Violenza giovanile e baby gang, ci indigniamo e basta?
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Intervento, 16 gennaio 2018 - Perché un altro svantaggio delle manifestazioni che esprimono un’indignazione fine a se stessa è che anche gli amministratori inetti possono parteciparvi e unirsi al coro di chi grida: “Denunciate; denunciate”! (nella foto, manifestazione di studenti e docenti del Liceo Caccioppoli, dopo il quinto furto subito dalla scuola)
Corriere del Mezzogiorno, 16 gennaio 2018
Violenza giovanile e baby gang, ci indigniamo e basta?
Nicola Quatrano
Il dibattito in corso su violenza urbana e degrado della città sembra non riuscire ad andare molto oltre la stupita (e angosciata) constatazione degli eventi. E, quando qualcuno prova a farlo, capita di impantanarsi in una discussione sul dito, piuttosto che sulla luna che quel dito si sforzava (inutilmente) di indicare
Sostenere che la delinquenza violenta non è fenomeno solo napoletano, non vuol dire negarne la realtà, è cercare di approfondire. Essa esiste, figuriamoci, e crea allarmi giustificati. Nasce soprattutto dal connubio nefasto tra una emarginazione giovanile, che nessuno tenta di contrastare, e le straordinarie possibilità di guadagno offerte dal mercato delle droghe. Si manifesta e si diffonde nei social, dove i suoi martiri diventano virali, come Emanuele Sibillo, oggi elevato al rango di un nuovo San Gennaro, contagiando altri giovanissimi che il rancore sociale rende disponibili al recepimento del messaggio. Detto questo, però, bisognerebbe pure interrogarsi sul che fare, cercare soluzioni, piuttosto che indignarsi, indignarsi e ancora e solo indignarsi. Indigniamoci una sola volta, suvvia, e poi cominciamo a ragionare.
Ha fatto bene Henry Woodcock a rilanciare il tema della legalizzazione della cannabis. E’ una proposta, finalmente, e anche molto concreta. E si colloca nel solco di una grande campagna internazionale che converrebbe trattare con argomenti meno datati di quelli usati da Antonio Polito su queste colonne. Con tutto il rispetto, ma Paolo Borsellino non poteva sapere delle esperienze di legalizzazione in corso oggi nel mondo, né che l’Uruguay riesce oramai a fare davvero concorrenza al mercato illegale, vendendo la cannabis a 1,30 dollari al grammo. E non ha molto senso citare studi sulle possibili conseguenze della legalizzazione sull’aumento dei consumi, quando i dati veri e concreti ci raccontano che il proibizionismo non ha ridotto di una sola unità il consumo di droghe (cresciuto ininterrottamente nel corso di quasi 40 anni di “guerra” alle suddette), ed è riuscito solo ad accrescere in modo smisurato di valore delle sostanze, incoraggiando in definitiva il business mafioso.
Sennò, va bene, non ne parliamo, lasciamo stare. Accontentiamoci del solito refrain, ripetuto, ripetuto e ancora e solo ripetuto: “Denunciate, denunciate”! Come se mettere tutti in galera fosse un modo di risolvere i problemi.
Ma sorge il dubbio che indignarsi, denunciare, piaccia più che sforzarsi di trovare soluzioni. Ed è certo più facile, e addirittura comodo, perché non interpella le responsabilità di chi si indigna. Quante volte i rappresentanti delle istituzioni locali denunciano la criminalità dei clan e pronunciano discorsi indignati contro la camorra. Nell’occasione, anche noi applaudiamo, ci sembra giusto, è un modo di stare dalla parte giusta. Ma poi vediamo che queste stesse istituzioni non fanno nulla per sgombrare i camorristi dalle case di proprietà pubblica usate come piazze di spaccio (il minimo sindacale, verrebbe da dire). E allora… potevamo farne a meno.
Lo stesso per le scuole “vandalizzate”. “Ci rubano il futuro”, gridavano gli studenti del Liceo Caccioppoli, dopo il quinto furto subito dalla scuola. Sono scesi in piazza, hanno fatto bene, per chiedere “solidarietà” e “attenzione”. Cose molto belle, ma non solide e concrete come i computer rubati. E c’è stata polemica. “La guerra ai teppisti va fatta sui banchi”, ha detto qualcuno. Altri hanno replicato che invece è giusto manifestare…. Sì, va bene. Ma come si fa ad evitare altri furti in futuro?
Le telecamere di sorveglianza, ci dicono, ma non c’è nessuno che le guardi. E allora conviene domandarsi: perché hanno abolito i custodi delle scuole?
Un custode! Ecco l’uovo di Colombo, la proposta ragionevole che potrebbe animare vertenze e manifestazioni. Chiedere una presenza nelle scuole, in grado di tenere lontani gli estranei durante le lezioni e impedire le incursioni notturne. Perché non ci sia più, non è ben chiaro. In anni passati abbiamo letto di custodi in pensione che continuavano ad occupare l’alloggio di servizio come fosse un appannaggio vitalizio. Poi piano piano, la figura è stata addirittura depennata dal mansionario.
I furti sono responsabilità dei ladri, non c’è dubbio, ma lasciare le scuole incustodite aiuta i malintenzionati, addirittura li induce in tentazione (che, come si sa, è opera del demonio). Le manifestazioni avrebbero potuto chiedere il ripristino del custode, o almeno l’affidamento del servizio ad una agenzia di vigilanza. Certo, la cosa costa, ma sarebbero soldi spesi bene, e neppure tanti, forse meno dei danni provocati dai furti sistematici. Impostare una vertenza con simili contenuti concreti servirebbe pure a “stanare” gli amministratori, la cui incuria è parte del problema.
Perché un altro svantaggio delle manifestazioni che esprimono un’indignazione fine a se stessa è che anche gli amministratori inetti possono parteciparvi e unirsi al coro di chi grida: “Denunciate; denunciate”!