Maggio 1968. Ultima fermata prima del trionfo del mercato
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Intervento, 30 luglio 2018 - Nonostante i suoi atteggiamenti e dichiarazioni di anti-imperialismo statunitense, Maggio ’68 è stato alla fine « l’utile idiota » degli interessi USA in Europa (nella foto, lo slogan del Maggio 68: "Vietato vietare")
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), giugno 2018 (trad.ossin)
Maggio 1968. Ultima fermata prima del trionfo del mercato
François Yves Damon
All’alba di un emergente impero mediatico, si è tentati di vedere nel maggio ’68 la rottura, la data di cesura che delimita il prima e il dopo.
Maggio ‘68 è proteiforme; prima di tutto parigino, poi studentesco, con un seguito di ambienti artistici, in testa la nouvelle vague – e anche di figure intellettuali, come Sartre, sempre alla ricerca di un’occasione di riscatto per la sua marginale partecipazione alla Resistenza. Col Maggio ’68, nasce ciò che Ettore Scola chiamerà il radical chic.
Dalla propaganda del Kominform, rilanciata dalle rivoluzioni cinese e cubana, alla guerra del Vietnam, François-Yves Damon, ritorna sulle influenze, le utopie e le speranze dei movimenti del maggio ’68, prima che fossero travolte dall’impero mediatico e dalla sua influenza sul tempo di cervello umano disponibile.
Maggio ‘68 è un avvenimento di origine strettamente endogena o il risultato dell’azione di forze esogene, di potenze straniere più o meno malevole?
Non è certamente facile individuare dei momenti di svolta nel caos [1] del ciclo apertosi nel 1945. Solo il ritorno nel 1958 del generale de Gaulle nel contesto della guerra di Algeria, da un lato, e i trattati istitutivi dell’Unione europea – Maastricht, Amsterdam, Nizza, Lisbona –, dall’altro, possono essere considerate in qualche modo come momenti di svolta, e solo il primo ha origini endogene. E’ un sopravvalutare gli avvenimenti di quella primavera del 1968, considerarli come un altro momento di svolta del ciclo ?
E’ da attribuirsi ai giovani ? Il picco di natalità degli anni dal 1946 al 1964 aveva già, vent’anni dopo, sovraffollato le università di ragazzi di 18-22 anni: l’effettivo studentesco, che contava 100 000 giovani nel 1945, era raddoppiato nel 1962, poi raddoppiato ancora quattro anni dopo, ed è ancora cresciuto del 25% nei due anni seguenti, superando le 500 000 unità nel 1968. Per la prima volta dopo l’ecatombe della Prima Guerra Mondiale, c’era abbondanza di giovani in Francia.
L’ampiezza delle manifestazioni si deve dunque a questa abbondanza di studenti ? In effetti solo i funerali, nel 1885, di Victor Hugo avevano visto più partecipanti – due milioni – di quelli delle manifestazioni del 13 e del 30 maggio 1968. E successivamente, solo il corteo del 1984 contro il progetto di legge Savary, che metteva in discussione l’autonomia delle scuole private, ne ha raggruppato di più.
Questi giovani anticipavano, come sostenevano, l’evoluzione verso una società dei consumi obbligati come quella descritta da Jacques Bouveresse [2] nell’ultima puntata di Cinq colonnes à la une, il 3 maggio 1968 : « Noi entriamo in un mondo moralmente chiuso e temo che le ambizioni dei giovani si limitino alla macchina e ad un appartamento confortevole, ecc. E siccome è un fenomeno di concorrenza economica, non c’è modo per opporvisi. Noi siamo naturalmente dei consumatori e dei consumatori obbligati [3] ».
Il movimento sarebbe dunque stato una mobilitazione contro questa società di consumatori e il suo corollario, il crescente controllo mediatico sulle attività umane : « quel che noi vendiamo è un po’ di tempo di cervello umano disponibile [4] » ; controllo che si ingegna d’altronde a ridurre il peso delle parti immateriali e spirituali degli individui e, in fin dei conti, lo stesso libero arbitrio.
Ma che dire in proposito degli operai in sciopero ? Infatti il proteiforme movimento di quella primavera venne animato da due distinte componenti: gli studenti da un lato, il mondo del lavoro dall’altro. L’atteggiamento di queste due componenti nei confronti di questa società dei consumi non era lo stesso.
La contestazione studentesca
La congiuntura di forte crescita e di pieno impiego – i gloriosi Trenta anni di crescita – offre l’aspetto più paradossale del contesto, soprattutto se si paragona ai tassi di disoccupazione della fine del XX secolo e di questi primi decenni del XXI. Nei mesi, perfino gli anni, che hanno preceduto quel maggio, la preoccupazione della disoccupazione non toccava quasi per niente gli studenti il cui movimento non aveva motivazioni di carattere economico.
In occasione degli eventi, la componente studentesca fu accompagnata da ambienti artistici, soprattutto cinema, cineasti della nouvelle vague in testa: l’edizione 1968 del Festival di Cannes, chiusa il 19 maggio, non assegnò premi. Alcune figure intellettuali davano prestigio al movimento: Sartre, sempre alla ricerca di una occasione di riscatto per la sua partecipazione marginale alla Resistenza; Louis Althusser, che propose, in via d’Ulm (sede della Ecole Normale Superieure), una rilettura di Marx che avrebbe dovuto accelerare l’avvento di una rivoluzione mondiale, ecc.
Una tale impresa di rilettura era il prodotto della propaganda antioccidentale e anticapitalista del Komintern prima della Seconda Guerra Mondiale, poi del Kominform, rilanciata (dissolto quest’ultimo) dal contributo delle rivoluzioni cubana e cinese. Una propaganda che riuscì a penetrare nei cervelli più vulnerabili, quelli cioè più narcisistici, degli intellettuali [5] e degli artisti. Per loro, legati a schemi politici elementari, era buona qualsiasi cosa si levasse contro i malefici Stati Uniti. Questi conformisti e compagni di strada si abbandonarono senza rischi personali al piacere della contestazione e alla pantomima rivoluzionaria consentita dalla democrazia parlamentare che essi aborrivano e definivano « borghese » [6]. Ritratti di questa sinistra culturale sono stati dipinti da Tom Wolfe nel 1970 e da Ettore Scola nel 1980, rispettivamente in Radical chic [7] e La Terrazza.
Il passaggio all’atto ha richiesto l’inserimento di un lievito esogeno negli spiriti surriscaldati dalla sovrappopolazione studentesca, sul modello di agitazione dei campus statunitensi e della sua miscela esplosiva: in ordine alfabetico, cannabis – il numero di studenti statunitensi che ne consumavano passò dal 5% nella primavera 1967 al 22% della primavera 1969 [8]- guerra del Vietnam e rivoluzione sessuale (il cui riferimento era Die Sexual Kulturkampf [9] de Whilelm Reich ; una versione inglese circolava da vent’anni nei campus statunitensi [10], mentre bisognerà attendere il 1982 per averne una traduzione in francese). E’ questo cocktail che suscitò il « Desiderio di rivoluzione [11]». Ma fu la guerra del Vietnam a costituire il motore di radicalizzazione politica importata dai campus USA.
La guerra francese di Indocina si era conclusa il 7 maggio 1954 a Dien Bien Phu con la vittoria del Vietminh e la disfatta del nostro esercito. Alla pace mancata che la Conferenza di Ginevra aveva creduto, quello stesso anno, di promuovere dividendo il Vietnam in due entità, da una parte e dall’altra del 17° parallelo, seguì la guerra tra questi due Stati. Gli Stati Uniti vi intervennero ufficialmente a partire dal 1964 al fianco dei Sud Vietnamiti. Le forze nord-vietnamite presero d’assalto, il 22 gennaio 1968, la base USA di Khe Sanh, ai confini del 17° parallelo, e lanciarono il 30 gennaio l’offensiva del Têt (nuovo anno lunare vietnamita) contro le forze del Sud e del loro alleato USA.
Nessuna guerra ha ancora mobilitato tanti giornalisti come quella del Vietnam; nessuna guerra ha regalato tante immagini, soprattutto il Têt e Khe Sanh, agli spettatori delle televisioni a colori del mondo intero. Con la colonna sonora dei concerti di Joan Baez, Bob Dylan e Jimmy Hendrix. Le sale del quartiere latino proiettavano dalla fine di dicembre 1967 il film “Loin du Vietnam”, realizzato da un collettivo di autori (Jean-Luc Godard, Joris Ivens, William Klein, Claude Lelouch, Chris Marker, Alain Resnais) che voleva essere un’opera di « sostegno al popolo vietnamita in lotta contro gli Stati Uniti ». Fu durante queste proiezioni e i dibattiti che seguivano che molti studenti, più che con lo studio e la militanza nelle organizzazioni, prendevano una coscienza antimperialista, carburante principale della contestazione.
La guerra di Algeria, per quanto conclusa da sei anni, proiettava ancora la sua ombra sul movimento di maggio perché fu essa a fare da crogiolo e a creare l’atmosfera, le petizioni, le manifestazioni e i cortei – contro la tortura, contro « l’esercito complice », contro l’OAS – e l’appoggio, anche attivo, agli Algerini insorti contro il potere coloniale, a contatto coi quali si formarono molti dirigenti dei sindacati studenteschi e degli insegnati, UNEF (Union nationale des étudiants de France) e SNESUP (Syndicat national des enseignants du supérieur) soprattutto.
Le manifestazioni vennero in un primo momento guidate da questi due sindacati. Dopo un preludio il 22 marzo a Nanterre [12], fu un intervento poliziesco, il 3 maggio, contro un assembramento antifascista, i « fachos » – i grandi lupi cattivi delle facoltà di lettere – all’interno della Sorbonne che diede avvio al ciclo di manifestazioni. Poi il movimento studentesco si strutturò rapidamente in tre parti.
– La prima, tanto eteroclita quanto politicizzata, forniva gli elementi violenti, soprattutto i troskisti della Jeunesse communiste révolutionnaire fondata da Alain Krivine dopo la sua espulsione dall’UEC nel1966, che voleva ripetere il 1917 in meglio. C’era anche qualche maoista, ma quelli che avevano seguito il corso di Althusser, e preparavano l’estensione alla Francia della rivoluzione cinese, guevarista o albanese, furono presi in contropiede da questo movimento al quale essi non accordavano nemmeno lo statuto di fase iniziale. I maoisti appariranno solo negli anni successivi. La rivoluzione culturale furoreggiava tuttavia negli ambienti intellettuali e artistici parigini alla moda, affascinati all’associazione delle due parole, ma senza coglierne in alcun modo la natura di colpo di Stato – montato da Mao – accoppiato con le purghe ordinarie delle dittature comuniste.
Più tardi, quando si incroceranno, i troskisti tratteranno i maoisti da « stalinisti » ; questi ultimi qualificheranno i primi come « revisionisti ». Henri, nel film La Chinoise[13], viene escluso dal gruppo per « revisionismo » dai maoisti.
« Alla fine è il libretto rosso
Che ha fatto in modo che tutto sia smosso
La rivoluzione non è un pranzo di gala
La bomba A una tigre di carta
Le masse sono i veri eroi
Gli yankee uccidono e io faccio Mao Mao[14] ».
La gran parte di questa prima parte proveniva tuttavia dalla nebulosa anarchica : ai duri, eredi della tradizione di Ravachol e pronti a lanciare sanpietrini, si opponevano i più moderati, tipo Brassens o Pied-nickelé. Tra i due emerse la figura più rappresentativa di quella primavera: Daniel Cohn-Bendit, insolente diavoletto, leader del « Mouvement du 22 mars » nella facoltà di Nanterre, e diventato poi la scintillante incarnazione dello slogan “Vietato vietare/Godere senza freni”. Seguiva una galassia di gruppi dalle diverse motivazioni: guevaristi, terzomondisti, ecc.
– La seconda parte, altrettanto politicizzata come la prima, ma poco portata alla lotta di strada, sognava l’autogestione.
– La terza parte, il grosso della truppa, seguiva gli altri e richiamava, nei grossi cortei studenteschi, i giovani universitari e liceali, attirati dagli aspetti anti-autoritari e festosi del programma.
Per quattro settimane, i gruppi della prima parte si dedicarono a mimare la rivoluzione. Assai settari, non avevano altro in comune se non il desiderio di venire alle mani coi rappresentanti dell’autorità, gendarmi e poliziotti. Disselciavano le strade, erigevano barricate e invocavano i grandi avi: il Terrore, i comunardi, i bolscevichi, gli spartachisti, Guevara, Ho Chi Min, Mao, ecc. Anche Guevara e il suo sigaro facevano furore, proprio come la Rivoluzione culturale. Utilizzavano una vecchia tattica: occupare la prima linea delle manifestazioni nel cui corso, aggredendo le forze dell’ordine, contavano di provocare una repressione sufficientemente violenta – non ci riusciranno – per trascinare le altre due parti e, perché no, la mitica classe operaia che erano persuasi restasse rivoluzionaria, ma le venisse impedito di unirsi a loro dal Partito comunista.
Il mondo del lavoro
Anti-autoritario, il movimento prese subito di mira ciò che incarnava il paternalismo austero e la statura storica del presidente della Repubblica, il generale de Gaulle. Fu a lui che si rivolgeva lo slogan « è vietato vietare » di quella primavera, slogan che non potrebbe essere tenuto separato dall’altro, il « Godete senza limiti » della società dei consumi.
Come il generale (de Gaulle), anche l’altro importante agente dell’ordine sociale che era il Partito comunista francese vacillò sotto i colpi del movimento. « Il Partito », come lo si chiamava allora, manteneva la sua aura della Rivoluzione russa del 1917, arricchita dalla vittoria sovietica del 1945 sulla Germania nazista.
Ignorando i gulag, le purghe, l’invasione della Polonia spartita con Hitler nel 1939, l’assassinio degli ufficiali polacchi a Katyn, la compressione dei diritti detti borghesi, o formali, la quasi annessione degli Stati dell’Europa centrale e la messa sotto tutela dei loro popoli, oltre alle catastrofi, demografiche e ambientali, che colpirono l’Unione Sovietica, il PCF affermava di attenersi alle performance proclamate della pianificazione sovietica; i suoi aderenti provenivano dai servizi pubblici e dalla imprese francesi statalizzate, l’estensione del cui ambito costituiva l’essenziale del suo programma politico.
Il Partito comunista conobbe il suo picco elettorale nel 1956, ottenendo il 28% dei voti. Ma dovette, in quell’anno, subire, a febbraio, il discorso di Kruscev che denunciava i crimini di Stalin, e in ottobre l’insurrezione di Budapest schiacciata dai carri armati sovietici. Dovette poi fare i conti, a partire dal 1960, con lo scisma cino-sovietico e contenere in ultimo l’UEC (Union des étudiants communistes) che gli rimproverava di non mobilitarsi sufficientemente contro la guerra imperialista USA in Vietnam. Nel maggio 1968, dovette anche digerire l’intervento delle forze armate del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia contro la Primavera di Praga. Il PCF conservava però, attraverso il sindacato CGT, un’influenza senza grande concorrenza sul mondo del lavoro, seconda componente di quella primavera.
Lo sciopero è parte integrante della cultura sindacale francese. A maggio, furono le rivendicazioni salariali e le penose condizioni di lavoro a costituire gli elementi mobilitanti per questa seconda componente: la speranza di vita degli operai specializzati (OS) non superava i 61 anni, mentre il loro pensionamento era fissato a 65 anni.
Le fabbriche SAVIEM di Caen inaugurarono, duramente, a gennaio, il ciclo degli scioperi del 1968. Il più lungo, quattro settimane, avrà luogo a Sud Aviation, dove i dipendenti, cui si erano uniti gli agenti dei servizi di sicurezza aerei e anti-incendio, i controllori di volo e gli impiegati della Camera di Commercio dell’aerostazione, bloccarono l’aeroporto di Marignane. Quelli che non scioperavano, ridotti ad uno stato tecnico di disoccupazione, andavano a fare i bagni nello stagno di Berre, ancora abbastanza pulito all’epoca. I dipendenti di un gran numero di imprese private, meno avvezze agli scioperi, si unirono al movimento, come gli stabilimenti Wonder di Louviers e Saint Ouen, dove lo sciopero durò tre settimane.
Il picco del movimento si raggiunse durante la manifestazione del 13 maggio, il giorno del tutto è possibile, per quanto gli slogan molto elettoralistici dei partiti politici di sinistra – « Dieci anni, adesso basta ! » – fossero ben lontani da quelli dei gauchisti – « Elezioni, trappola per fessi ! ». La marcia del 17, dalla Sorbona alla « fortezza operaia » dell’isola Seguin in sciopero si chiuse peraltro con un fallimento: bene inquadrati dal sindacato CGT, gli operai non aprirono i cancelli agli studenti: le due componenti [15] non si fonderanno.
La seconda parte politica della contestazione considerava l’autogestione come l’unica alternativa al trionfo del mercato che si andava profilando all’orizzonte. Un meeting ne riunì i fautori il 27 maggio allo stadio Charléty, con la speranza di fornire uno sbocco politico a questa alternativa. Ma gli unici politici ad essere tollerati furono Pierre Mendès-France e Michel Rocard – la seconda sinistra, i fautori delle regole di mercato contro la deregulation – tanta era la sfiducia verso gli altri, soprattutto Mitterrand. Ventitré anni dopo, quest’ultimo affonderà definitivamente la seconda sinistra e l’opzione del mercato regolato, silurando Rocard con la candidatura di Bernard Tapie alle elezioni europee del 1994 [16].
Dopo i fallimenti di Billancourt e di Charléty, i violenti, diventati rabbiosi, vennero lasciati a loro stessi. Senza una strategia di presa del potere, e soprattutto privi di mezzi per farlo, incapaci di alleanze, non riuscirono ad andare oltre la fase tattica dello scontro con le forze dell’ordine.
Grazie al sangue freddo di queste ultime, polizia e gendarmeria, e alla indulgenza del potere politico – almeno nei confronti degli studenti [17 ]-, la repressione si mantenne misurata e il movimento contò poche vittime, al contrario di quanto avvenuto in Messico – 250 morti – o, ancor peggio, alla rivoluzione culturale tanto adulata. Il 1968 fu infatti l’anno della deportazione nelle allora miserabili campagne cinesi di 16 milioni di giovani dalle città cinesi. E’ stato molto più confortevole e infinitamente meno pericoloso mimare la Rivoluzione in Francia, col libretto rosso in mano, che subirla in Cina, in nome dello stesso opuscolo [18].
Un primo discorso televisivo del generale de Gaulle, il 24 maggio, restò senza esiti, ma l’indifferenza della maggior parte della popolazione si trasformava progressivamente in ostilità verso il disordine – la « chienlit ». L’ostilità si manifestò il 30 con la gigantesca manifestazione degli Champs Elysées, di sostegno al generale. Quest’ultimo, rafforzato da una visita, alla vigilia, resa al comando delle Forze francesi in Germania, annunciò la sera stessa, durante un secondo discorso, la sua volontà di restare nelle sue funzioni, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e l’indizione di elezioni legislative. La primavera si chiuse con la grande vittoria gaullista di giugno.
Le trattative aperte a Grenelle dal Governo condussero, lo stesso giorno anche a Charléty, ad accordi che respingevano, nonostante sostanziali concessioni, la maggior parte delle rivendicazioni espresse dalle assemblee dei lavoratori in sciopero. Ci fu delusione per l’aspetto strettamente quantitativo – per quanto comportasse aumenti salariali fino al 35% - di queste conquiste.
L’evocazione, cinquanta anni dopo, di questa epoca resta per gli scioperanti ancora in vita piena dei ricordi amari delle illusioni perdute e delle industrie sparite: i detriti del bacino minerario sono diventati patrimonio dell’UNESCO, l’estrazione del ferro della Lorena è oramai cessata e la maggior parte dei siti siderurgici, come quello di Usinor Denain sono chiusi. L’industria laniera di Roubaix, visitata nel 1957 dalla regina d’Inghilterra, non esiste più ; le officine Motte sono diventate Archivio del mondo del lavoro ; Renault ha lasciato l’isola Seguin. Kodak e Chocorêve sono sparite.
Nel 1967, un ragazzo alzandosi dal suo banco di scuola, levò in alto la sua penna e la spezzò ostensibilmente in due, significando che in quel modo poneva termine alla sua scolarizzazione per entrare nel mondo del lavoro dove aveva già trovato un impiego. Dieci anni dopo, studenti della stessa età guardavano con tristezza le finestre sbarrate della fabbrica di fronte alla loro scuola in una città del Nord vicina alla frontiera belga. Il posto di frontiera si chiama « Risquons tout ». Avevano contato di essere assunti, come i loro padri, ma la chiusura definitiva della fabbrica, come quella di altre, li costringeva a proseguire una scolarizzazione che non desideravano.
Se le due componenti non si sono fuse, o solo un poco, è perché in realtà la classe operaia non è – e non lo è mai stata – per nulla rivoluzionaria: perché i gauchisti del movimento studentesco pretendevano di abbattere la società dei consumi cui aspirano gli operai che non ne beneficiano ancora. Le due componenti del movimento hanno dunque suonato, come nel film Prova d’Orchestra di Fellini [19], il loro spartito separatamente.
Là dove il Partito comunista e la CGT erano dominanti, come da Renault, riuscirono infatti a impedire ogni contatto tra gli scioperanti da loro controllati e quelli che definivano gauchisti, cosa all’epoca agevole giacché il mondo del lavoro e degli scioperi era ben lontano dal Quartiere Latino e dagli studenti, e più ancora dagli intellettuali e dagli artisti, soprattutto in provincia.
Incontri tra le due componenti vi sono pure stati, soprattutto attraverso la seconda sinistra dell’autogestione. Il PSU, la CFDT, o la JEC (Jeunesse étudiante chrétienne) da un lato e la JOC (Jeunesse ouvrière chrétienne) dall’altro, furono all’epoca attivissimi. Non hanno avuto un futuro.
Eredità
Il maggio ’68 è dunque un episodio proteiforme, insieme confusione mimata e periodo di disordine – perfino isteria : « CRS : SS » – e di violenza – ben contenuta dalla stessa CRS (forze di sicurezza, ndt). Ma veicolò anche una gioia di vivere, quella della giovinezza trionfante e fu portatore di speranze tanto generose – come l’autogestione – che utopistiche, rinunciare alle quali è stato talvolta doloroso, come illustrano le patetiche immagini del film girato da Pierre Bonneau sulla ripresa del lavoro alle fabbriche Wonder.
Maggio ‘68 è parte di una convulsione mondiale e, nello stesso tempo, si iscrive nella tradizione dei grandi movimenti sociali francesi (1936, 1947), dei quali costituisce un picco per la sua ampiezza: perché un intero paese, o quasi, smise di lavorare. E’ questa ampiezza, e le speranze suscitate, che conferiscono al maggio 1968 la dimensione necessaria per essere ritenuta una data di cesura – l’ultima fermata prima del trionfo del mercato – tra la Francia di ieri [20] e lo sconvolgimento sistemico del ciclo aperto nel 1945.
Ma questa dimensione proviene essa stessa da un paradosso: a onta, infatti, della sua retorica rivoluzionaria, il movimento traduceva le aspirazioni profonde, edoniste e individualiste, della società. Maggio ’68 è stato rivelatore di queste aspirazioni fino a quel momento contenute : voglia di godimenti molto ben sfruttata dai promotori mediatici – i mercanti di cervelli – della mercificazione e del suo corollario, l’anti-autorità. Quest’ultimo è riuscito a inibire perfino il detentore legittimo dell’autorità, vale a dire lo Stato, che si vede oggi esitante a esercitarla, per esempio nei territori detti perduti della Repubblica.
In occasione di questi avvenimenti, l’URSS e la Cina si sono accontentati di vedere la loro propaganda fare breccia in cervelli vulnerabili e individui colpiti da cecità. Nessun’altra influenza da parte loro è stata registrata dai nostri servizi di informazione. Senz’altro perché Mosca era allora troppo occupata a digerire la Primavera di Praga e Mao a consolidare il suo colpo di Stato.
Non fu lo stesso per gli USA. Essi hanno fornito, attraverso i loro campus, l’influenza esogena sul movimento studentesco che, indebolendone l’autorità, ha affrettato le dimissioni del generale de Gaulle, principale, se non unico, ostacolo all’ingresso nella Comunità europea del Regno Unito, che considerava come il « cavallo di Troia » degli USA – ed egli fu anche, col suo discorso di Phnom-Penh nel 1967, l’unico capo di Stato europeo a stigmatizzare pubblicamente l’azione in corso degli Stati Uniti in Vietnam.
I successori del generale, per lo più atlantisti, non tardarono ad aprire la porta dell’Europa ai Britannici, porta attraverso la quale si riverseranno più tardi le tesi neoliberiste anglosassoni – Reagan + Thatcher –, vale a dire la polarizzazione dei redditi, la canalizzazione di essi verso i più fortunati a scapito delle classi medie, fatte precipitare ai livelli delle categorie più modeste. Nonostante i suoi atteggiamenti e dichiarazioni di anti-imperialismo statunitense, Maggio ’68 è stato alla fine « l’utile idiota » degli interessi USA in Europa.
Note:
[1] Jacques Bouveresse : « L’impénétrabilité qui caractérise la réalité d’aujourd’hui », La voix de l’âme et les chemins de l’esprit, Seuil, 2001, p. 29.
[2] Professore onorario del Collège de France
[4] Patrick Le Lay, Amministratore delegato del Gruppo TF1 citato da L’Expansion – L’Express dell’11 luglio 2004.
[5] Alain Besançon : « Per quanto riguarda la Francia, io credo che permanga sempre questo desiderio, molto fermamente radicato in molti intellettuali, di ricominciare la Rivoluzione. E poi, in molti di loro, c’è anche un gusto del sangue. Non è sempre simpatico un intellettuale francese ! Qualcuno di loro può perfino talvolta essere affascinato dalla violenza ». Intervista, Le Figaro, 23 marzo 2018
[6] Jeanine Verdès-Leroux, Le Parti communiste, les intellectuels et la culture, au service du parti, Fayard-Editions de Minuit 1985 ; e Le Réveil des somnambules, 1956-1985, Fayard/Editions de Minuit, 1987. Stephen Koch, La Fin de l’innocence. Les intellectuels d’Occident et la tentation stalinienne, Grasset, 1995 (cfr. capitolo 9).
[7] Radical Chic and Mau-Mauing The Flak Catchers, Bantam Books, 1970.
[9] 1936.
[10] Questa traduzione – The Sexual Revolution – è disponibile dal 1945, la traduzione francese è stata pubblicata da Christian Bourgois nel 1982.
[11] Jean Paul Dollé, Le désir de révolution, Grasset, 1972.
[12] Giornata raccontata da Robert Merle in Derrière la vitre, Gallimard, 1970.
[13] Film di Jean Luc Godard, 1967 (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k441822z/f93.image)
[14] Claude Channes, canzone del film La Chinoise.
[15] Vi si possono aggiungere i funzionari in sciopero dei servizi pubblici, ma essi non sono accreditati di alcun apporto rivoluzionario dalla vulgata marxista dei gauchisti.
[16] Michel Rocard, Si la gauche savait, Robert Laffont 2007, p. 405 : « L’appoggio di Mitterrand a Tapie era talmente evidente da eccitare l’intera stampa. Tapie ha dunque beneficiato di una campagna di stampa assolutamente demente. E io, di colpo, mi sono fatto piegare »
[17] Claire Brière-Blanchet, Voyage au bout de la révolution de Pékin à Sochaux, Fayard 2009.
[18] « La rivoluzione non è un pranzo di gala; non si fa come un’opera letteraria, un dipinto o un ricamo ; non può compiersi con altrettanta eleganza, tranquillità, delicatezza, o altrettanta dolcezza, amabilità, cortesia, moderazione e generosità d’animo. La rivoluzione è una sollevazione, un atto di violenza, attraverso la quale una classe ne rovescia un’altra » .
[19] 1978.
[20] Jean-Pierre Le Goff, La France d’hier, Stock, 2018.