Rosa Luxemburg, rivoluzionaria impegnata contro la guerra, assassinata esattamente un secolo fa
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Intervento, 19 gennaio 2019 - Esattamente cento anni fa, il 19 gennaio 1919, Rosa Luxemburg (nella foto) veniva assassinata, con l’avallo dei socialdemocratici tedeschi che l’avevano espulsa dal partito nel gennaio 1917. Il suo corpo venne gettato in un canale....
Le Grand Soir, 19 gennaio 2019 (trad. ossin)
Rosa Luxemburg, rivoluzionaria impegnata contro la guerra, assassinata esattamente un secolo fa
Nadine Rosa-Rosso
Esattamente cento anni fa, il 19 gennaio 1919, Rosa Luxemburg veniva assassinata, con l’avallo dei socialdemocratici tedeschi che l’avevano espulsa dal partito nel gennaio 1917, opponendosi al voto a favore dei crediti di guerra. Il suo corpo venne gettato in un canale. Karl Liebknecht, primo deputato tedesco ad avere votato contro i crediti di guerra, non ottemperando agli ordini del suo partito, venne assassinato nello stesso giorno. Luxemburg aveva trascorso diversi anni in prigione, condannata per "tradimento", essendosi opposta alla macelleria inter-imperialista della Prima Guerra Mondiale. Per tutta la sua vita, Rosa è restata una rivoluzionaria intransigente, denunciando instancabilmente la guerra che si avvicinava. Per questo è stata anche incriminata per "incitamento pubblico alla disobbedienza".
Dopo la guerra, ha sostenuto i movimenti rivoluzionari in tutta Europa, e in Germania dove aveva scelto di militare.
In tutta Europa, gli operai e i contadini che tornavano dal fronte sapevano che milioni di uomini erano morti in una guerra che non era la loro, ispirata dalla sete di profitto e in particolare dalla volontà delle grandi potenze di spartirsi le colonie e la dominazione dei popoli. In molti paesi la gente si ribellava e la rabbia era al culmine. Venne allora accordato in diversi paesi, compreso il nostro, il suffragio elettorale universale (ma con esclusione delle donne), perché i governanti temevano la rivoluzione, ispirata dall’esperienza sovietica.
Il voto a favore dei crediti di guerra da parte dei partiti socialdemocratici costituì allora il punto di rottura nel movimento operaio tra coloro (i futuri partiti socialisti) che appoggiavano il regime imperialista e coloro (i futuri partiti comunisti) che vi si contrapponevano.
Ecco cosa dichiarò ai suoi giudici, il 20 febbraio 1914, a Francoforte :
« Fin da subito, mi preme fare una precisazione. Io sono del tutto pronta a fornire al signor Procuratore e a voi, signori Giudici, tutti i chiarimenti necessari. Per andare dritti al punto, tengo a dichiarare che quanto il Procuratore, sulla scorta delle relazioni dei principali testimoni, ha descritto come il mio modo di pensare, come le mie intenzioni e i miei sentimenti, è niente altro che una caricatura piatta e limitata, tanto dei miei discorsi che dei metodi di agitazione socialdemocratici in generale. Ascoltando con attenzione le dichiarazioni del Procuratore, non ho potuto trattenermi dal sorridere dentro di me. Mi dicevo: ecco ancora un esempio classico di come non occorra possedere una cultura formale per cogliere nella loro sottigliezza scientifica e nella loro profondità storica i modi del pensare socialdemocratico, per capire le nostre idee in tutta la loro complessità, dal momento che ciò che preclude questa capacità di comprensione è solo l’appartenenza ad una data classe sociale. Se, Signori Giudici, di tutte le persone che hanno partecipato alle riunioni che tenevo, voi aveste interrogato l’operaio più frustrato, vi avrebbe dato tutt’altra immagine, tutt’altra impressione di quanto io avevo detto. Sì, gli uomini e le donne più semplici del popolo lavoratore sono senza dubbio in grado di comprendere le nostre idee che, nel cervello di un procuratore prussiano, si riflettono come in uno specchio deformante. Vorrei ora dimostrare quanto ho detto esaminando qualche punto specifico. […]
Ma vengo al punto essenziale dell’accusa. Ecco il rimprovero principale che mi fa il Procuratore: io avrei, nelle dichiarazioni incriminate, esorato i soldati, in caso di guerra, a non sparare sul nemico. E’ giunto a tale conclusione attraverso una deduzione che gli è sembrata di una logica stringente. Ecco il ragionamento: dato che io facevo dell’agitazione contro il militarismo, dato che volevo impedire la guerra, non avrei potuto evidentemente imboccare altra strada, non potevo propormi altro mezzo efficace che non fosse questo appello rivolto direttamente ai soldati: se vi daranno l’ordine di sparare, non sparate. Non si tratta, signori giudici, di una conclusione giusta, di una conclusione convincente, di una logica irresistibile! Consentitemi dunque di dichiaralo a voi: questa logica e queste conclusioni appartengono al signor Procuratore, non a me, non alla socialdemocrazia. Su questo punto vi chiedo una particolare attenzione. Io affermo: la conclusione che l’unico mezzo efficace per impedire la guerra sarebbe quello di rivolgersi direttamente ai soldati invitandoli a non sparare, questa conclusione non è che l’inverso della concezione secondo cui va tutto per il meglio nello Stato fino a quando il soldato obbedisce agli ordini del superiore, secondo cui – insomma – il fondamento della potenza dello Stato e del militarismo è l’obbedienza passiva, l’obbedienza assoluta del soldato. Questa concezione del signor Procuratore si armonizza perfettamente, e la completa, con quella del comandante supremo degli eserciti, recentemente divulgata in via ufficiale.
Ricevendo il re dei Greci a Potsdam il 6 novembre dell’anno scorso, l’imperatore ha detto che il successo degli eserciti greci dimostra che « i principi cui si ispirano il nostro stato maggiore generale e le nostre truppe sono sempre garanzia di vittoria se vengono applicati correttamente ». Lo stato maggiore coi suoi « principi » e l’obbedienza passiva del soldato, sono queste le basi della strategia militare e la garanzia della vittoria. Ebbene, noi altri socialdemocratici, noi non condividiamo questo modo di vedere le cose. Noi pensiamo al contrario che non sono solo l’esercito, gli « ordini » dall’alto e l’« obbedienza » cieca dal basso che decidono dell’inizio e della fine di una guerra, ma che sia la grande massa del popolo lavoratore a decidere, a dover decidere. Noi siamo dell’avviso che non si possa fare una guerra se non quando, e per il tempo in cui, la massa lavoratrice l’accetti con entusiasmo perché considera questa guerra come una guerra giusta e necessaria, o almeno la tolleri con pazienza. Se al contrario la grande maggioranza del popolo lavoratore giunge alla conclusione – e far nascere questa convinzione, sviluppare questa coscienza, è appunto il compito che noi, socialdemocratici, ci assegniamo – se, dicevo, la maggioranza del popolo giunge alla conclusione che le guerre sono un fenomeno barbaro, profondamente immorale, reazionario e contrario agli interessi del popolo, allora le guerre diventano impossibili – anche se in un primo tempo i soldati continueranno ad obbedire agli ordini dei loro capi! Secondo la concezione del procuratore, è l’esercito che fa la guerra; secondo la nostra, è il popolo nel suo insieme. Spetta al popolo decidere della guerra e della pace. La questione dell’esistenza o della soppressione del militarismo attuale, è la massa degli uomini e delle donne lavoratrici, dei giovani e dei vecchi, che può risolverla e non questa piccola porzione di popolo che si rifugia, come si è detto, nell’elmo del re ».
In onore di questa donna e della lotta dei Gilet gialli, ho pubblicato l’analisi di Rosa Luxemburg sullo sciopero generale in Belgio, un testo da (ri)leggere assolutamente !