A ciascuno i propri diritti umani
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Intervento, 24 dicembre 2019 - Per i diritto-umanisti occidentali, il maggior evento planetario degli ultimi due decenni, vale a dire lo sradicamento della povertà nella Repubblica Popolare cinese, suscita meno interesse dei fantomatici campi di concentramento nello Xinjiang e della spazzatura rovesciata da giovani imbecilli nella metropolitana di Hong Kong...
Oumma, 15 dicembre 2019 (trad.ossin)
A ciascuno i propri diritti umani
Bruno Guigue
Nel suo libro intitolato “Destinati alla guerra”, il professore universitario statunitense Graham Allison si chiede come gli Stati Uniti saranno in grado di controllare l’ascesa della Cina. Non sarà con una guerra, riconosce l’autore, giacché la potenza militare cinese è dissuasiva e, in caso di scontro, i danni provocati agli uni e agli altri sarebbero insopportabili. E nemmeno sarà sul terreno dell’economia, giacché su questo terreno – stima Graham Allison – i Cinesi hanno già superato l’ex prima potenza planetaria e c’è ogni ragione di pensare che questo vantaggio sarà confermato negli anni a venire.
Bisogna quindi che gli Stati Uniti si rassegnino alla vittoria del loro nuovo avversario sistemico nel momento in cui Mike Pompeo, il capo della diplomazia statunitense, designa il partito comunista cinese come il «principale nemico» del suo paese? Graham Allison risponde negativamente. Se non ci si può aspettare niente da un conflitto armato perché sarebbe suicida, né da una competizione economica persa in partenza, resta però un’area nella quale Washington può compensare la propria inferiorità – dice – e quest’area è quella dei «diritti umani».
Come in passato nei confronti dell’Unione Sovietica, la litania dei «diritti umani» è il carburante ideologico della nuova Guerra Fredda. Stando a quanto dicono i responsabili statunitensi, e questa narrazione è rilanciata da una stampa occidentale servile, i Cinesi commetterebbero orrori innominabili contro il loro stesso popolo. Nello Xinjiang, regione autonoma del Nord-Ovest cinese, «milioni» di Uiguri sarebbero rinchiusi e torturati nei campi di concentramento. Però quest’accusa grottesca è stata smentita da Pechino, e da decine di paesi musulmani che approvano la politica preventiva e repressiva adottata dalla Cina contro il terrorismo di importazione made in CIA.
A Hong Kong, mentre si svolgevano le manifestazioni popolari che hanno scosso l’ex colonia britannica, la stampa occidentale profetizzava un bagno di sangue analogo al «massacro» di Piazza Tienanmen. Nonostante le provocazioni di agitatori estremisti apertamente sostenuti dagli Stati Uniti, la gestione dell’ordine pubblico da parte della polizia di Hong Kong si è distinta, al contrario, per la sua moderazione, offrendo un contrasto assoluto con la violenza scatenata nello stesso periodo in Francia contro i Gilet Gialli, con decine di migliaia di arresti, e quei 200 feriti gravi e 25 mutilati che portano l’impronta della nostra bella «democrazia» e che non ha visto alcun equivalente in Cina, un paese che pure viene definito dall’Occidente una «dittatura totalitaria».
Così la propaganda inventa un mondo immaginario nel quale la coscienza occidentale vergine e pura, credendo di denunciare turpitudini commesse da altri, agita solo fantasmi. Essa eccelle nell’arte di fabbricare fatti inesistenti, anticipare eventi inverosimili e sostituire, alla realtà dei fatti, una realtà fantastica. Ed ogni volta, ad ogni bugia, questa propaganda agita i «diritti umani» come Mosè brandiva le Tavole della Legge. Ed ogni volta, un Occidente drogato di moralismo distribuisce castighi e ricompense, come fosse il depositario universale di questi «diritti umani» che tanto facilmente coincidono coi propri interessi.
Ci si chiede, peraltro, a che titolo un paese come gli Stati Uniti possa giudicare la politica interna degli altri paesi in nome di principi umanistici. Fondato da coloni schiavisti e genocidi che si consideravano popolo eletto, questo Stato ha soprattutto brillato nella sua breve storia per la sua capacità di violare i diritti dell’uomo non statunitense e dell’uomo non bianco, anche a costo di massacrare intere popolazioni quando non si mostravano recettive al messaggio salvifico. Come ogni altra, anche la dottrina dei diritti dell’uomo non vale niente se si accerti che la sua applicazione giustifica degli orrori. E se i diritti umani sono «universali e imprescrittibili», coloro che li hanno sempre sulla punta della lingua hanno soprattutto dato dimostrazione che non sono né l’uno né l’altro.
E’ legittimo, comunque, chiedersi perché la dottrina dei diritti dell’uomo sia uno strumento di propaganda tanto comodo. Si potrebbe ovviamente rispondere con la tesi dello stravolgimento perverso. Se la dottrina finisce col giustificare quel che sembra condannare, è perché le potenze l’hanno «sviata» dal suo senso originale. La dottrina sarebbe certamente pura, impuro ne sarebbe l’uso che se ne fa. E’ quello che dice Rousseau a proposito delle leggi. Idealmente, esse sono l’espressione della volontà generale, hanno di mira l’interesse comune. Ma «nei fatti, dice, le leggi sono utili ha chi possiede e nuocciono a chi non ha niente». Perché nel mondo reale sono i potenti a fare le leggi e, in una società ingiusta, le leggi non possono essere giuste.
Ebbene, non si può fare il medesimo ragionamento a proposito dei diritti dell’uomo. Non ci si può accontentare di dire, per esempio: i diritti dell’uomo sono una cosa eccellente, ma gli Stati Uniti ne stravolgono il vero significato, li utilizzano per giustificare l’ingerenza negli affari delle altre nazioni e coprire il loro imperialismo con gli orpelli dell’umanismo. Naturalmente si tratta di un’affermazione vera; sì, gli Stati Uniti strumentalizzano la dottrina dei diritti dell’uomo. Ma non basta dire questo. Perché, se questa strumentalizzazione è possibile, vuol dire che c’è qualcosa nella dottrina dei diritti dell’uomo che si presta a una simile strumentalizzazione.
Per cogliere questa relazione, bisogna partire dalla famosa «Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino» del 1789. Essa enuncia all’articolo 1 che «gli uomini nascono e muoiono liberi e con uguali diritti». Poi l’articolo 2 precisa che «i diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione». Si noterà immediatamente che l’uguaglianza non fa esplicita parte dei diritti dell’uomo, che la proprietà viene immediatamente dopo la libertà e che la sicurezza, che garantisce la libertà e la proprietà, occupa il terzo posto.
Da notare anche la definizione di libertà, all’articolo 4, come «la possibilità di fare tutto ciò che non nuoccia all’altrui diritto». Ora, come dice Marx, questa libertà è quella dell’«uomo considerato come una monade isolata, ripiegato su se stesso». Puramente individualista, questa libertà ha dei limiti che sono «fissati dalla legge, proprio come il limite tra due campi viene segnato da un cippo». Logicamente questa libertà dell’individuo fiorisce con la proprietà, questo diritto di «godere della propria fortuna e disporne a proprio piacimento, senza preoccuparsi degli altri uomini, indipendentemente dalla società».
Fondamentalmente, conclude Marx, «nessuno dei pretesi diritti dell’uomo va al di là dell’uomo egoista, l’uomo quale membro della società borghese, vale a dire un individuo separato dalla comunità, ripiegato su se stesso, unicamente preoccupato del suo interesse personale e ligio al suo privato arbitrio. Ben lungi dall’essere l’uomo inteso come specie, la stessa vita della specie, la società, appare piuttosto come una cornice esterna agli individui, come una limitazione della loro indipendenza originaria» (Sulla Questione ebraica, 1843).
In altri termini, i diritti affermati con la dichiarazione del 1789 sono dei diritti astratti che non corrispondono ad alcuna realtà concreta, ma solo all’esercizio da parte dei proprietari del loro diritto di proprietà, e alla solenne garanzia offerta loro dalla società borghese. Può ben proclamare il carattere universale e imprescrittibile della «libertà», per esempio, ma queste restano solo parole. Separata dal contesto sociale suscettibile di darle un contenuto, questa asserita universalità è una universalità astratta e non una universalità concreta. Se si vuol prendere sul serio la libertà, bisogna renderla un diritto concreto, e non un diritto astratto. E perché acquisti questa realtà concreta, affinché acquisti un contenuto, bisogna pensarla diversamente da una libertà dell’individuo.
Era necessario questo breve excursus di analisi teorica per poter cogliere la vera portata dell’ideologia dei diritti umani. Il testo del 1789 è un manifesto la cui funzione era quella di legittimare il trasferimento del potere, in tutte le sue forme, alla borghesia in ascesa. Intende giustificare la rottura con la società feudale e le sue gerarchie ereditarie. Ma l’affermazione dell’uguaglianza dei diritti serve solo a giustificare le disparità di ricchezza. Il suo principale redattore, l’abate Sieyès, è l’inventore della famosa distinzione tra «cittadini attivi» e «cittadini passivi»: solo i primi, in quanto proprietari, hanno diritto al voto perché essi sono «i veri azionisti della grande impresa sociale».
Quando si sentono certi Stati invocare i diritti umani per stigmatizzare i loro avversari, non è inutile ricordare che la dichiarazione dei diritti cui fanno riferimento i primi è solo la dichiarazione dei diritti della borghesia. Nei dibattiti parlamentari, Robespierre già denunciava il carattere di classe del testo da approvare: «Avete moltiplicato gli articoli che garantiscono la massima libertà nell’esercizio della proprietà, e non avete speso una sola parola per stabilire quando essa sia legittima; in modo tale che la vostra dichiarazione sembra fatta, non per gli uomini, ma per i ricchi, per gli accaparratori, gli aggiotatori e i tiranni».
Si comprende meglio, a questo punto, che la compassione umanista dei nostri meravigliosi «democratici» è a geometria variabile. Gli Stati Uniti non hanno mai espresso la minima riserva a proposito del loro amico, il dittatore cubano Fulgencio Batista, e delle sue pratiche repressive, ma hanno scatenato la loro propaganda contro Cuba nel momento in cui il governo rivoluzionario di Fidel Castro ha deciso di nazionalizzare i beni delle compagnie statunitensi presenti sul suolo nazionale. La «libertà», per Washington, è il diritto delle sue compagnie a incassare indefinitamente i profitti dello sfruttamento economico di un piccolo paese dei Caraibi. Chiaramente, la «libertà» non è il diritto di una nazione a difendere la propria sovranità e a promuovere il proprio sviluppo.
Se i leader statunitensi tentano oggi di destabilizzare la Cina, non è perché ci sono «milioni di Uiguri» nei campi di concentramento. Essi sanno bene che è una bufala grottesca, analoga a quella dell’attacco da parte unità nordvietnamite, delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, delle incubatrici di Kuwait-City, degli assassinii immaginari di Gheddafi e dei crimini chimici di Bachar Al-Assad. Il diritto-umanismo made in CIA è una formidabile fabbrica di menzogne, che occupa costantemente il quantum di cervello disponibile dei telespettatori occidentali per giustificare le sue operazioni predatrici, col concorso di ONG anche troppo felici di aggiungere le loro palle di neve a questa valanga di calunnie che si abbatte su ogni paese che osi resistere all’egemonismo occidentale.
Se Washington vuole venire alle mani con la Cina, quindi, non è perché i Cinesi siano oppressi da un’abominevole dittatura e perché essi sognino segretamente di conoscere la felicità del way on life statunitense, con le sparatorie nei college, la discriminazione razziale, le mafie e ogni genere di mense per i poveri. E’ solo perché questo paese tiene alla propria sovranità, perché ha un sistema performante, perché i suoi leader ne hanno fatto la prima potenza del pianeta e perché le prospettive di profitto dell’oligarchia finanziaria mondializzata, il cui quartier generale è a Wall Street, in tali condizioni tendono seriamente ad assottigliarsi allo stesso ritmo con cui si riduce la speranza, per gli Stati Uniti, di preservare la propria vacillante egemonia.
Non sorprende ovviamente, ma il fatto che i Cinesi siano riusciti a strappare 700 milioni di persone dalla povertà in soli 20 anni non interessa affatto le anime belle del diritto-umanismo occidentale. Brillante teorico del neoliberalismo, Friedrich Hayek riteneva che i diritti sociali iscritti nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 erano un abominio. Questi diritti alla vita, al lavoro, alla salute o all’educazione hanno tuttavia il merito di essere davvero universali nella loro definizione, e di corrispondere a possibilità concrete appena gli Stati offrano loro un contenuto. Al contrario della Dichiarazione del 1789, quella del 1948 rifletteva infatti i rapporti di forza tra borghesia e classi popolari fissati dal patto sociale siglato con la Liberazione e favorito dal crollo del liberalismo.
Alla luce dei risultati, alcuni paesi sembrano aver preso sul serio i diritti sociali proclami nel 1948. Questi paesi non hanno niente di liberale, ed è perciò che si sono dotati, a profitto dei più, di un sistema educativo e di un sistema sanitario efficienti. Nonostante il blocco, Cuba ha creato un sistema sanitario premiato dall’OMS, e la speranza di vita a Cuba (80 anni) supera quella degli Stati Uniti (79 anni). In occasione dell’ultima valutazione internazionale dei sistemi educativi (PISA), effettuata su un campione di 600 000 liceali di 50 paesi nel corso del 2018, la Repubblica popolare di Cina si è classificata in testa a pari merito con Singapore. Tali risultati ottenuti oggi da un paese che contava un 80% di analfabeti nel 1949 dovrebbero far riflettere tutti coloro che siano interessati alla trasformazione dei diritti formali in diritti reali.
Ma il diritto-umanismo ordinario, quello delle ONG, si occupa solo dei diritti individuali e trascura quelli collettivi. La sua compassione per l’umanità sofferente è selettiva. Si mobilita solo per delle minoranze o degli individui isolati, agendo caso per caso e selezionando quelli che considera degni di attenzione. Intende combattere la discriminazione e non lo sfruttamento, l’esclusione e non la povertà, la privazione della libertà inflitta a qualcuno e non la miseria imposta alla maggioranza. Riconosce solo individui portatori di diritti e si preoccupa poco di capire se tra di loro vi sono ricchi e poveri. L’unica lotta degna di essere fatta ai suoi occhi è quella che tende ad allineare degli individui astratti su uno standard limitato alle libertà formali.
In realtà, il diritto-umanismo ordinario occulta il fatto che le libertà sono effettive solo se i diritti collettivi vengano garantite da determinate strutture sociali. Tende a mascherare il fatto che i diritti sono reali, se gli individui dispongano di cibo sufficiente, abbiano un tetto, gli vengano garantite cure mediche e formazione scolastica, e tali condizioni non sussistono se non vi sia uno Stato che prenda le cose in mano e le realizzi. Insomma, queste anime belle dimenticano semplicemente che gli individui non sono niente senza la società e che i diritti di cui chiede il rispetto sono solo vento se la società, deliberatamente, non li riempia di un contenuto concreto piuttosto che affidarsi alle gloriose leggi del mercato esaltate da un liberalismo adulterato.
Coltivando questo oblio, e contribuendo a tale occultamento, le ONG gonfie di umanesimo riducono quindi l’umanità dolente ad un aggregato indistinto di individui astratti, atomizzati, la cui sorte non merita alcun interesse, se non nella misura in cui testimonia di una violazione reale o immaginaria dei loro diritti individuali, di preferenza in qualche paese esotico che si trovi nel mirino di Washington. E’ indubbiamente per questo che il maggior evento planetario degli ultimi due decenni, vale a dire lo sradicamento della povertà nella Repubblica Popolare cinese, suscita il loro interesse in misura molto minore dei fantomatici campi di concentramento nello Xinjiang e della spazzatura rovesciata da giovani imbecilli nella metropolitana di Hong Kong.
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