autodifesa (gruppo terrorista, ndt) in Palestina chiamata Hashomer, si ritrovano Alexander Zaid proveniente dalla Siberia e Yitzhak Ben-Zvi, originario dell’Ucraina.
Tra I milioni restati in Russia, molti si sono battuti per I diritti degli ebrei. Maxim Vinaver che viveva a San Pietroburgo, era nato nel 1862 a Varsavia. Avvocato, fondò il partito della Libertà popolare e fu presidente della Lega per l’ottenimento dell’uguaglianza per il popolo ebraico in Russia. Eletto alla prima Duma creata dopo la rivoluzione del 1905, faceva parte dei 12 deputati ebrei su un totale di 478 parlamentari. Vinaver divenne rapidamente il leader del gruppo ebraico dell’assemblea, combattente per i diritti delle minoranze dell’impero. « Noi ebrei rappresentiamo una delle nazionalità che ha più sofferto, tuttavia abbiamo sempre parlato solo per noi. Pensiamo che questo non vada bene, per questo adesso difendiamo l'uguaglianza civile per tutti », dichiarò alla Duma.
Trotskij o l’ambiguità ebraica
Nella sua autobiografia del 1930, Trotskij ha cercato di minimizzare il suo essere ebreo. Le lezioni a scuola sul popolo ebraico non erano mai prese sul serio dai ragazzi, ha scritto, parlando dei compagni ebrei. Per quanto abbia riconosciuto che vi era un ambiente discriminatorio negli anni 1880 e di avere perso un anno scolastico a causa delle quote antiebraiche imposte dall’impero, ha affermato: « Nel mio animo, la nazionalità non ha mai occupato un posto importante… » Peraltro ha precisato: « Sebbene la diseguaglianza nazionale fosse probabilmente una delle cause di fondo della mia insoddisfazione nei confronti dell’ordine esistente, essa si perdeva tra tutte le altre ingiustizie sociali. Essa non ha mai giocato un ruolo preponderante, e nemmeno un ruolo cosciente nella lista delle mie lagnanze ». Si noti che Trotskij non menziona una sola volta l’espressione « ebreo » prima del quinto capitolo relativo alla sua formazione fino al 1891. Per quanto sia stato circondato da ebrei, tralascia completamente questa questione etnica e religiosa. Ma come ha potuto completamente ignorare il contesto assolutamente ebraico nel quale è cresciuto?
Nella sua autobiografia scritta nel 1999, Stepan Mikoyan, figlio dell’eminente politico di epoca stalinista Anastas Mikoyan, definisce Stalin un « antisemita militante ». Insiste però sul fatto che il dittatore trovava molte qualità nel popolo ebraico: il coraggio nel lavoro, la solidarietà di gruppo e l’impegno politico. « Provenendo però da una minoranza non russa, “il piccolo padre del popolo” sembrava sempre diffidente verso quest’altra minoranza. L’avversione di Trotskij a collocarsi in un contesto ebraico nacque probabilmente con le prime dispute del 1904, quando i rivoluzionari si posero il problema se gli ebrei dovessero essere inseriti nell’organizzazione come gruppo distinto ».
Nel 1904, una querelle nel Partito laburista socialdemocratico russo tra Julius Martov e Lenin provocò la scissione tra i Bolscevichi di Lenin e i Menscevichi di Martov. Quest’ultimo era ebreo come molti menscevichi. Al centro del dibattito che portò alla scissione del POSDR, c’era la questione di decidere se il partito laburista ebraico (il « Bund »), che era stato tra i fondatori del POSDR nel 1898, potesse continuare a esistere come un gruppo autonomo. Si trattava di un segno premonitore degli avvenimenti futuri. Alla fine i dirigenti del Bund come Mikhail Liber, che volevano avere una parte nella rivoluzione mantenendo la propria identità ebraica, vennero esiliati o fucilati negli anni 1930. Martov, da parte sua, lasciò la Russia nel 1920, constatando la « bestialità crescente degli uomini » nel corso della guerra civile scoppiata dopo la Rivoluzione. E’ morto in esilio. Alcuni bundisti ebrei sono rimasti in URSS e hanno fatto carriera. E’ il caso di Israel Leplevsky di Brest-Litovsk, ministro dell’Interno dell’Ucraina prima di essere arrestato e fucilato nel 1938, o di David Petrovsky di Berdychiv, un influente pianificatore economico fino a quando non sarà arrestato e fucilato nel 1937. Anche sua moglie, Rose Cohen, una delle fondatrici del partito comunista della Gran Bretagna venne giustiziata.
La vita di Trotskij prima della Rivoluzione la dice lunga sulle reti dei bolscevichi ebrei. Arrestato nel 1906, venne mandato in esilio dal regime zarista. Dopo essere riuscito a evadere, si rifugiò a Vienna, dove si legò d’amicizia con Adolph Joffe. Quest’ultimo, nato in una famiglia karaita della Crimea, era redattore capo della Pravda. I due uomini si opposero all’atteggiamento più clemente dei solo compatrioti ebrei Kamanev e Zinoviev nel Comitato Centrale del 1917, ponendo il veto all’inclusione di altri partiti socialisti nel governo rivoluzionario. Trotskij venne espulso dal Comitato centrale nel 1927 insieme a Zinoviev. Andò in esilio nel 1929 e venne assassinato per ordine di Stalin nel 1940. Joffe si è suicidato nel 1927; sua moglie Maria e sua figlia Nadezhda vennero arrestate e mandate nei campi di lavoro; saranno rilasciate solo dopo la morte di Stalin nel 1953.
Al crepuscolo della sua vita, mentre migliaia di ebrei comunisti venivano giustiziati nelle purghe staliniane a causa della loro troppo grande influenza, Trotskij tornò sulla questione ebraica. Quando ero giovane, ha scritto, « ero più proclive a ritenere che gli ebrei dei vari paesi avrebbero finito per assimilarsi e che la questione ebraica sarebbe così finita ». E ancora: « A partire dal 1925 e soprattutto dal 1926, la demagogia antisemita – ben mascherata, inattaccabile – è andata di pari passo con i processi simbolici ». Accusava soprattutto l’URSS di insinuare che gli ebrei erano degli « internazionalisti » attraverso processi farsa.
Vittime del loro ideale
La composizione del Comitato centrale dell’URSS era rivelatrice della grande presenza di ebrei, all’epoca, nei posti di direzione. Nel sesto congresso del Partito operaio socialdemocratico russo bolscevico e del suo Comitato centrale eletto nell’agosto 1917, cinque dei venti membri erano ebrei: Trotskij, Zinoviev, Moisei Uritsky, Sverdlov e Grigori Sokolnikov, totti di origine ucraina, ad eccezione di Sverdlov. L’anno successive vennero raggiunti da Kamenev e Radek. Gli ebrei costituirono dunque il 20 % dei comitati centrali fino al 1921, data in cui sparirono dall’organismo dirigente.
Le percentuale elevate di ebrei nei cerchi dirigenti nel corso di questi anni è proporzionale alla loro presenza nelle città, dichiarò Sergo Ordzhonikidze, membro dell’Ufficio Politico durante il 15° Congresso del partito, secondo Solgenitsin. La maggior parte degli ebrei viveva infatti nelle città a causa, non solo dell’urbanizzazione crescente, ma anche delle leggi che li avevano tenuti lontano dalle terre.
La presenza ebraica nei posti di commando si è progressivamente ridotta negli anni 1920. All’ XI Congresso nel 1922, solo Lazar Kaganovich venne eletto tra i 26 membri del Comitato centrale. Nel 1925, si contavano quattro ebrei su 63 membri. Come il resto dei loro compagni, quasi tutti sono stati uccisi nel corso delle purghe. Anche altri eletti nel 1927 e 1930 vennero fucilati, compreso Grigory Kaminsky, nato in una famiglia di artigiani ucraini. Ad eccezione di Lev Mekhlis e Kaganovich, pochi ebrei comunisti sono sopravvissuti alle purghe.
Nel processo di Mosca del 1936, molti degli accusati erano ebrei. In un gruppo di 16 comunisti di alto rango imputati in un processo spettacolo, oltre a Kamenev e a Zinoviev vi erano cinque altri ebrei.
Colmo dell’ironia, alcuni di questi bolscevichi che avevano giocato un ruolo chiave nell’esecuzione di altri, come il direttore del NKVD Genrikh Yagoda, sono stati anch’essi giustiziati. Solgenitsin stima che in questo periodo gli ebrei che occupavano posizioni importanti siano passati dal 50 % in certi settori al 6 %. Anche molti ufficiali ebrei dell’Armata Rossa sono stati vittime delle purghe. Se milioni di ebrei sono rimasti nei territori sovietici, essi non hanno mai più raggiunto simili posizione di potere in URSS.
In una lettera datata luglio 1940, Trotskij ipotizzava che i futuri eventi militari in Medio Oriente « potrebbero trasformare la Palestina in una trappola sanguinosa per diverse centinaia di migliaia di ebrei ». Aveva torto: è l’Unione Sovietica che si è rivelata una trappola sanguinosa per molti ebrei che avevano creduto di trovare la salvezza nel comunismo, e pensavano di riuscirci assimilandosi e dando prova del massimo zelo sul lavoro. Ma, al di là di questo, molti hanno finito per essere assassinati dal sistema che avevano contribuito a creare.
Un secolo dopo e nonostante il distacco temporale, è ancora difficile da capire che cosa abbia attirato tanti ebrei verso il comunismo. Le loro azioni erano impregnate di giudaismo, del senso della missione ebraica veicolata dalle nozioni di Tikkun olam (perfezionare il mondo, in ebraico, ndt) e di « luce delle nazioni » (il dovere di Israele dettato dal profeta Isaia, ndt) , o le loro azioni erano semplicemente dettate dal pragmatismo di una minoranza che cerca di integrarsi in una società? La risposta si situa da qualche parte tra le due.
Molti ebrei hanno fatto delle scelte economiche pragmatiche decidendo di partire verso il Nuovo Mondo per sfuggire alla discriminazione e alla povertà. Altri hanno scelto di esprimersi in quanto ebrei, sia attraverso l’intermediario dei gruppi socialisti ebraici, sia attraverso il sionismo. Altri ancora hanno lottato per l’uguaglianza all’interno dell’impero, per conservare la propria identità pur in una posizione di uguaglianza nei confronti dei loro compatrioti.
Tra essi, qualcuno infine ha cercato una soluzione radicale alla loro situazione e a quella della società con la rivoluzione comunista; una soluzione che escludesse altre voci come quelle del Bund o dei menscevichi, ma comprendesse solo quella del loro partito. Essi non avevano alcuno scrupolo ad assassinare i loro correligionari, e non dimostravano maggiore etica dei solo pari non ebrei. Come spiegare la loro sproporzionata presenza nella direzione della rivoluzione? Sarebbe per esempio come se la minoranza drusa in Israele costituisse la metà del gabinetto di Benjamin Netanyahu, o se la metà del governo di Emmanuel Macron fosse composta da Armeni.
Forse il solo modo di capirlo è ricordare che, durante il processo a Nelson Mandela nel 1963 a Rivonia in Africa del Sud, cinque dei 13 arrestati erano ebrei (ciò che non impediva a Israele di essere il migliore alleato del governo razzista dell’Africa del Sud, ndt), proprio come ¼ dei Freedom Riders degli anni 1960 negli Stati Uniti. Il XX secolo è stato un secolo di attivismo ebraico, spesso per cause non ebraiche. I Freedom Riders non erano impegnati come « voce ebraica per gli Afro-Americani », ma come attivisti per I diritti civili. Sembra proprio che gli ideali di giustizia e di libertà facciano parte del DNA del popolo ebreo (L’autore sembra affermare che il governo di Israele è composto da non ebrei, o da ebrei con DNA modificato, ndt).